Che cosa siamo nella vita?
Il mio lavoro di assistente sociale mi insegna ogni giorno e anche nel dolore di oggi che siamo “uno, nessuno e centomila”.
Uno: che emerge, che lotta, che soffre, che viene scovato dalla povertà, nel talento, nelle mille sfaccettature della vita.
Nessuno: un numero, un puntino su una mappa di migliaia di persone. Nessuno perché forse emarginato ed escluso.
Centomila nella folla di questo mondo e di questa vita.
E cosa siamo in questa vita? Di passaggio sicuramente ma non sappiamo mai cosa abbia in serbo per noi la vita.
Mio zio Gerardo, emigrato ragazzino aveva creato il suo posto felice che gestiva con amore e dedizione con la sua amata compagnia di vita, mia zia Tina, Zum Wehratal a pochi passi dalla foresta nera tedesca. Era uno chef bravo, mischiava il talento all’energia della vita, e tra un primo o una pizza lui sorrideva, era grato a questa vita che li aveva visti emigrare bambini, patire il freddo e la fame: i primi anni non erano stati per niente semplice. Partire da bambini con la famiglia e sperare che da quella valigia di cartone uscissero prospettive migliori. Anni duri e di sacrifici hanno accompagnato i miei zii e mio padre, fino al tempo dell’inserimento nella rigida Germania dei primi anni ’60, poi l’iniziale benessere. E lui proprio nel suo lavoro di ogni giorno ci metteva passione e tenacia, perché ogni goccia di sudore sapeva di tanti e tanti sacrifici, e non lo faceva certo pensare, anzi. Lui sorrideva, faceva battute, stemperava, stimava tutti: dall’aiuto cuoco ai camerieri poco più che ragazzini, non ha mai sfruttato uno solo di loro, sapeva bene lui cosa si provava e certo non lo avrebbe mai fatto ad altri. Dopo più di trent’anni di ristorazione ad inizio 2019 decise di appendere l’ultima padella al chiodo e di godersi una casa nuova, il tempo e l’ozio con l’unica donna che ha sempre amato e che è stata sua ombra e compagna di viaggio nella vita e nel lavoro. Lo scorso mese di ottobre ha deciso di ritagliarsi qualche giorno con i suoi fratelli italiani, ripercorrere le tappe della sua infanzia nel paese d’origine per poi ripartire e sottoporsi ad un normale intervento di routine che gli è costato spavento e dolore, è finito in coma e dopo tre settimane di agonia alle prime luci di questa mattina ci ha lasciati.
È un pugno nello stomaco questo vuoto e questo dolore, è un pugno nello stomaco pensare che mio zio non è riuscito neanche a godersi qualche mese di pensione, la sua nuova casa, la nuova dimensione di vita con sua moglie. È un pugno nello stomaco pensare quanto in questa vita diamo in termini di sacrifici, stress, pensieri, amore e poi siamo niente.
Mi piace pensare che mio zio Gerardo che amava prima di una telefonata o un incontro prepararsi il discorso che questa volta stia parlando con i suoi genitori lì dove il Paradiso l’ha voluto.
A lui dedico questo post perché è stato uno dei primi fan nella vita e nella mia carriera.
Riposa in pace zio!