“Una certa idea di giornalismo”. Con quell’idea di giornalismo, il mestiere più affascinante e coinvolgente del mondo, Domenico Quirico è partito per la Siria il 6 Aprile scorso. Per la terza volta in vita sua. Inviato di punta, ottima firma de “La Stampa”, Quirico ha tremato per i bombardamenti su Aleppo, ha seguito le incursioni dei ribelli fino a Idilib, voleva vedere con i suoi occhi, registrare sul proprio taccuino i combattimenti nella città martire di Homs, gli incendi del suq, i bossoli delle munizioni, la guerra che scoppiava sotto gli occhi degli innocenti.
Voleva raccontare una guerra ormai dimenticata dai giornali. Un conflitto che, secondo i dati ha ucciso 28 giornalisti. La Siria è il paese più pericoloso al mondo per chi fa informazione, ma lui aveva la convinzione di dover vedere le cose come stavano. Era la stessa strana idea, la stessa strana convinzione che lo avevano già portrato tra i campi profughi del Corno d’Africa, nella strade calde dei paesi arabi, per raccontare quella che dal mondo dell’informazione fu definita “la primavera araba”, nella Libia che chiudeva una pagina di storia con Gheddafi. Poi in Sudan, in Darfur, in Uganda, in Mali.
Paesi ad alto rischio, paesi accumunati da storie difficili che bisogna raccontare. E chi fa informazione non gira la faccia dall’altra parte e Domenico Quirico non lo ha fatto. Accumunati dalla stessa idea di giornalismo anche Elisabetta Rosapina e Giuseppe Sarcina, colleghi del Corriere della Sera e il giornalista Claudio Monaci dell’Avvenire. Insieme, accumunati dalla passione, dalla professione e dalla paura, cercavano di raggiungere Tripoli. Furono rapiti, sequestrati ed il loro autista perse la vita.
Giornalisti accumunati dal desiderio di raccontare. Di chi pensa che le cose vanno vissute in prima persona per poterle scrivere, registrare, filmare. Di dover indossare un burqa, per capire come si vede il mondo dietro i veli. Di dover fuggire insieme ai ribelli per provare sulla propria pelle la paura delle bombe, della vita che in un attimo può spegnersi. La stessa idea, la stessa passione, che molti anni fa portò alla morte di Tarzani, nel conflitto vietmanina.
E’ l’essenza del mestiere più strano ed affascinante del mondo. Dà a molti l’occasione di un attimo, che senza riflettere, con la valigia pronta sotto il letto,accettano di partire. Così, Quirico è tornato dopo cinque lunghi mesi di torture e di prigionia. Con indosso giacca e cravatta su un corpo troppo esile, ha chiesto scusa al suo direttore. Quirico che per la sua convinzione si è spinto in un paese in cui la violenza la fa da padrona ed ha provato sulla sua pelle la sofferenza di chi ogni giorno la vive.