La madonna dei paganesi. Riti, leggende, odori e sapori di una Vergine venerata da tanti

Tra i fiori di pesco, il sole tiepido dei primi giorni di primavera, nella città di Pagani (Salerno) spira il vento della tradizione, che sa di festa e di popolarità. Processioni, canti, balli e gastronomia, si sposano in un perfetto connubio che in un rito ormai consolidato ma mai noioso, si vive nell’ottava di Pasqua nella cittadina dell’agro nocerino sarnese, celebrando e vivendo un vero e proprio rito collettivo, che si tramanda di generazione in generazione, con semplicità e convivialità, lasciando di anno in anno nel solco della fede senza fiato i tanti fedeli: la festa della Madonna del Carmelo, detta delle Galline.
Un vero racconto di fede quello che di anno in anno la cittadina che vanta il santo patrono Sant’Alfonso racconta ai tanti fedeli e non solo che accorrono per assistere ad una festa che mescola sacro e profano. Un racconto che sa di storia quanto di devozione. Leggenda narra che durante la domenica in Albis del XIV secolo, alcune galline, razzolando, portarono alla luce l’effige della Vergine del Carmine, dipinta su una tavola di legno. L’immagine è stata conservata nel tempo nel piccolo oratorio dell’Annunziatella. Tra i vicoli di Pagani che sanno di storia e di tempo, si incontrano narratori che raccontano come intorno al 1609 quell’immagine abbia compiuto ben otto miracoli, tra cui quello tanto chiacchierato di uno storpio, che sognando la Madonna, avrebbe poi camminato. Eventi che spinsero l’allora vescovo della città, Monsignor Lunadoro, a costruire una nuova chiesa per la Madonna delle Galline ed i suoi devoti. Un legame storico e ben stretto quello tra i paganesi e la “sua” Madonna: per tre giorni, dal venerdì (quest’anno dal 21 aprile), quando si aprono al culto le porte del Santuario a lei intitolato, fino alla domenica sera, quando la Vergine, dopo una lunga giornata di processione fa ritorno in chiesa, la città si immerge nelle antiche tradizioni dettate dal folklore: preghiere, toselli, tammurriate, danze e buon cibo.

Il venerdì dopo Pasqua i paganesi sono in strada, raccolti davanti al grosso portone di legno, i pugni bussano, invocano l’ingresso.

Poi l’entrata. La Vergine si presenta bella, col suo mantello ricamato, ornata di colombe. I tammorrari ed i fedeli si affidano a lei con le loro preghiere. Canti e balli sono l’altra faccia della fede, un altro modo per dimostrazione la propria vocazione e venerazione alla Madonna, un rituale di canti e balli che si ripete all’unisono fino a notte fonda. Al risveglio, il sabato mattina, è un brusio di pulcini e profumi, nell’aria si sente il tipico odore dei carciofi, mentre gli uomini si dedicano ai toselli, tipici altarini allestiti nei cortili storici o per strada, in cui si espone la tradizione di un tempo: vecchie massaie, altarini di preghiere, prodotti tipici della tradizione paganese. Ma il vero rito collettivo, quello che abbraccia da sempre sacro e profano, mettendo d’accordo fedeli e scettici, è quello della domenica in albis, quando le donne tra il profumo di incenso, preparano il tipico ragù che si mischierà poi ai tagliolini, ancora stesi per l’ultima asciugatura, immancabili in un dì di festa così importante, dove il paganese alla sua tavola ha sempre un ospite, riscoprendo il piacere della convivialità e dell’ospitalità, proprio come avveniva un tempo, per condividere insieme un altro anno di festa con pietanze semplici ma frutto della terra e della fatica dell’uomo. Per tutto il giorno tra le vie della città, le stradine, gli storici cortili, è tutto un passeggio che richiama al tipico struscio pasquale. E’ il giorno dei paganesi, quello atteso e desiderato per un anno intero. “A’ maronna iesce è nnove e s’arritira a calata e l’ora”: così una delle massime paganesi, scandisce uno dei momenti

più suggestivi. Infatti, la Madonna esce dalla sua casa al mattino presto e si incammina per le vie della città: dal cuore storico fino alla periferia. Ad accompagnarla una folta folla di fedeli e colombi, volatili, col pavone accovacciato alla base, fermandosi per ricevere doni e intenzioni di preghiere, tra fedeli che si accodano e tanti altri che dai balconi mostrano lenzuola e coperte più belle, lanciando al passaggio della Vergine sul suo capo petali di rose. Poi la storica tappa: al rione “palazzine”, dove la Madonna si sofferma e viene accolta da fuochi pirotecnici. Mentre, molti si spostano e si ritrovano nel cuore pulsante del ritmo musicale: la villa comunale, dove devoti e cultori si lasciano andare al ritmo di tammorre e di nacchere, accompagnati dai balli caratteristici, che richiamano all’antico rito del corteggiamento, storie popolari che si intrecciano a vino e pelli di tammorre che vibrano in una catarsi sacra e pagana.

La festa continua anche al calar della sera, mentre, la Vergine si appresta all’ultimo atto del suo viaggio, l’antica tappa in Piazza Sant’Alfonso, dove la tradizione vuole che il padre redentorista consegni una coppia di galline, ripetendo così il gesto compiuto secoli fa dal patrono della città, devoto della Madonna. La Vergine, riconoscente, ricambia il dono con due colombe. Le nacchere e le tammorre suonano ancora, si sentono nell’aria della città ancora in festa, una lunga notte di festa, che si conclude all’alba del lunedì, quando i tammorrari depongono gli strumenti ai piedi della statua della Madonna, invocando la sua grazia e la sua protezione. Calando così un velo sui festeggiamenti, con la speranza di un altro anno di protezione dalla “Madonna dei pagani”.

(Articolo pubblicato su ildenaro.it) 

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