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Napoli “capitale” del reddito di cittadinanza, ma a che punto siamo con la misura per eccellenza di contrasto alla povertà?

La spesa del reddito di cittadinanza a marzo nella sola Napoli ha sfiorato quella dell’intero Nord Italia. In totale, secondo le tabelle dell’Inps, le famiglie che hanno goduto di almeno una mensilità del sostegno tra gennaio e marzo di quest’anno sono state 157.000, 459.000 le persone coinvolte nel complesso. Nello stesso periodo nell’intero Nord 224.872 famiglie percepivano il reddito o la pensione di cittadinanza. L’importo medio è più basso al Nord che al Sud. I dati dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale vedono 1,8 milioni di percettori nelle regioni del Sud, 452 mila al Nord e 334 mila al Centro: la regione in testa è la Campania, segue la Sicilia, il Lazio e la Puglia. Prevalgono i nuclei composti da una o due persone, mentre costituiscono il 34% i nuclei in cui sono coinvolti anche i minori. Ammonta a quasi 13 miliardi di euro la somma spesa per il reddito e la pensione di cittadinanza che l’Italia ha speso tra l’aprile 2019 e il marzo 2021. La crisi economica dapprima poi l’avvento della pandemia hanno portato sempre più persone a fare richiesta della misura di contrasto alla povertà. Di fatto, il paradigma della povertà si è totalmente convertito, le famiglie abbastanza autonome ed addentrate nel tessuto sociale ed economico, si sono ritrovate a fare i conti con l’improvvisa povertà economica. Negli ultimi mesi, sempre più famiglie italiane e ancor di più nel Sud Italia, dove già le opportunità lavorative scarseggiavano ed il lavoro era a giornata, si sono ritrovate morose con le utenze e con l’affitto dell’abitazione. L’unica misura ad oggi accessibile con un Isee non superiore ai 9.360 euro, e con requisiti di soggiorno e cittadinanza, è solo il reddito di cittadinanza, che ha visto la platea dei beneficiari ampliarsi sempre di più. Si era detto all’inizio dell’avvento nel 2019 non una misura di assistenzialismo, prevedendo delle condizionalità, cioè dei vincoli per i beneficiari: la sottoscrizione della Did, disponibilità immediata al lavoro, l’obbligo della sottoscrizione di un patto di lavoro coi centri per l’impiego o del patto di inclusione sociale con i servizi sociali territoriali, oltre all’obbligo della partecipazione ai Progetti Utili alla Collettività (PUC). In altri termini un aiuto reciproco: lo Stato assiste economicamente per un periodo di diciotto mesi – durata del beneficio- il cittadino in difficoltà, consentendogli poi attraverso anche gli obblighi previsti il suo reinserimento sociale e lavorativo. Da assistente sociale e cittadina italiana mi chiedo e vi chiedo ma a distanza di più di un anno e mezzo dall’introduzione della misura d’eccellenza di contrasto alla povertà quale il reddito di cittadinanza, che ci avrebbe o comunque nei fatti ci ha uniformato ai paesi europei che prevedono una misura di contrasto alla povertà, è cambiato davvero qualcosa? A che punto siamo?

Il punto forse è quello della non mai partenza. L’Inps eroga i soldi ai beneficiari e su questo nulla questio, ma la ricerca del lavoro, la rete sociale, sanitaria, da creare intorno al beneficiario e al suo nucleo familiare di fatto è ancora ferma. L’identikit dei fruitori del reddito li vede con una scarsa scolarizzazione e senza la minima esperienza informatica, quasi impossibile per i navigator trovargli un impiego. Ad aggiungersi a questo la mancata applicazione dei decreti attuativi di cui avrebbe dovuto occuparsi il Ministero del Lavoro. Infatti, dopo due anni dall’approvazione del decreto 4/2019 con il quale è stato introdotto il reddito di cittadinanza, mancano ancora diversi decreti attuativi, necessari per il funzionamento della misura, senza i quali siamo davanti a poco più di un sussidio. Degli esempi: sgravi per l’azienda che assume il beneficiario del reddito, pari alle mensilità che il beneficiario non prende più. Decreto mai formalizzato. O ancora al beneficiario vengono proposte tre offerte di lavoro congrue, se rifiuta decade il beneficio, assortigliando la platea degli aventi diritto, ma le offerte non sono mai state proposte a molti beneficiari. A questo si aggiunge la scarsa conoscenza degli strumenti informatici: molte persone non posseggono né un pc né uno smartphone, determinando già la prima impossibilità per i fruitori di iscriversi al sito dell’Anpal, luogo deputato all’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Per i navigator e per gli operatori sociali dei comuni c’è una piattaforma che purtroppo non ha interoperabilità: ovvero non vi è dialogo. Un esempio: un beneficiario risulta ancora “attivo” per cui percettore della misura, viene convocato ma ad egli il beneficio è stato revocato o sono venute meno delle condizioni pertanto è decaduto, o egli stesso ha deciso di presentare regolare rinuncia all’Inps, ma la piattaforma è ferma ancora allo stato “attivo”. Ciò capita anche per i deceduti. Da mesi mi ritrovo una donna deceduta da diverso tempo, per la piattaforma ella è da convocare e il suo caso non può essere chiuso in quanto per il sistema risulta percepire ancora il beneficio economico. Una confusione che rallenta il lavoro degli operatori e che non conquista la fiducia dei beneficiari del reddito di cittadinanza. I quali al di là di non aver compreso alcuni obblighi legati alla misura, non comprendono la finalità della convocazione ai servizi sociali e la motivazione per la quale debbano sottostare a degli obblighi: se dall’analisi preliminare – dialogo con egli- viene fuori una problematica anche sanitaria, tale da richiedere un coordinamento con altre figure professionali –di fatto molto difficile perché manca spesso il personale negli enti preposti- per cui molto si chiedono: “ma se percepisco un aiuto perché mi convochi tu? E perché sono obbligato a delle cose ed eventualmente a sottopormi a controlli medici?” E’ lontana la visione che la finalità non è solo un sostegno economico puro assistenzialismo, ma un aiuto globale che investe la sfera sociale, lavorativa, sanitaria, tappe per una piena integrazione sociale.

Il target di cui ci troviamo di fronte è analfabeta o con una scarsa scolarità. Se il mondo del lavoro è andato avanti grazie alle macchine e alla tecnologica, richiedendo quindi conoscenza e competenze anche minime, come si può pensare di potergli garantire un lavoro? Non sarebbe più opportuno prevedere la loro partecipazione nell’ambito dei fondi destinati al reddito di cittadinanza la loro partecipazione a corsi di specializzazione o per l’ottenimento di una qualifica professionale? Nel frattempo però gran parte della popolazione ha già preso il primo ciclo del reddito di cittadinanza 18 mesi, molti hanno già iniziato la replica che durerà altri 18 mesi previo un mese di sosta e si andrà avanti così fino a quando sarà disponibile.

Forse, c’è da chiedersi se tale misura vada rivista e ripensata?

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine Sociali per ildenaro.it)

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Reddito di Cittadinanza, certezza solida del sociale nel 2019?

untitledVotata nelle ore a cavallo tra il vecchio ed il nuovo anno, la legge di bilancio è entrata in vigore proprio nel primo giorno del 2019. In primo piano, tra le misure, il reddito di cittadinanza. Partirà il prossimo Aprile e sarà coinvolta tutta la famiglia. Cominciano a prendere forma i contorni del nuovo reddito di cittadinanza che dovrebbe confluire in un decreto a metà Gennaio. Si potrà beneficiare del sostegno al reddito per un massimo di 18 mesi, rinnovabili dopo una sospensione di un mese. La misura, secondo le prime stime, riguarderà 1 milione e 375 mila nuclei familiari compresi gli stranieri se residenti da almeno cinque anni con regolare permesso di soggiorno, ma secondo le voci delle ultime ore per gli stranieri potrebbero servire addirittura dieci anni di residenza e secondo molti la modifica alla bozza sul reddito di cittadinanza potrebbe prevedere per gli immigrati di lungo periodo anche il vincolo di non avere precedenti penali. Sarà coinvolta tutta la famiglia, quindi tutti i componenti del nucleo familiare in età lavorativa, escluso chi si occupa di bambini al di sotto dei tre anni o di disabili, dovranno rispettare alcuni obblighi: accettare almeno una delle tre offerte di lavoro sottoposte e una disponibilità per un massimo di otto ore settimanali ai progetti di utilità sociale, altrimenti pena la perdita del beneficio per l’intero nucleo familiare. Infine, un vero e proprio “patto di collaborazione” che prevede una ricerca attiva del lavoro, l’accettazione di corsi di formazione e colloqui psicoattitudinali e eventuali prove di selezione. Paletti per il reddito, non solo un Isee complessivo entro i 9.360 euro ma anche un reddito familiare che non superi i 6.000 euro per un single fino ad arrivare ad un massimo di 12.600 euro per un nucleo familiare, un patrimonio immobiliare sotto i 30.000 euro e un patrimonio mobiliare sotto i 6.000 euro, niente auto o moto di grossa cilindrata né barche. L’assegno non sarà di 780 euro ma di 500 euro. Funzionerà come una integrazione al reddito. Se, per esempio, le entrate mensili sono di 200 euro, si aggiungeranno solo altri 300 euro. A 780 euro arriverà soltanto chi non abita in una casa di proprietà ma deve pagare un affitto. In questo caso il contributo che potrà essere riconosciuto potrà arrivare fino a 280 euro al mese. Se la famiglia possiede una casa di proprietà ma paga ancora il muto, allora sarà riconosciuto un contributo mensile di 150 euro. Contributo analogo sarà assegnato agli anziani che percepiranno la pensione di cittadinanza e vivono in una casa in fitto. Intanto, in attesa dei provvedimenti attuativi del reddito di cittadinanza trapelano i primi dettagli sui passaggi necessari per ottenere la misura di sostegno alle fasce più deboli. Per ottenere il reddito di cittadinanza, i potenziali fruitori, circa cinque milioni, dovranno presentare una domanda telematica a Poste Italiane a partire dal primo Marzo. Una volta verificati i requisiti richiesti, seguirà il l’ok definitivo da parte dell’Inps, dopo il sì da parte dell’Istituto di Previdenza, bisognerà entro i successivi trenta giorni recarsi in un ufficio postale per ritirare la card con l’importo spettante. Passo successivo per il beneficiario è rivolgersi ad un Centro per l’Impiego o ad un’agenzia privata e stipulare un patto di lavoro. Se l’interessato è un soggetto svantaggiato dovrà firmare il Patto di Inclusione Sociale. Allo studio, l’ipotesi, che le imprese che assumeranno potranno ottenere uno sgravio contributivo. Per il fruitore, da questo momento, potranno arrivare le offerte di lavoro. La prima entro i primi sei mesi dalla fruizione del sostegno con non più di cento kilometri dalla residenza, tra il sesto ed il dodicesimo mese di fruizione la distanza del posto di lavoro offerto potrà arrivare fino ad un massimo di duecentocinquanta kilometri di distanza, per la terza proposta di lavoro, la distanza si amplia degli oltre i 250 kilometri. Il reddito di cittadinanza, secondo le prime stime, andrà soprattutto al Sud, ma tra le prime sei regioni anche Lazio, Lombardia e Piemonte.

Simile, a quanto sembra nelle sue prime forme, al Rei – Reddito di Inclusione, che fece il suo ingresso sul finire del 2017, allargando poi la platea dei beneficiari basandosi sulle sole condizioni economiche nella scorsa estate del 2018. Somiglianze che fanno presagire almeno ad oggi una copia in cui a cambiare sarà solo il nome e la firma del partito di governo. Il Rei nei suoi mesi d’ingresso, seppur seguiva il già introdotto Sia –Sostegno Inclusione Attiva- fu accompagnato da un caos generato dalla carenza di strumenti e di personale. Infatti, il Rei prevede che le domande siano compilate ed inviate all’Istituto di Previdenza Sociale dall’assistente sociale dell’Ambito Territoriale, ma il personale in molte realtà d’Italia è ridotto all’osso con mezzi obsoleti e gli utenti hanno dovuto fare i conti con lunghe attesi dinanzi agli uffici, ritardi. E se la prima parte che prevede la compilazione della richiesta di beneficio, l’ok da parte dell’Inps, si concludeva, non facile per gli Ambiti Territoriali, per l’equipe di lavoro e per l’utente, la seconda fase, quella del “patto di servizio” con la ricerca intensiva del lavoro o con la sottoscrizione del “progetto personalizzato”. Tra intoppi e problemi vari, in questi ultimi mesi il Rei sembra marciare ed i fruitori sembrano essere molti italiani, qualcuno ha persino potuto sperimentare un tirocinio e tornare a confrontarsi con la società e con il lavoro, ma difficile appare almeno adesso il cammino del Reddito di Cittadinanza, la cui platea dei beneficiari al cospetto del Rei, sarà maggiore ed il personale e le strutture sembrano essere davvero ridotti ai minimi termini, ancor di più i Centri per l’Impiego, dove il turn over del personale è fermo da molti anni e gli strumenti di lavoro sono più che obsoleti, specie a Sud, dove nei prossimi mesi si immaginano già lunghe code per richiedere il beneficio. Ma, la domanda di fondo, che cerca di oltrepassare degli oggettivi problemi che inevitabilmente si incontreranno- specie per gli operatori che lavoreranno al Reddito di Cittadinanza- il sostegno al reddito è davvero la marcia giusta per rendere un soggetto autonomo ed indipendente?

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine Sociali per ildenaro.it)

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Povertà. I nuovi poveri: giovani e italiani, 7 su 10 al Sud. Decolla il REI

img_0217Sono quasi 900 mila, nel solo primo trimestre del 2018, le persone che beneficiano delle misure di contrasto alla povertà, e di queste sette su dieci risiedono al Sud Italia. Campania in testa, seguita da Sicilia e Calabria. E’ quanto emerso dall’Osservatorio statistico sul Reddito di Inclusione, presentato nei giorni scorsi dall’Inps e dal Ministero del Lavoro, e nel primo trimestre alle famiglie in difficoltà economica sono arrivati i primi pagamenti, per un contributo mensile di 297 euro che varia da regione a regione. Si passa da un minimo di 225 euro per la Valle d’Aosta fino ai 328 per la Campania, le regioni del Sud hanno un valore medio più alto di quelle del nord e del centro. I dati e le famiglie si coniugano poi alle 476 mila persone del Sia, avviato nel 2017. Per le famiglie in difficoltà il Rei, è uno dei principali sostegni economici ed infatti non si arresta la corsa ai servizi sociali per accedere al reddito di inclusione. E dal primo luglio la platea sia per nuclei che per persone aumenterà, visto che resterà in piedi il solo valore dell’Isee, mentre le ulteriori accezioni ad oggi previste, come nuclei familiari con persone in stato di handicap, persone ultra cinquantenni, verranno meno. E se 900 mila persone beneficiano di un sostegno che dovrebbe andare oltre all’aspetto economico ed essere accompagnato nei prossimi mesi da un progetto di reinserimento sociale e lavorativo dai servizi sociali dei comuni, l’Italia si attesta ancora il primo paese europeo per numero di cittadini in condizioni di deprivazione. Sono 10,5 milioni le persone in stato di indigenza. La classifica Eurostat vede l’Italia davanti a Romania e Francia. Sono considerate indigenti le persone che non si possono permettere almeno cinque cose necessarie per una vita dignitosa, come un pasto proteico ogni due giorni, abiti decorsi, due paia di scarpe, una settimana di vacanza all’anno, una connessione a internet. Negli ultimi dieci anni i poveri assoluti, chi non è in grado di acquistare nemmeno beni e servizi essenziali, sono triplicati nel Sud Italia. Ci sono i giovani che hanno superato gli anziani e gli stranieri, ma soprattutto le famiglie con due o più figli: la crisi economica ha ridisegnato la mappa dell’indigenza tra le fasce sociali. Dato preoccupante sono i minori: un minore su dieci vive in una situazione di grave indigenza: 1.31.000 per l’esattezza. La fotografica è stata scattata dal rapporto Caritas ed è drammatica. Aumentano, infatti, gli italiani che si rivolgono ai centri d’ascolto della Caritas. Disoccupati, precari e pensionati: la povertà in Italia cambia volto. E soprattutto continua ad aumentare. C’è l’impiegato che ha perso il lavoro e l’imprenditore con l’azienda fallita. C’è il ragioniere e l’avvocato. C’è la pensionata, l’operaio licenziato e l’esodato. Alle mense italiane della Caritas ci sono sempre più italiani. Non solo senzatetto, clochard e sbandati. L’esercito dei nuovi poveri è quello della gente comune, delle persone qualunque, uomini e donne della porta accanto, padri e madri, lavoratori e lavoratrici senza più lavoro, stroncati dalla crisi e dal precariato, finiti sul baratro da un giorno all’altro. Tra i tavoli delle mense italiane si ascoltano le storie di vita quotidiana, storie che potrebbero accadere ad ognuno di noi. C’è chi si ritrova in bilico tra la perdita del lavoro e l’attesa della pensione, è quello che oggi si chiama esodato. Si ritrovano dopo il ridimensionamento dell’azienda a far fronte all’affitto da pagare, alle spese, troppe per poter saldare senza un lavoro e così si ritrovano con la loro dignità tra i tavoli della Caritas e cercano anche ospitalità per la notte. Gli italiani alla Caritas non smettono di credere in un futuro migliore. Tenaci e non arrendevoli, nonostante tutto, seppur covano dentro rabbia contro il mondo del lavoro e contro la politica. Ma nelle mense trovano spazio, ascolto prima ancora che un pasto, gli operatori infatti riescono a supportare ed incoraggiare quanti prendono parte alla mensa, che resta l’unica realtà a cui potersi rivolgere per chi è in difficoltà. Ricerca della propria dignità, ricominciare per se stessi e per la propria famiglia, cercando autonomia ed autostima, è questo quello che emerge nell’ascoltare chi oggi fatica a reinserirsi nel tessuto lavorativo e fa i conti con lo stato di indigenza, ed è per questo che il Rei, potrà funzionare “solo” in parte, seppur nasce non solo come misura economica fine a se stessa, in quanto prevede il ruolo centrale degli assistenti sociali nel disegnare un progetto comune con l’utente per il reinserimento sociale, eppure però nei piccoli comuni ci si scontra con l’aumento delle domande, la carenza di personale, ed un progetto assistenziale difficile da disegnare senza servizi e senza equipe, infatti, i primi risultati si basano proprio sul solo aspetto economico, mentre l’aspetto sociale e dignitoso degli utenti tarda a decollare e ad arrivare, rischiando di restare un solo aiuto economico che ben presto terminerà senza lasciare autonomia e capacità di reazione nell’utente in stato di difficoltà.

(Articolo pubblicato per il mio blog Pagine sociali per ildenaro.it)

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