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“Se l’è andata a cercare”, l’opinione pubblica volta le spalle alle vittime di violenza

6834932-strumenti-moderni-giornalista-computer-portatile-bianco-taccuino-e-una-penna-profondit-di-campo-messStupri e violenze, maltrattamenti e soprusi quotidiani, vengono “giustificati” dall’opinione pubblica con “se l’è cercata”, “li stava provocando”. Paesi in difesa del branco o del carnefice. Anche i sindaci. Le vittime diventano carnefici, costrette a scappare via, perché la gente del paese gli volta le spalle e la loro denuncia diventa arma per uno stupro quotidiano. E’ una violenza continuata, insistita, resa beffarda dall’impotenza di chi la subisce. Una violenza che ha il tipico carattere del maltrattamento, con tutte le conseguenti ricadute psicologiche per chi tale stupro lo ha subito. Non solo Pimonte. A San Valentino Torio una storia simile. E non solo. Da Nord a Sud le comunità difendono il branco e isolano le vittime stuprate: è colpa loro. Lo ha definito “una bambinata” uno stupro di gruppo ai danni di una dodicenne, il sindaco di Pimonte, in provincia di Napoli. Ha così “assolto” il branco di una decina di ragazzini che ha ripetutamente stuprato un’adolescente, costringendola a scappare lontano, in Germania, insieme alla famiglia. La vittima è diventata per tutti la carnefice. Colpevole di aver rovinato l’esistenza dei ragazzi, quasi tutti minorenni. Colpevole di aver denunciato quello che le è accaduto. Che poi sottintende “li ha provocati”. Poco importa se era stata ricattata, se è stata usata come oggetto. Umiliata e ripresa con i telefonini. Storia simile anche a San Valentino Torio: una ragazzina e il solito branco. Anche lì armati di telefonino, anche qui la comunità ha fatto muro, difendendo il branco: “lei andava in giro in minigonna”. Stessa storia a Taurianova nel tavoliere pugliese, dove una ragazzina anni fa dove violenze e soprusi ha trovato il coraggio di denunciare i suoi aguzzini. Il giudice crede alla sua versione e condanna i carnefici, ma lei ha osato parlare, ha osato sconfiggere l’omertà, così viene minacciata di morte, denuncia nuovamente e viene protetta dallo Stato, oggi vive sotto scorta. Paesi che emettono sentenze diverse rispetto a quelle della giustizia, additando e criticando la scelta di aver denunciato, arrivando a spingere le vittime e le loro famiglie a rimodulare e spesso a cambiare la loro vita. E’ una dinamica tipica dei piccoli centri. C’è una vittima e tanti presunti colpevoli, con una fitta rete di amicizie e parentele. Quando i media spengono i riflettori su questi casi resta il paese e i loro ragazzi accusati di un crimine: violenza carnale, o presunta tale. E comincia così il circolo della gogna senza fine. Che viaggia anche sul web, senza lasciare alcuno scampo. L’eventuale processo è un altro supplizio, i media locali ci marciano, riportano frasi, intercettazioni, riprendono dettagli che danno adito a commenti e battutine da bar. Un’altra violenza. Così capita che tante violenze simili neppure vengono denunciate. Le vittime non hanno il coraggio. O non vogliono darsi e dare un doppio dolore alle loro famiglie. O sono convinte che subiranno ritorsioni e verranno messe alla gogna. E non sono casi isolati ma storie vissute e sentite in ogni angolo di paese. E non solo al Sud. Vittime colpevoli di essere donne o di essere belle, o semplicemente di esistere, ma di un’esistenza ormai deturpata e rubata. Vittime due volte, di una duplice violenza. Vittime dell’omertà e della cattiveria umana.

(Articolo pubblicato su “ildenaro.it”)

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Ragazzi incattiviti: la legge del bullismo

6834932-strumenti-moderni-giornalista-computer-portatile-bianco-taccuino-e-una-penna-profondit-di-campo-messSchiaffi, insulti, in alcuni casi anche minacce di morte. Il tutto spesso ripreso in un video di umiliazione inflitte ad un proprio compagno, che poi viene postato sui social network. Si chiama bullismo, si legge violenza ai danni dei più deboli. Si abbassa lo sguardo, ci si sente sotto attacco. La voce, se ce la fa a uscire, è un pigolio. E’ questa la vittima perfetta del bullo. Ragazzi ma anche ragazze, perché il bullismo è traversale, anzi, quello femminile è più subdolo; di solito sono vittime di un gruppo, perché il rapporto tra vessato e vessatori è sempre impari. La postura della vittima testimonia l’angoscia terribile. Sono accartocciati, hanno ormai imparato ad accettare in silenzio le critiche più feroci, perché di solito sono persone molto ben educate, alle quali dare una brutta risposta sembra maleducato. Non è raro che i bullizzati sono figli unici: non hanno mai vissuto l’esperienza della lite tra fratelli, arrivano impreparati all’attacco. Diventano “freezing” dall’inglese, ovvero, congelamento, l’essere incapaci di dire o fare qualsiasi cosa a propria difesa. La scuola, a cui si delega la soluzione del problema del bullismo, a volta non dà la risposta giusta. Il famoso cancello delle medie o del liceo diventa quasi terra di nessuno, dove non esistono più responsabilità precise. I ragazzi si chiudono così in casa, la soluzione dei genitori è quella di cambiare istituto, ma è una decisione che contiene in sé il seme del fallimento ed il fenomeno resta taciuto, impunito e dilagante. Basti pensare che, secondo gli ultimi dati Istat diffusi a dicembre scorso e riferiti al 2014, un adolescente italiano su due è stato vittima di bullismo. Dai dati emerge che poco più del 50% degli 11-17enni ha subito qualche episodio offensivo, non rispettoso e/o violento da parte di altri ragazzi o ragazze nei 12 mesi precedenti. Il 19,8% è vittima assidua di una delle “tipiche” azioni di bullismo, cioè le subisce più volte al mese. Per il 9,1% gli atti di prepotenza si ripetono con cadenza settimanale. Tra i ragazzi utilizzatori di cellulare e/o internet, il 5,9% denuncia di avere subito ripetutamente azioni vessatorie tramite sms, e-mail, chat o sui social network. Le prepotenze più comuni, secondo i dati Istat, consistono in offese con brutti soprannomi, parolacce o insulti, derisione per l’aspetto fisico e/o il modo di parlare, diffamazione aggressioni con spintoni, botte, calci e pugni (3,8%). Stando ai dati Istat per alcuni di loro difendersi dai bulli chiede aiuto ai genitori, segue poi la richiesta agli insegnanti.

La Psicologia: Aggressivi ed arroganti nei confronti dei loro coetanei più deboli, anche per colpa dei genitori che li difendono ad oltranza e spesso in maniera irragionevole. I genitori perdono il controllo dei propri figli: manca la comunicazione, il dialogo. I ragazzi di oggi postano tutto, usano la rete per aggredire. Sono meno educati di una volta, i loro genitori sono protettivi e permissivi che rasenta il lassismo. Tendono a scusare tutto, mentre, i ragazzi hanno bisogno di essere guidati. Il bullismo è una nuova forma di aggressività, una vera e propria emergenza che avviene sotto gli occhi degli adulti che non vigilano. E’ un tema di cui se ne parla ancora poco, alimentato però dai social ai danni dei soggetti più fragili. Il problema è che manca un ruolo fermo del contesto, sia esso scolastico o familiare, che spesso non si rende conto dei segnali di fragilità che la vittima lancia. È l’adulto che non vigila più. Mentre, paradossalmente, si creano situazioni di iper-protezione, per cui di fronte a una sgridata di un insegnante i genitori si ribellano. Poi però i ragazzi vengono lasciati da soli a interagire con televisione e soprattutto computer.

Perché l’assistente sociale dovrebbe occuparsi di bullismo? Alla domanda si può solo rispondere che il ruolo dei servizi sociali dovrebbe essere concepito nella logica preventiva e non dell’emergenza. La presenza dell’assistente sociale, all’interno degli sportelli d’ascolto istituiti nelle scuole, rappresenta una risorsa ai fini preventivi. L’assistente sociale venendo a conoscenza di certe situazioni, presenti nell’ambito familiare, del bambino o dell’adolescente che si rivolge allo sportello, può intervenire attraverso strumenti propri del suo bagaglio professionale, ed indirizzare il ragazzo o la famiglia, verso adeguati servizi specialistici. Importante è il ruolo dell’assistente sociale nel programmare servizi a sostegno della famiglia, ovvero, favorendo politiche a sostegno della famiglia. Affinché si possa investire adeguatamente, nel lungo termine, nella prevenzione di forme di devianza minorile, occorre puntare ad una politica, che miri al rafforzamento delle competenze genitoriali, tesa al superamento dell’istituzionalizzazione del minore, nei casi in cui la famiglia non risulti adeguata allo svolgimento del suo compito.

Cosa potrebbe fare l’opinione pubblica?  Se invece di definirlo bullismo, che purtroppo assume il sinonimo ancora di “ragazzata” giustificandolo: “succedeva anche ai miei tempi di tornare a casa con un occhio nero” commenta qualche genitore, un atto compiuto con leggerezza, iniziassimo a definirlo reato? Forse le famiglie, i complici, la scuola, la società, i Tribunali, inizierebbero a reagire seriamente a questa serie di violenze impunite. Senza indulgenza di età o di circostanze. Non è bullismo. E’ un reato. Aguzzini, violenti, carnefici. Ragazzi da recuperare e non da proteggere.

(Articolo pubblicato su “il denaro.it”)

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