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Reddito di Inclusione, boom di domande in Campania: le sfide per gli assistenti sociali

img_0217Oltre 75 mila in poco più di un mese: tante sono le domande di Reddito di Inclusione trasmesse all’Inps dai Comuni italiani tra il 1° dicembre 2017 ed il 2 gennaio 2018. Per la nuova misura unica nazionale a carattere universale per il contrasto della povertà e dell’esclusione sociale. Quasi due richieste su tre sono arrivate dalle regioni del Sud. Al primo posto c’è la Campania con quasi il 22% delle domande, seguono la Sicilia e la Calabria. Il Reddito di Inclusione viene riconosciuto a famiglie con Isee non superiore a 6.000 euro e un valore del patrimonio immobiliare diverso dalla casa di abitazione non superiore a 20.000 euro. In questa prima fase, fino al 30 giugno 2018, possono richiederlo solo le famiglie che oltre al requisito patrimoniale, abbiano in famiglia un figlio minore oppure una persona disabile, o una donna in gravidanza, oppure un disoccupato sopra i 55 anni. Dal primo luglio 2018, invece, per richiedere il Reddito di Inclusione, basterà che le famiglie siano in possesso solo dei requisiti economici e patrimoniali previsti dal decreto. Rei e “dopo di noi”, le misure più innovative del welfare nazionale, che fanno leva su un progetto individuale, mettendo al centro la professionalità degli assistenti sociali. Un progetto personalizzato di attivazione di inclusione sociale e lavorativa nel decreto legislativo 147/2017 e un progetto individuale, preceduto da una valutazione multidimensionale, nella legge 112/2016: il Reddito di Inclusione che ha debuttato il primo gennaio 2018, puntando forte sul progetto personalizzato. Detta in altri termini, significa che la misura nazionale di welfare recente più innovativa, individua nell’assistente sociale il professionista centrale per attuare il cambio di paradigma di un welfare che vuole superare la logica del “bisogno” in favore dei diritti delle persone. Una misura che apre e avvia alla collaborazione forte con altri soggetti del territorio, giocando un confronto su tre livelli: il livello politico, con cui è indispensabile raccordarsi, uno organizzativo e metodologico, perché tanti colleghi hanno ruoli di responsabilità ed un ruolo operativo, di rapporto diretto con le persone, che richiede un aggiornamento costante e un riferimento forte a elementi teorici e metodologici. La sfida che la nuova misura lancia agli addetti ai lavori è di un modello ed un linguaggio nuovo: non si parla più di utenti e di presa in carico ma di persone e di progetti di inclusione, di opportunità. Infatti, i tratti peculiari sono proprio l’autodeterminazione della persona, la cultura dell’empowerment ed il passaggio dalla prestazione alla progettazione sociale. Una misura innovativa, che si pone in una logica diversa, ma è compito degli assistenti sociali cercare le persone in povertà assoluta, anche quelle che non arrivano ai servizi, proprio perché c’è una misura che si pone come livello essenziale: la legge crea le condizioni ma l’attuazione avviene nei territori. Il Rei non è solo un sostegno economico, ma un approccio globale, fatto di opportunità lavorative, di sostegno sanitario, formativo, ciò è possibile solo se c’è un lavoro di rete professionale e di servizi. Il patto diventa opportunità se c’è comprensione di cosa sia la povertà, se si trovano spazi relazionali, se c’è promozione di reti sul territorio. Il Sia prima ed il Rei oggi partono con fatica, con difficoltà, non senza intoppi, dettati dalla carenza di personale all’interno dei comuni d’ambito, dalla mancata formazione dei professionisti, ma ciò ci dice quale sia la portata della sfida. Si sta lavorando per la costruzione di un soggetto che sia Alleanza contro la povertà. Una sfida non da poco, l’ennesima che l’Italia intraprende: ci ha già provato con la Social Card e misure tampone, ma questa è l’opportunità di crescita sia per la coesione professionale e dei servizi, quanto per i soggetti in stato di povertà e di emarginazione, che con l’aiuto non solo economico ma dei servizi sociali, viene accompagnato in un percorso fatto di autonomia e di opportunità. Una sfida che l’Italia ed i Servizi Sociali questa volta vinceranno? Solo il tempo ci potrà dire.

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine sociali per ildenaro.it)

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Lotta alla povertà, al via il Reddito di Inclusione Sociale con protagonista l’assistente sociale

IMG_0217L’obiettivo è aiutare le persone in difficoltà economica: secondo l’Istat, in Italia, sono 4,6 milioni le persone che vivono in condizione di povertà assoluta. La legge contro la povertà prevede gli interventi da mettere in campo per sostenere le famiglie più povere sparse su tutto il territorio nazionale. Da queste premesse nasce il Reddito di Inclusione Sociale (REI), un passo storico verso l’introduzione di una misura universale che tenga conto della condizione di bisogno economico e non dell’appartenenza a singole categorie. Da oggi, 1 dicembre, sarà possibile presentare la domanda per ottenere il Reddito di Inclusione, prima misura di contrasto alla povertà. Si tratta di un beneficio economico combinato ad un progetto personalizzato per: famiglie con minori, disabili, donne in gravidanza a quattro mesi dal parto, disoccupati con più di 55 anni. A partire dal primo Gennaio 2018 andrà da 187, euro, mensili, a persone singole, ad un massimo di 485 euro, mensili, per cinque componenti, erogati per un massimo di diciotto mesi, rinnovabile per altri dodici mesi ma solo se saranno passati sei mesi dal godimento della prestazione. La famiglia beneficiaria dovrà attenersi al progetto personalizzato o subirà decurtazioni o decadenza. Il reddito di inclusione non è compatibile con altri ammortizzatori sociali di un qualsiasi membro familiare. Per ottenere il beneficio l’Isee familiare non deve eccedere i sei mila euro, mentre, l’indicatore individuale Irsee non deve superare i tremila euro. Oltre l’abitazione non si possono avere immobili che valgono più di ventimila euro, e più di diecimila euro in denaro. Può essere chiesto da europei o extracomunitari con permesso di soggiorno residenti in Italia da almeno due anni. Le domande potranno essere presentate dagli interessati o da un componente del nucleo familiare in un punto d’accesso Rei che verranno identificati dai Comuni o ambiti territoriali. Il comune raccoglierà la domanda, verifica i requisiti di cittadinanza e residenza e saranno inviate entro trenta giorni lavorativi. L’Inps entro i successivi cinque giorni verifica il possesso dei requisiti e in caso di esito positivo riconosce il beneficio. Una misura di contrasto alla povertà che richiama ad un ruolo centrale l’assistente sociale, che avrà il compito di delineare un progetto personalizzato che miri al reinserimento lavorativo e all’inclusione sociale. Quindi un comune deve avere un sistema di interventi e servizi sociali con delle caratteristiche: segretariato sociale per l’accesso, servizio sociale professionale per la valutazione multidimensionale dei bisogni e la presa in carico, accordi territoriali con servizi per l’impiego, la tutela della salute e dell’istruzione, e con gli altri soggetti privati. Il progetto personalizzato seguirà due fasi importanti: una prima, definita preassessment, che orienta gli operatori e le famiglie nella decisione sul percorso da svolgere per la pre-analisi, che definisce il progetto e determina la composizione dell’equipe multidimensionale che dovrà accompagnare e attuare il progetto. Il preassessment guida e orienta l’osservazione degli operatori: raccolta delle informazioni sul nucleo familiare, i fattori di vulnerabilità dei singoli componenti, la storia familiare e la valutazione complessiva. Ogni progetto sarà seguito da un equipe, di solito formata dall’assistente sociale e dall’operatore dei servizi per l’impiego. Ma, potrebbero essere coinvolte altre figure professionali in base alle problematiche presentate dal nucleo familiare. Segue poi la fase dell’assessment, un quadro di analisi, che identifica i bisogni e le potenzialità dei componenti familiari. Tre sono le dimensione che verranno prese in considerazione: i bisogni della famiglia e dei componenti per cui si guarderà al reddito, alla salute e all’istruzione; le risorse che possono essere attivate, capacità e potenzialità; e i fattori ambientali che possono sostenere questo percorso, ovvero, rete familiare e reti sociali. La progettazione mirerà soprattutto al superamento della condizione di povertà, all’inserimento lavorativo dei componenti familiari, per cui i componenti familiari si assumeranno delle responsabilità. Una misura che non và vista come il classico gettito di soldi rivolto a chiunque e da utilizzare, ma come un punto di partenza, una possibilità per riscattarsi a livello sociale e lavorativo. Ma, è una misura che rischia di fallire anche perché molti comuni del Sud Italia non sono pronti alla misura, manca il personale: gli assistenti sociali sono sotto organico, di nuove assunzioni neanche l’ombra, e si rischia che le pratiche restino impolverate in qualche ufficio mentre le buone intenzioni del Governo resteranno solo utopia in un investimento che sembra più perdere che vincere.  Noi vogliamo avere fiducia nel nostro Governo e vogliamo credere che il Sia rappresenti una reale misura per contrastare la povertà e l’esclusione sociale.

(Pubblicato in Pagine sociali il mio blog per ildenaro.it)

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