Sono quasi 900 mila, nel solo primo trimestre del 2018, le persone che beneficiano delle misure di contrasto alla povertà, e di queste sette su dieci risiedono al Sud Italia. Campania in testa, seguita da Sicilia e Calabria. E’ quanto emerso dall’Osservatorio statistico sul Reddito di Inclusione, presentato nei giorni scorsi dall’Inps e dal Ministero del Lavoro, e nel primo trimestre alle famiglie in difficoltà economica sono arrivati i primi pagamenti, per un contributo mensile di 297 euro che varia da regione a regione. Si passa da un minimo di 225 euro per la Valle d’Aosta fino ai 328 per la Campania, le regioni del Sud hanno un valore medio più alto di quelle del nord e del centro. I dati e le famiglie si coniugano poi alle 476 mila persone del Sia, avviato nel 2017. Per le famiglie in difficoltà il Rei, è uno dei principali sostegni economici ed infatti non si arresta la corsa ai servizi sociali per accedere al reddito di inclusione. E dal primo luglio la platea sia per nuclei che per persone aumenterà, visto che resterà in piedi il solo valore dell’Isee, mentre le ulteriori accezioni ad oggi previste, come nuclei familiari con persone in stato di handicap, persone ultra cinquantenni, verranno meno. E se 900 mila persone beneficiano di un sostegno che dovrebbe andare oltre all’aspetto economico ed essere accompagnato nei prossimi mesi da un progetto di reinserimento sociale e lavorativo dai servizi sociali dei comuni, l’Italia si attesta ancora il primo paese europeo per numero di cittadini in condizioni di deprivazione. Sono 10,5 milioni le persone in stato di indigenza. La classifica Eurostat vede l’Italia davanti a Romania e Francia. Sono considerate indigenti le persone che non si possono permettere almeno cinque cose necessarie per una vita dignitosa, come un pasto proteico ogni due giorni, abiti decorsi, due paia di scarpe, una settimana di vacanza all’anno, una connessione a internet. Negli ultimi dieci anni i poveri assoluti, chi non è in grado di acquistare nemmeno beni e servizi essenziali, sono triplicati nel Sud Italia. Ci sono i giovani che hanno superato gli anziani e gli stranieri, ma soprattutto le famiglie con due o più figli: la crisi economica ha ridisegnato la mappa dell’indigenza tra le fasce sociali. Dato preoccupante sono i minori: un minore su dieci vive in una situazione di grave indigenza: 1.31.000 per l’esattezza. La fotografica è stata scattata dal rapporto Caritas ed è drammatica. Aumentano, infatti, gli italiani che si rivolgono ai centri d’ascolto della Caritas. Disoccupati, precari e pensionati: la povertà in Italia cambia volto. E soprattutto continua ad aumentare. C’è l’impiegato che ha perso il lavoro e l’imprenditore con l’azienda fallita. C’è il ragioniere e l’avvocato. C’è la pensionata, l’operaio licenziato e l’esodato. Alle mense italiane della Caritas ci sono sempre più italiani. Non solo senzatetto, clochard e sbandati. L’esercito dei nuovi poveri è quello della gente comune, delle persone qualunque, uomini e donne della porta accanto, padri e madri, lavoratori e lavoratrici senza più lavoro, stroncati dalla crisi e dal precariato, finiti sul baratro da un giorno all’altro. Tra i tavoli delle mense italiane si ascoltano le storie di vita quotidiana, storie che potrebbero accadere ad ognuno di noi. C’è chi si ritrova in bilico tra la perdita del lavoro e l’attesa della pensione, è quello che oggi si chiama esodato. Si ritrovano dopo il ridimensionamento dell’azienda a far fronte all’affitto da pagare, alle spese, troppe per poter saldare senza un lavoro e così si ritrovano con la loro dignità tra i tavoli della Caritas e cercano anche ospitalità per la notte. Gli italiani alla Caritas non smettono di credere in un futuro migliore. Tenaci e non arrendevoli, nonostante tutto, seppur covano dentro rabbia contro il mondo del lavoro e contro la politica. Ma nelle mense trovano spazio, ascolto prima ancora che un pasto, gli operatori infatti riescono a supportare ed incoraggiare quanti prendono parte alla mensa, che resta l’unica realtà a cui potersi rivolgere per chi è in difficoltà. Ricerca della propria dignità, ricominciare per se stessi e per la propria famiglia, cercando autonomia ed autostima, è questo quello che emerge nell’ascoltare chi oggi fatica a reinserirsi nel tessuto lavorativo e fa i conti con lo stato di indigenza, ed è per questo che il Rei, potrà funzionare “solo” in parte, seppur nasce non solo come misura economica fine a se stessa, in quanto prevede il ruolo centrale degli assistenti sociali nel disegnare un progetto comune con l’utente per il reinserimento sociale, eppure però nei piccoli comuni ci si scontra con l’aumento delle domande, la carenza di personale, ed un progetto assistenziale difficile da disegnare senza servizi e senza equipe, infatti, i primi risultati si basano proprio sul solo aspetto economico, mentre l’aspetto sociale e dignitoso degli utenti tarda a decollare e ad arrivare, rischiando di restare un solo aiuto economico che ben presto terminerà senza lasciare autonomia e capacità di reazione nell’utente in stato di difficoltà.
(Articolo pubblicato per il mio blog Pagine sociali per ildenaro.it)
Oltre 75 mila in poco più di un mese: tante sono le domande di Reddito di Inclusione trasmesse all’Inps dai Comuni italiani tra il 1° dicembre 2017 ed il 2 gennaio 2018. Per la nuova misura unica nazionale a carattere universale per il contrasto della povertà e dell’esclusione sociale. Quasi due richieste su tre sono arrivate dalle regioni del Sud. Al primo posto c’è la Campania con quasi il 22% delle domande, seguono la Sicilia e la Calabria. Il Reddito di Inclusione viene riconosciuto a famiglie con Isee non superiore a 6.000 euro e un valore del patrimonio immobiliare diverso dalla casa di abitazione non superiore a 20.000 euro. In questa prima fase, fino al 30 giugno 2018, possono richiederlo solo le famiglie che oltre al requisito patrimoniale, abbiano in famiglia un figlio minore oppure una persona disabile, o una donna in gravidanza, oppure un disoccupato sopra i 55 anni. Dal primo luglio 2018, invece, per richiedere il Reddito di Inclusione, basterà che le famiglie siano in possesso solo dei requisiti economici e patrimoniali previsti dal decreto. Rei e “dopo di noi”, le misure più innovative del welfare nazionale, che fanno leva su un progetto individuale, mettendo al centro la professionalità degli assistenti sociali. Un progetto personalizzato di attivazione di inclusione sociale e lavorativa nel decreto legislativo 147/2017 e un progetto individuale, preceduto da una valutazione multidimensionale, nella legge 112/2016: il Reddito di Inclusione che ha debuttato il primo gennaio 2018, puntando forte sul progetto personalizzato. Detta in altri termini, significa che la misura nazionale di welfare recente più innovativa, individua nell’assistente sociale il professionista centrale per attuare il cambio di paradigma di un welfare che vuole superare la logica del “bisogno” in favore dei diritti delle persone. Una misura che apre e avvia alla collaborazione forte con altri soggetti del territorio, giocando un confronto su tre livelli: il livello politico, con cui è indispensabile raccordarsi, uno organizzativo e metodologico, perché tanti colleghi hanno ruoli di responsabilità ed un ruolo operativo, di rapporto diretto con le persone, che richiede un aggiornamento costante e un riferimento forte a elementi teorici e metodologici. La sfida che la nuova misura lancia agli addetti ai lavori è di un modello ed un linguaggio nuovo: non si parla più di utenti e di presa in carico ma di persone e di progetti di inclusione, di opportunità. Infatti, i tratti peculiari sono proprio l’autodeterminazione della persona, la cultura dell’empowerment ed il passaggio dalla prestazione alla progettazione sociale. Una misura innovativa, che si pone in una logica diversa, ma è compito degli assistenti sociali cercare le persone in povertà assoluta, anche quelle che non arrivano ai servizi, proprio perché c’è una misura che si pone come livello essenziale: la legge crea le condizioni ma l’attuazione avviene nei territori. Il Rei non è solo un sostegno economico, ma un approccio globale, fatto di opportunità lavorative, di sostegno sanitario, formativo, ciò è possibile solo se c’è un lavoro di rete professionale e di servizi. Il patto diventa opportunità se c’è comprensione di cosa sia la povertà, se si trovano spazi relazionali, se c’è promozione di reti sul territorio. Il Sia prima ed il Rei oggi partono con fatica, con difficoltà, non senza intoppi, dettati dalla carenza di personale all’interno dei comuni d’ambito, dalla mancata formazione dei professionisti, ma ciò ci dice quale sia la portata della sfida. Si sta lavorando per la costruzione di un soggetto che sia Alleanza contro la povertà. Una sfida non da poco, l’ennesima che l’Italia intraprende: ci ha già provato con la Social Card e misure tampone, ma questa è l’opportunità di crescita sia per la coesione professionale e dei servizi, quanto per i soggetti in stato di povertà e di emarginazione, che con l’aiuto non solo economico ma dei servizi sociali, viene accompagnato in un percorso fatto di autonomia e di opportunità. Una sfida che l’Italia ed i Servizi Sociali questa volta vinceranno? Solo il tempo ci potrà dire.