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Lunga vita agli anziani, arriva il co-housing: la coabitazione tra nonni

untitled 2Coinquilino, roomate o compagno di stanza sono ormai termini in disuso: oggi la parola d’ordine è co-housing. Si tratta di qualcosa di più della semplice condivisione di un appartamento: spesso si creano degli spazi comuni, all’interno dei condomini, dove poter non solo trascorrere del tempo insieme, ma persino realizzare attività che siano di aiuto per gli altri. Nelle grandi città italiane, ad esempio, ci sono i primi condomini dove, in apposite aree comuni, qualcuno si occupa di tenere i figli propri e quelli degli altri, mentre altri si occupano di andare a fare la spesa per tutti. Il co-housing, che sta cambiando, costringendo gli architetti a rivedere le concezioni di living tradizionali, arriva come antidoto della solitudine degli anziani, creando uno spazio di coabitazione. Chiacchierano, coltivano i propri hobby, raccontano aneddoti della propria gioventù, e soprattutto si “fanno compagnia”, ascoltati dai più giovani e da quelli che ormai considerano dei veri e propri familiari nonostante non ci sia alcun vincolo di parentela. Una convivenza che abbatte i costi, ma anche la solitudine ed i rischi legati alla terza età, come le truffe e gli incidenti domestici. Non solo. Gli anziani sono datati, se richiesto dai familiari, anche di gps per poter essere rintracciati, se fuori casa, in caso di perdita di senso dell’orientamento. L’esperienza del co-housing, parola inglese che ha sostituito in Italia il vecchio concetto di “convivenza” tra i coinquilini, nasce in Danimarca negli anni ’60. Oggi è diffuso in tutto il mondo: dalla Svezia, al Giappone, passando per la Francia e gli Stati Uniti. Anche in Italia ormai ha preso piede, affermandosi soprattutto nella terza età. Non una casa di riposo o di cura, ma un appartamento dove gli anziani convivono, in alcune co-housing, come ad Acerra in provincia di Napoli, vi sono degli operatori socio-sanitari, una cuoca ed uno psicologa che li aiutano nella coabitazione. In questi casi, nessuno indossa un camice e si rivolgono agli ospiti chiamandoli “nonni”, in modo da farli stare a proprio agio in un ambiente nuovo. La coabitazione tra nonni lascia alle spalle la solitudine, così come i problemi legati alla gestione economica di un appartamento, che molti, ormai non possono permettersi. In Italia la popolazione anziana è pari a 2 milioni e 300 mila persone sopra i 75 anni che vivono da sole in case di proprietà con quattro o più stanze. Il progressivo aumento della popolazione anziana comporta la necessità di individuare sistemi di sostegno all’invecchiamento attivo. Così si fa largo il co-housing per nonni, in alcune realtà convivono anziani e non. Gli anziani soli con case grandi ospitano i più giovani: studenti fuori sede, o semplicemente loro coetanei in difficoltà economica, ospitandoli a modici prezzi. In cambio però devono collaborare nei lavori domestici, nel pagamento delle utenze e farsi compagnia a vicenda. Una realtà che si sta diffondendo piano piano con le paure e le diffidenze del caso anche in Italia incontrando vantaggi e svantaggi. I vantaggi sono molteplici. Non solo possibilità per gli anziani di vivere in un ambiente più stimolante di una casa di riposo, ma anche un’innovazione dei servizi di cura, grazie all’aiuto reciproco “co-care” che permette di risolvere con facilità alcuni problemi assistenziali non gravi. Il co-hounsing è anche la soluzione più economica: anche per aggregare la domanda di servizi. D’altra parte la difficoltà del vivere comune, soprattutto per gli anziani, sta nel dover condividere i propri spazi, ma è solo questione di abitudine. Che il co-housing funzioni in Europa e anche in alcune zone d’Italia e che sia una valida alternativa è fuori dubbio, ma sarebbe anche opportuno che tutti noi ci impegnassimo a riformulare la società, imparando a non misurare il tempo in base alla produttività, ritagliandoci tempo per la condivisione proprio con gli anziani e riconoscendone il valore sociale, umano e storico. Perché ciò avvenga, occorre tempo, disponibilità a mettere in discussione la propria vita, stabilendo nuove scale di valori e nuove priorità. Un compito non semplice, che se ci impegnassimo un po’ forse riusciremmo a raggiungere o quantomeno a cercare di perseguire. Bastano piccoli gesti quotidiani e piccole importanti attenzioni ai nostri nonni.

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine sociali per ildenaro.it)

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La violenza delle baby gang contro gli anziani: come nasce e cosa nasconde

IMG_0217La vittima scelta a caso, appoggiata al suo bastone. Lo puntano dall’altro lato della strada. Lo sorprendono come una preda, mentre riprendono tutto con il cellulare. Cappuccio in testa, tutti minorenni, il più piccolo ha tredici anni. Si appostano, fingono di chiacchierare, all’improvviso uno di loro lascia il gruppo e scappa all’imboscata e va dritto verso l’anziano invalido. Un solo gesto, gli strappa il bastone, l’uomo cade a terra, un coro in sottofondo sghignazza e finisce presto sul web. Sarà proprio il video ad incastrare gli aggressori, tutti denunciati tranne il tredicenne non imputabile. Baby gang contro i nonnini. Scherzi, aggressioni, derisioni ai danni degli anziani, così i giovanissimi colpiscono la generazione che potrebbe arricchirli di valori e di racconti. L’ultima aggressione ci catapulta in una società dove la compassione non è più un valore. I ragazzi che hanno aggredito l’anziano di Seravalle pistoiese non percepiscono le condizioni di debolezza, anzianità, vulnerabilità della persona aggredita, diventata, invece, oggetto per dimostrare la loro forza, che annulla ogni sentimento di misericordia che possano avere, una mancanza che può diventare valore, da fargli ricercare. L’assenza di sentimenti di compassione è comune a molti giovanissimi d’oggi, a causa di una famiglia poco incline all’educazione, ai valori, ma anche all’assenza di educazione sentimentale nelle scuole. Siamo convinti che questi sentimenti nascono da soli, quando invece le basi nascono dalla famiglia prima e dalla scuola poi, con una costante che guarda all’altruismo. Sono ragazzi assenti nella loro stessa vita: si vestono in modo uniforme, incappucciati con felpa nera: come una divisa da ragazzo cattivo, un’uniforme anonima, che rende cattivo e non riconoscibile. Segno di una vita spenta, priva di colori, prima di sentimenti nobili e fragili, di altruismo e generosità, di aiuto ed educazione per i più deboli. Sono lontani i tempi di nonni e ragazzini che si scambiavano ricordi e storie, in un costante arricchimento. E allora, i bulli vanno educati alla cura delle persone anziane per molto tempo, che sarà tempo prezioso, e non sarà una punizione ma l’occasione della loro vita. C’è bisogno di tornare a “punizioni” sociali, che abbracciano ed integrano, facendo conoscere il valore dell’aiuto, della solidarietà, dell’educazione ai giovanissimi. Denunce senza condanne rieducative, sono nulle. Rischiamo di avere ragazzini più cattivi e più bulli, che si sentono forti e potenti, ma di fatti sono vuoti: non hanno sentimenti, credono che con la violenza tutto gli sia concesso: la ragazzina che gli piace, l’anziano che diventa oggetto della loro goliardia, accrescendo in loro la sete di potenza e spavalderia. Sono “sos” che i più giovani lanciano e che vanno letti per progettare programmi rieducativi fatti di incontri tra i più giovani e gli anziani, ma anche tra i più giovani e le fasce deboli della società: barboni, minori in difficoltà, ritornare al volontariato, ad iniziative sociali non potrà che far bene al nostro Paese e alle nostre generazioni ormai allo sbando e legati ai colori e alla luminosità degli smartphone. In Toscana, l’amministrazione regionale da tempo attraverso il Servizio Civile ed altri progetti destinati ai giovani, punta su un confronto generazionale che possa accrescere altruismo e generosità, prendendosi cura proprio degli anziani, con l’intento di far crescere nelle nuove generazioni ragazzi come cittadini e soprattutto come persone degne di questo nome.

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine sociali per ildenaro.it)

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Umiliati e offesi.Quando l’anzianità diventa un inferno

Umiliati e offesi. Quando l’anzianità diventa un inferno
La chiamano terza età, l’aspettano in tanti per godersi il riposo,la pace, la serenità, per guardarsi dentro dopo una vita di fatiche e di sofferenze. Eppure spesso l’anzianità diventa un inferno, al quale si vorrebbe sfuggire ma non si hanno né i mezzi né le forze per farlo. E’ dell’altro giorno la notizia dell’ennesimo scandalo in una Casa di Riposo di Terni. Oserei chiamarla una casa lager, piuttosto che di riposo. Anziani, umiliati, offesi, presi a calci e morsi, sottoposti ad angherie di ogni genere e denunciati soltanto perché in qualcuno di loro la coscienza si è risvegliata e i sensi di colpa pesavano troppo per quegli atti cruenti e disumani. Le telecamere nascoste hanno filmato tutto, senza sconti e la struttura è finita sotto sequestro. Le immagini forti che toccano il cuore, mostrano anziani insultati e maltrattati, percossi con strattoni, schiaffi e morsi. Come si vive senza avere dei rimorsi? Anziani deboli e stanchi di una vita fatta di sofferenze e di sacrifici sottoposti a maltrattamenti di ogni tipo senza neanche avere la possibilità di parlare con qualcuno e finire l’esistenza nel dolore e nell’abbandono, senza il conforto e l’affetto di nessuno. Anziani che spesso vengono rinchiusi nelle case di riposo e lasciati soli, abbandonati al loro destino, senza speranze e amore, affetto. Troppo anziani per tenerli in casa, troppo anziani per curarli, amarli. Ma che senso ha poi rimpiangerli, lasciar posto alle lacrime? Eppure nelle case lager, non sono curati nell’igiene. In molti casi le morti sono sospette. Deboli ed indifesi tra le iene. Eppure le rette sono altissime. Certo è più facile pagare una retta per “scaricarsi la coscienza”, ma a quell’ anziano solo e indifeso nessuno ci pensa? Sono episodi di inaudita gravità. Eppure è un tema che spesso ricorre tra l’opinione pubblica e rimbalza in tivù e sui giornali. Come si può chiamare “Casa di riposo”, delle celle ancor peggio delle prigioni, dove non esistono diritti, umanità, ma solo avidità e profitto? Dopo una vita dedicata ai figli, alla vita, meritano i sorrisi e la spensieratezza di un attimo, di un momento, prima del distacco. I genitori li trattiamo come un pacco. Nell’anima mi resta una ferita. Mentre la nostra società preferisce l’indifferenza.

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