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Baby gang e violenza, ecco come un ragazzo si trasforma in un potenziale delinquente

Baby criminali, sempre più “baby”. Quelli che delinquono, sono sempre più giovani e pronti a commettere i reati più gravi. L’età dei giovani delinquenti si abbassa vertiginosamente e sulle scrivanie dei Pm minorili e degli assistenti sociali arrivano atti di indagine che coinvolgono anche ragazzini di dieci anni. Aumentano le denunce a danno dei minorenni per rapine e per produzione e commercio di stupefacenti. A destare maggiore allarme sociale è l’abbassamento dell’età media di ingresso in circuiti criminali che oscilla tra i 14 ed i 12 anni, con fenomeni che riguardano anche ragazzini intorno ai 10 anni. Crescono anche i reati in concorso, si creano sempre più imprese di baby gang, che in alcune realtà creano un vero allarme sociale. In alcuni casi la composizione della baby gang cambia in base al “colpo”. Le bande adolescenti agiscono sotto la regia del capo, magari poco più grande degli altri, presente a tutti i colpi. L’adolescenza rappresenta una delle fasi della vita maggiormente delicate, durante la quale qualsiasi evento può lasciare un segno indelebile. L’adolescente che commette un reato sperimenta il superamento del limite, in questo caso specifico posto dalla Legge, che tutti in forma convenzionale rispettano. In frequenti casi alla base della delinquenza minorile vi sono fattori riconducibili ai contesti socio-culturali abbastanza carenti, spesso aggravati da situazioni familiari di disagio o con scarsa educazione. I motivi però non sono rintracciabili solo al contesto di appartenenza, ma anche alla predisposizione caratteriale che tende a voler superere i limiti imposti. Nel sistema penale minorile la detenzione in Istituto viene presa in considerazione come estrema ratio, predisponendo misure alternative come il collocamento in comunità. Le prime reazioni dei ragazzini sono di depressione, in quanto si ritrova recluso e con regole ben precise, esperienza opposta alla commissione del reato. Successivamente scatta la fase di elaborazione dei motivi che lo hanno condotto in comunità, cruciale è il ruolo degli adulti di riferimento, che lo aiuteranno ad affrontare con consapevolezza i primi passi verso la responsabilizzazione, che previene fenomeni di recidiva. Difatti, i dati dimostrano come i minori sottoposti a misure alternative alla detenzione presentino tassi di recidiva notevolmente inferiori rispetto a quelli detenuti in Istituto. Fondamentale nel processo di crescita di un ragazzo è senza dubbio la famiglia, principale punto di riferimento. L’adolescente in questa fase della vita investe moto anche sul gruppo dei pari. In questo senso, la famiglia ha il compito di osservarlo sia nel contesto individuale che in gruppo. La delinquenza giovanile è spesso una manifestazione di reati in concorso con altri ragazzi ed è quindi difficilmente controllabile dall’adulto. E’ fondamentale un’azione educativa coordinata e sinergica tra i genitori e talvolta anche con la scuola, in cui i genitori rappresentano sempre il fulcro dell’intervento educativo.

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine Sociali per ildenaro.it)

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La violenza delle baby gang contro gli anziani: come nasce e cosa nasconde

IMG_0217La vittima scelta a caso, appoggiata al suo bastone. Lo puntano dall’altro lato della strada. Lo sorprendono come una preda, mentre riprendono tutto con il cellulare. Cappuccio in testa, tutti minorenni, il più piccolo ha tredici anni. Si appostano, fingono di chiacchierare, all’improvviso uno di loro lascia il gruppo e scappa all’imboscata e va dritto verso l’anziano invalido. Un solo gesto, gli strappa il bastone, l’uomo cade a terra, un coro in sottofondo sghignazza e finisce presto sul web. Sarà proprio il video ad incastrare gli aggressori, tutti denunciati tranne il tredicenne non imputabile. Baby gang contro i nonnini. Scherzi, aggressioni, derisioni ai danni degli anziani, così i giovanissimi colpiscono la generazione che potrebbe arricchirli di valori e di racconti. L’ultima aggressione ci catapulta in una società dove la compassione non è più un valore. I ragazzi che hanno aggredito l’anziano di Seravalle pistoiese non percepiscono le condizioni di debolezza, anzianità, vulnerabilità della persona aggredita, diventata, invece, oggetto per dimostrare la loro forza, che annulla ogni sentimento di misericordia che possano avere, una mancanza che può diventare valore, da fargli ricercare. L’assenza di sentimenti di compassione è comune a molti giovanissimi d’oggi, a causa di una famiglia poco incline all’educazione, ai valori, ma anche all’assenza di educazione sentimentale nelle scuole. Siamo convinti che questi sentimenti nascono da soli, quando invece le basi nascono dalla famiglia prima e dalla scuola poi, con una costante che guarda all’altruismo. Sono ragazzi assenti nella loro stessa vita: si vestono in modo uniforme, incappucciati con felpa nera: come una divisa da ragazzo cattivo, un’uniforme anonima, che rende cattivo e non riconoscibile. Segno di una vita spenta, priva di colori, prima di sentimenti nobili e fragili, di altruismo e generosità, di aiuto ed educazione per i più deboli. Sono lontani i tempi di nonni e ragazzini che si scambiavano ricordi e storie, in un costante arricchimento. E allora, i bulli vanno educati alla cura delle persone anziane per molto tempo, che sarà tempo prezioso, e non sarà una punizione ma l’occasione della loro vita. C’è bisogno di tornare a “punizioni” sociali, che abbracciano ed integrano, facendo conoscere il valore dell’aiuto, della solidarietà, dell’educazione ai giovanissimi. Denunce senza condanne rieducative, sono nulle. Rischiamo di avere ragazzini più cattivi e più bulli, che si sentono forti e potenti, ma di fatti sono vuoti: non hanno sentimenti, credono che con la violenza tutto gli sia concesso: la ragazzina che gli piace, l’anziano che diventa oggetto della loro goliardia, accrescendo in loro la sete di potenza e spavalderia. Sono “sos” che i più giovani lanciano e che vanno letti per progettare programmi rieducativi fatti di incontri tra i più giovani e gli anziani, ma anche tra i più giovani e le fasce deboli della società: barboni, minori in difficoltà, ritornare al volontariato, ad iniziative sociali non potrà che far bene al nostro Paese e alle nostre generazioni ormai allo sbando e legati ai colori e alla luminosità degli smartphone. In Toscana, l’amministrazione regionale da tempo attraverso il Servizio Civile ed altri progetti destinati ai giovani, punta su un confronto generazionale che possa accrescere altruismo e generosità, prendendosi cura proprio degli anziani, con l’intento di far crescere nelle nuove generazioni ragazzi come cittadini e soprattutto come persone degne di questo nome.

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine sociali per ildenaro.it)

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Le baby gang e il modello Gomorra: così la fiction si confonde con la realtà

6834932-strumenti-moderni-giornalista-computer-portatile-bianco-taccuino-e-una-penna-profondit-di-campo-messL’ultima vittima ha sedici anni, si chiama Ciro, è uno studente liceale, domenica sera una baby gang, gli ha rotto il naso davanti ad una fermata della metropolitana di Napoli. Insulti e poi pesanti aggressioni ai danni del sedicenne. La polizia cerca gli aggressori di Ciro nei filmati delle telecamere della stazione. Il nome di Ciro si aggiunge a quello di tanti altri ragazzini napoletani: sei quelli aggrediti soltanto negli ultimi cinquanta giorni, feriti nel fisico e nell’animo dalla rabbia ceca di altri coetanei, molti di questi girano armati con coltelli in tasca e catene, mentre l’aspirale della violenza giovanile in città cresce e preoccupa. Questa mattina un vertice in Prefettura a Napoli ha riunito attorno ad un tavolo il ministro dell’Interno, Marco Minniti e le forze dell’ordine, per cercare insieme misure per contrastare l’escalation di episodi di violenza giovanile ad opera di babygang che da settimane terrorizzano gli adolescenti napoletani. Un’emergenza. Di “baby” hanno solo l’appellativo. Le gang di minori, che paralizzano la città, sono infatti, fenomeni criminali che hanno assunto proporzioni inquietanti tanto da lanciare un allarme sociale al pari della camorra. Facce ribelli, atteggiamenti da adulti, forti del branco ma bambini alla stregua delle vittime, odio e rabbia che si riversano in persecuzioni e violenze: sono gli orde di giovanissimi, cresciuti nel mito di “Gomorra”, hanno ambizioni di malavita uguali a quelli degli adulti. Lo scrivono sui social e lo dimostrano coi fatti. I profili di molti giovanissimi sono pieni di foto in cui impugnano coltelli, tirapugni appuntiti, pistole. Mentre si muovono in branco, come i lupi o le iene. Hanno un loro slang, si vestono tutti allo stesso modo. La guerra ai baby criminali a Napoli è appena all’inizio, caratterizzata da babygang che ormai si mostrano apertamente con rappresaglie e con l’auto celebrazione tramite l’uso dei social network. Gruppi composti da decine di giovanissimi, tra i 10 e i 12 anni, che entrano nel vortice della violenza con scorribande e dimostrazioni di potenza sia contro i loro coetanei sia nei confronti delle bande rivali che continuano a spuntare in giro per i quartieri popolari della città. Spinelli tra le labbra e pistole, i giovani emulatori di “Gomorra” imitano i grandi e lanciano messaggi ai nemici. In alcuni profili si possono notare le esaltazioni dei seguaci che commentano le esternazioni “da grandi” della futura generazione di camorristi. Dopo “Gomorra” le stese a Napoli sono aumentate. Violenza delle babygang, dei criminali di nuova generazione, contro tutto e tutti, randomiche, senza un senso preciso. Un prodotto di finzione che nasceva con l’idea di smantellare un sistema: quello della camorra, radicato come un cancro nel sistema napoletano, che si è trasformato per molti giovanissimi in idoli da ammirare ed emulare: affascinati dall’odio e dalla rabbia, dal brivido del gruppo, scaricando la violenza sui loro coetanei che ricevono del male senza una ragione apparente, facendo i conti col dolore fisico e quello dell’anima, che solo con un lento e lungo percorso di riabilitazione potrà essere accantonato. “Gomorra” è stata la ricchezza di Napoli, comparse, società di catering, un indotto economico per il territorio, le migliorie, dirette o indirette, nella vita di centinai di professionisti, ma il dubbio sorge. Se Gomorra, la serie, ha influenzato così negativamente i giovani, portandoli al crimine, perché Gomorra, nella persona della produzione, non riesce a influenzare chi governa e fa politica, e a investire su cose che servono effettivamente alla comunità, come ad esempio centri di aggregazione giovanile? Sarà forse che una è finzione e l’altra è realtà? E perché una è una società privata e l’altra, ben più costosa e lenta, è un’amministrazione pubblica? Domande che forse non trovano una risposta in una città che oggi si confronta con una violenza inaudita che rischia di generare potenti criminali del domani. Il successo ha trasformato Gomorra in una pseudo griffe culturale per le nuovissime generazioni, complice anche l’incapacità istituzionale, proponendo il solo modello culturale sbagliato senza esempi positivi, senza alternative ai giovani, abbandonati alla loro rabbia, alla strada e ai suoi richiami. Portare in tv Gomorra, assume effetti devastanti sui “figli di nessuno” che vedono nei clan e nella violenza l’unica “impresa” pronta ad “investire” su di loro. Questi giovanissimi hanno bisogno di seminare ed investire nel bene e nella cultura non sulla violenza, ma se non hanno esempi, indirizzi, spazi per loro si apriranno solo le porte del carcere minorile oggi e quello che ospita gli adulti domani, ritrovandoci adulti dediti al crimine e alla violenza, rischiando la morte, proprio come alcuni protagonisti di Gomorra nelle loro guerre di bande.

(Articolo pubblicato sul mio blog “Pagine sociali” per ildenaro.it)

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