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Matrimoni gay, gli Stati non possono ostacolare il soggiorno del coniuge. Lo sentenza la Corte Ue

untitled 2Gli Stati non possono ostacolare il soggiorno del coniuge, che rimane tale anche se appartiene ad uno Stato che non riconosce i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Lo ha stabilito con una sentenza la Corte di giustizia dell’Unione Europea che ha di fatto riconosciuto i matrimoni tra persone dello stesso sesso “ai sensi delle regole – si legge- sulla libera circolazione delle persone”. La decisione arriva in seguito ad un ricorso presentato alcuni mesi fa da un cittadino romeno e dal suo consorte americano. I giudici di Lussemburgo hanno deciso che la nozione di “coniuge”, ai sensi delle disposizioni del diritto dell’UE sulla libertà di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, comprende i coniugi dello stesso sesso. Per cui, gli Stati membri sono liberi di autorizzare o meno il matrimonio omosessuale, ma non possono ostacolare il soggiorno di un coniuge seppur dello stesso sesso, anche se è si tratta di un cittadino di un paese non appartenente all’Unione Europea, ha pienamente diritto al soggiorno sul loro territorio. Tuttavia i giudici di Lussemburgo hanno stabilito che il rifiuto da parte di uno Stato membro di riconoscere ai fini del diritto di soggiorno derivato il matrimonio tra persone dello stesso sesso, legalmente contratto in un altro Stato membro, è atto ad ostacolare l’esercizio del diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio dell’Ue. La libertà di circolazione, infatti, varierebbe da uno Stato membro all’altro in funzione delle disposizioni di diritto nazionale che disciplinano il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Una sentenza che mostra un lato matrimonialista ugualitario per persone dello stesso sesso. Seppur l’Italia sia l’unico paese fondatore dell’Ue a non riconoscere il matrimonio omosessuale, il diritto riconosciuto oggi dalla Corte Europea, da noi è già realtà dal 2012. Fu il tribunale di Reggio Emilia a riconoscere il permesso di soggiorno a un giovane urugayano sposato con un italiano in Spagna, proprio appellandosi alla libera circolazione dei cittadini europei e dei loro familiari. Sentenza a cui fece seguito una circolare del ministero dell’Interno. Ma, la sentenza dei giudici di Lussemburgo sancisce che la nozione di “coniuge” riguarda anche i matrimoni contratti da persone dello stesso sesso, a prescindere, se lo Stato membro autorizzi il matrimonio omosessuale. Una sentenza storica, che abbatte gli ultimi ostacoli legislativi e forse anche mentali e abbraccia sempre più l’amore e le coppie arcobaleno, equiparandole alle coppie eterosessuali. Perché è una sentenza che ci ricorda ancora una volta che il diritto dell’UE non fa distinzione tra coppie omosessuali e etero regolarmente sposate. Uno “schiaffo” al neo ministro Fontana, alla guida del neo dicastero “famiglia e disabilità”, che nei giorni scorsi, è stato autore della teoria “il nostro popolo è sotto attacco” a causa delle unioni omosessuali e delle migrazioni. Per questo, bisogna, secondo lui, difenderlo con la battaglia di vita. La speranza è che il ministro si ricreda, alla luce anche dell’ultima sentenza dell’Unione Europea, che abbatte quelle poche ultime barriere limitatorie, magari dovremmo guardare più all’interno di una realtà fatta ancora di discriminazioni quotidiani ai danni degli omosessuali, di violenze e diritti umani e culturali sempre più ristretti. Come ha ricordato, Monica Cirinnà, autrice della legge sulle unioni civili, le famiglie arcobaleno sono una realtà nel nostro paese ed in due anni dall’approvazione della legge, che segnò ultima l’Italia in Europa sul tema, sono oltre ottomila le famiglie arcobaleno. Ultima unione in ordine di tempo un 93 enne ed il suo compagno 87 enne, che erano uniti dall’amore dal 1960. In questo lasso di tempo, due anni, sono oltre 17 mila le persone dello stesso sesso che si sono presentate davanti ai sindaci italiani per sancire ufficialmente la loro unione. Secondo i dati calcolati dal ministero degli Interni, aggiorni al 31 dicembre scorso, sono state 8.506 le coppie lgbt che si sono unite in matrimonio, di cui 6073 nel solo 2017. Numeri ai quali si aggiungono le coppie unitesi nel 2018. I dati registrano più unioni civili al nord rispetto al sud, dove il timore è ancora forte, ed è per questo che i timori non vanno alimentati ma placati, perché c’è famiglia dove c’è amore e questo va riconosciuto e non ostacolato, partendo dai diritti civili e sociali.

(Articolo pubblicato per il mio blog Pagine sociali per ildenaro.it)

 

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Dove c’è Barilla c’è…?

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Pubblicità accattivanti, colorante, dove protagonista era la famiglia tradizionale sempre felice davanti a un piatto di pasta. Questa l’immagine a cui la Barilla, il noto marchio italiano, produttore per eccellenza della pasta, leader di esportazione del marchio che viene acquistato all’estero dagli italiani e dagli stranieri, ci ha abituati a vedere. Suo il motto “Dove c’è Barilla c’è casa”.

Ma “Dove c’è Barilla c’è casa, ma non per i gay”. Lo slogan della multinazionale italiana viene rivisitato, in queste ore, sui social network, a cui fa seguito una campagna al boicottaggio di tutti i suoi prodotti. Una campagna contro che è stata, paradossalmente, sollecitata dallo stesso patron Barilla, Guido Barilla, che durante una trasmissione radiofonica, ha tuonato contro le famiglie omosessuali. “Non metterei in una nostra pubblicità una famiglia gay perché noi siamo per la famiglia tradizionale”, ha detto Barilla, che, quasi a voler anticipare le proteste che quella frase avrebbe sollevato, si è poi rivolto alla comunità omosessuale: “Se i gay non sono d’accordo, possono sempre mangiare la pasta di un’altra marca. Tutti sono liberi di fare ciò che vogliono purché non infastidiscano gli altri”.

Tanto è bastato, poche ore, e su Twitter è esplosa la polemica a suon di tweet, facendo schizzare il marchio in cima ai trending topics. Ed è subito nato un hastag dedicato alla campagna di boicottaggio:#boicottabarilla.

Si accende la polemica, le posizione dal mondo politico alla società civile sono ben diverse. Ma ciò che fa riflettere è come oggi alle soglie del 2014 si possa ancora discriminare, allontanare e parlare con totale superficialità dei gay, del loro modo di essere, del loro mondo. La chiamerei dicriminazione. Eppure sono uomini e donne, né più né meno. Sono medici, imprenditori, banchieri, operai, spazzini, impiegati. Li troviamo ogni giorno nella nostra società. Li troviamo nel mondo dello spettacolo, della cultura, della recitazione. Penso che miriade di volte abbiamo visto il volto, la recitazione, di un attore pubblicitario gay, iniziando dalla stessa Barilla. Infondo, il patron Barilla, come del resto noi non potremo saperlo. Non è il volto di un uomo che ci dice il suo orientamento sessuale.

D’obbligo è il sospetto: se fosse solo una trovata per rilanciare il marchio, per far parlare di sé? Forse una trovata poco geniale in un paese libero.

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