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Genitori separati e figli “bottino”, la Cassazione boccia l’Alienazione Parentale (Pas)

La Corte di Cassazione “spegne il sole” sulla sindrome di alienazione parentale (Pas), definendo “pseudoscientifica” la controversa teoria che descrive l’allontanamento di un figlio da un genitore ad opera dell’altro. La Cassazione, con ordinanza 286/2022, ha emesso un’importante ordinanza sulla sindrome Pas, una teoria molto controversa che descriverebbe la condizione psicologica di minori che hanno rifiutato uno dei due genitori a causa dell’incitamento intenzionale portato avanti dall’altro. La Corte ha stabilito che il richiamo alla sindrome d’alienazione parentale “e ad ogni suo, più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario, non può dirsi legittimo.”La sentenza, accoglie il ricorso di una madre, che ha atteso nove anni, tra scioperi della fame, sit-in, e la paura che le portassero via il bambino: le forze dell’ordine e gli assistenti sociali erano già intervenuti tre volte, senza riuscirci. Finché lo scorso marzo, la Cassazione ha annullato la decisione del Tribunale per i Minorenni di decaderle dalla responsabilità genitoriale. Non solo: in modo definitivo la Suprema Corte ha ribadito che il concetto di “alienazione parentale”, suggerita anche attraverso altri sinonimi come “madre malevola, ostativa, simbiotica”, dovrà essere bandito, per sempre, dai tribunali italiani. Una decisione storica, che per altro non è la prima volta, già nel maggio dello scorso anno, con ordinanza n. 13217/21, la Corte di Cassazione aveva riconosciuto l’infondatezza della Pas, ma quest’ultima ordinanza ha aggiunto un punto fondamentale: d’ora in poi nelle cause per l’affidamento, i minori dovranno essere ascoltati dai giudici, non dai periti. I giudici hanno stabilito che non può essere garantita la bigenitorialità a tutti i costi, ma va tenuto conto innanzitutto dell’interesse del bambino. Infine, si sono espressi anche sull’uso della forza fisica usata per allontanare dal luogo di residenza i bambini, dichiarando che ogni forma di coercizione sui minori è fuori dallo Stato di diritto. La sindrome di alienazione genitoriale o parentale (Pas, dalla forma inglese) è un concetto che venne introdotto per la prima volta negli anni Ottanta dallo psichiatra forense statunitense Richard Gardner, e descritto come una dinamica psicologica disfunzionale che si attiva nei figli minori coinvolti nelle separazioni conflittuali dei genitori. La sindrome indica un disagio psichico vissuto dai figli in contesti di separazioni conflittuali a causa del plagio di uno dei due genitori. E’ una teoria molto controversa che divide il mondo giuridico e scientifico, tanto è vero che non è stata mai riconosciuta come sindrome dai manuali internazionali ma molto diffusa nelle aule di giustizia italiane e nei procedimenti sull’affidamento dei figli minori. Utilizzata dalla psicologia forense nelle Consulenze tecniche d’ufficio (ctu), consulenti di cui si avvale il giudice per valutare la capacità di un genitore di prendersi cura della prole. Un giudizio spesso senza appello.  Sono ben 150.000 i bambini coinvolti ogni anno nelle procedure di separazione o divorzio che possono essere colpiti dalla Pas. Succede quando un genitore a seguito della separazione coniugale instilla nel figlio rancore, astio, disprezzo verso l’altro genitore. I figli in sostanza diventano un bottino di guerra, spesso un’arma di vendetta contro l’altro genitore. Una forma di violenza psicologica che comporta vere e proprie patologie. I bambini, le prime vittime, che assistono da protagonisti muti a queste vicende, spesso già testimoni di soprusi e maltrattamenti in ambito familiare, sulla cui pelle si aggiunge dolore. Una realtà molto diffusa, difatti, si stima che sono all’incirca 1400 i fascicoli sui quali ha indagato la Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, per individuare la portata del fenomeno di vittimizzazione secondaria in danno di donne e minori vittime di violenza. La sentenza della Corte di Cassazione ora segna la parola decisiva ad una ferita troppo spessa aperta in molti bambini “bottino” e genitori rancorosi con l’ex coniuge.

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine Sociali per ildenaro.it)

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Matrimoni gay, gli Stati non possono ostacolare il soggiorno del coniuge. Lo sentenza la Corte Ue

untitled 2Gli Stati non possono ostacolare il soggiorno del coniuge, che rimane tale anche se appartiene ad uno Stato che non riconosce i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Lo ha stabilito con una sentenza la Corte di giustizia dell’Unione Europea che ha di fatto riconosciuto i matrimoni tra persone dello stesso sesso “ai sensi delle regole – si legge- sulla libera circolazione delle persone”. La decisione arriva in seguito ad un ricorso presentato alcuni mesi fa da un cittadino romeno e dal suo consorte americano. I giudici di Lussemburgo hanno deciso che la nozione di “coniuge”, ai sensi delle disposizioni del diritto dell’UE sulla libertà di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, comprende i coniugi dello stesso sesso. Per cui, gli Stati membri sono liberi di autorizzare o meno il matrimonio omosessuale, ma non possono ostacolare il soggiorno di un coniuge seppur dello stesso sesso, anche se è si tratta di un cittadino di un paese non appartenente all’Unione Europea, ha pienamente diritto al soggiorno sul loro territorio. Tuttavia i giudici di Lussemburgo hanno stabilito che il rifiuto da parte di uno Stato membro di riconoscere ai fini del diritto di soggiorno derivato il matrimonio tra persone dello stesso sesso, legalmente contratto in un altro Stato membro, è atto ad ostacolare l’esercizio del diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio dell’Ue. La libertà di circolazione, infatti, varierebbe da uno Stato membro all’altro in funzione delle disposizioni di diritto nazionale che disciplinano il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Una sentenza che mostra un lato matrimonialista ugualitario per persone dello stesso sesso. Seppur l’Italia sia l’unico paese fondatore dell’Ue a non riconoscere il matrimonio omosessuale, il diritto riconosciuto oggi dalla Corte Europea, da noi è già realtà dal 2012. Fu il tribunale di Reggio Emilia a riconoscere il permesso di soggiorno a un giovane urugayano sposato con un italiano in Spagna, proprio appellandosi alla libera circolazione dei cittadini europei e dei loro familiari. Sentenza a cui fece seguito una circolare del ministero dell’Interno. Ma, la sentenza dei giudici di Lussemburgo sancisce che la nozione di “coniuge” riguarda anche i matrimoni contratti da persone dello stesso sesso, a prescindere, se lo Stato membro autorizzi il matrimonio omosessuale. Una sentenza storica, che abbatte gli ultimi ostacoli legislativi e forse anche mentali e abbraccia sempre più l’amore e le coppie arcobaleno, equiparandole alle coppie eterosessuali. Perché è una sentenza che ci ricorda ancora una volta che il diritto dell’UE non fa distinzione tra coppie omosessuali e etero regolarmente sposate. Uno “schiaffo” al neo ministro Fontana, alla guida del neo dicastero “famiglia e disabilità”, che nei giorni scorsi, è stato autore della teoria “il nostro popolo è sotto attacco” a causa delle unioni omosessuali e delle migrazioni. Per questo, bisogna, secondo lui, difenderlo con la battaglia di vita. La speranza è che il ministro si ricreda, alla luce anche dell’ultima sentenza dell’Unione Europea, che abbatte quelle poche ultime barriere limitatorie, magari dovremmo guardare più all’interno di una realtà fatta ancora di discriminazioni quotidiani ai danni degli omosessuali, di violenze e diritti umani e culturali sempre più ristretti. Come ha ricordato, Monica Cirinnà, autrice della legge sulle unioni civili, le famiglie arcobaleno sono una realtà nel nostro paese ed in due anni dall’approvazione della legge, che segnò ultima l’Italia in Europa sul tema, sono oltre ottomila le famiglie arcobaleno. Ultima unione in ordine di tempo un 93 enne ed il suo compagno 87 enne, che erano uniti dall’amore dal 1960. In questo lasso di tempo, due anni, sono oltre 17 mila le persone dello stesso sesso che si sono presentate davanti ai sindaci italiani per sancire ufficialmente la loro unione. Secondo i dati calcolati dal ministero degli Interni, aggiorni al 31 dicembre scorso, sono state 8.506 le coppie lgbt che si sono unite in matrimonio, di cui 6073 nel solo 2017. Numeri ai quali si aggiungono le coppie unitesi nel 2018. I dati registrano più unioni civili al nord rispetto al sud, dove il timore è ancora forte, ed è per questo che i timori non vanno alimentati ma placati, perché c’è famiglia dove c’è amore e questo va riconosciuto e non ostacolato, partendo dai diritti civili e sociali.

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Mamma “stalker” nell’educazione della figlia, il Tar l’ammonisce

untitledSi è “conclusa” in un’aula di Tribunale, del Tar in particolare, una controversia educativa che ha messo sul banco degli imputati una mamma salernitana, accusata di stalking dalla propria figlia. Il Tar nella sua pronuncia ha dato ragione alla giovane. Per la donna, un’insegnante dell’agro nocerino sarnese, è stato disposto un decreto di ammonimento: non dovrà proseguire con molestie nei confronti della figlia.   L’insegnate era stata “ripresa” dal questore, che a metà dicembre scorso, le aveva notificato un “ammonimento orale” con l’invito “a non porre in essere atti o comportamenti che potessero ingenerare nella figlia timori, stati di ansia, tensione o che potessero alterare le normali abitudini di vita. La docente però non ha incassato il colpo, visto anche il suo ruolo educativo nella scuola, così si è rivolta al Tar di Salerno, per difendere il suo operato genitoriale e anche l’onore di insegnante, ma senza alcun successo. Ancor prima di ricorrere a querela di parte alla magistratura ordinaria, che avrebbe avviato poi un procedimento penale contro la madre, la giovane che, secondo i racconti della madre, sin da piccola si era sottratta ai controlli materni fin dalla giovane età, ha preferito esporre le sue ragioni ai carabinieri, che dopo l’istruttoria, hanno chiesto che fosse avanzata richiesta di ammonimento al questore nei confronti della madre. In ultima battuta la sentenza dei giudici amministrativi che ribadiscono l’ammonimento voluto dal questore, restando in piedi e scoraggiando ogni persecuzione da parte della madre. Insolito modo per risolvere una controversia familiare, educativa, ma anche per mettere mano a qualsiasi malessere ed incomprensione in un rapporto da sempre sacro e sano, quello tra madre e figlia. Sul caso è intervenuto anche Paolo Crepet, psichiatra, sociologo e scrittore, che ha parlato di giudici invadenti, ora anche nell’educazione. I “no” che sono diventati sempre più “si”, i paletti che sono crollati, le regole inesistenti, così le nuove generazioni crescono senza cultura, senza rispetto e seguendo il principio folle che tutto puoi pretendere e niente devi dare. Crepet, guardando,  alla generazione di oggi ne parla come di una classe dirigente del domani fallita. Genitori assenti o troppo ossessivi, opposti e mai vie di mezzo. Con sempre meno fermezza. Il provvedimento fa discutere tra i genitori, ma se dall’esterno e da professionisti guardiamo il provvedimento, frutto di stati di timore, stati d’ansia e tensione nella figlia, e ci sia davvero una condotta ossessiva e scriteriata, allora è giusto tutelare i minori dagli eccessi. Se, invece, la mamma voleva solo fissare delle regole, allora il provvedimento risulterebbe eccessivo. Un genitore deve conoscere con chi il proprio figlio esce, con chi ritornerà a casa, preferirebbe ricevere un messaggio se il proprio figlio tarda nel rientrare a casa, se un genitore impone un orario di rientro, và rispetto, un genitore in quel caso non fa nulla di male, è semplicemente giusto e anche ovvio. Stiamo di fronte ad uno sgretolamento delle regole che sembra coincidere con un’evaporazione dei modelli tradizionali, il pensiero và subito alla scuola e a quanto sta accadendo. Bisogna avere il coraggio di educare, di bocciare, di dire di no. Se un professore mette un brutto voto e il giorno seguente un genitore si sente in diritto di aggredire il docente, è una società allo sbando, che non indirizza sulla strada dell’educazione, e stiamo creando adulti privi di desideri, di aspirazioni, di sogni, di regole e di tempo che serve per formarsi, per incoraggiare i loro obiettivi, ma soprattutto si sentiranno privi di consapevolezza della vita reale e delle sue difficoltà. Le colpe sono senza indugio degli adulti, che nel benessere hanno trovato l’ancora di riscatto: “non farò mancare nulla ai miei figli”, lo hanno ripetuto i miei genitori e decine di genitori che spesso mi sono trovata di fronte nella mia professione. Male, perché educare non significa sempre dare, ma anche togliere, non deve prevalere “lo fanno gli altri”, “ce l’hanno anche gli altri”, non significa sentirsi diverso, significa incoraggiare nei figli senso di responsabilizzazione, significa capire che esistono delle regole, che saranno anche quelle che la società ti chiederà per il vivere comune nella società. Significa insegnare ai figli che non si delega agli altri i principi ed i valori. Solo perché lo fanno gli altri non è detto che debbano farlo anche loro. Sono cresciuta ed oggi nella mia professione di assistente sociale, nell’incontrare i genitori, gli chiedo di ricordarsi che la vita è fatta di tappe: a 15 anni non puoi fare una cosa che dovresti fare a 25 anni, è un percorso fisiologico, di crescita, di maturità che si sviluppa in relazione agli eventi, agli anni che passano e a tutto ciò che si vive, proporzionato anche ai propri anni. In questo caso si ritroveranno poco più che venticinquenni magari su un divano annoiati e stanchi, perché non hanno null’altro da fare. In Italia, secondo i dati, tre milioni di ragazzi non studiano e non lavorano e non è solo colpa della crisi. Sono disorientati, hanno prosciugato la sete di conoscenza, di curiosità, non sanno neanche quali sono le loro attinenze, i loro sogni. Molti non sanno “da grande” cosa vogliono fare. Per affermarti devi avere delle basi e le basi si costruiscono con il sacrificio. Non puoi pensare di arrivare direttamente al vertice. E’ una lezione che conosco a memoria dai miei genitori. Ma adesso, con il senno di poi, non li cambierei con nessuno e soprattutto lo consiglio ai tanti genitori che spesso incontro impauriti e disorientati nel cammino genitoriale.

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Corte Europea, il ricongiungimento familiare per minori stranieri è possibile dopo 18 anni

untitledUn minore straniero non accompagnato che diventa maggiorenne nel corso della procedura di asilo conserva il suo diritto al ricongiungimento familiare. Lo sancisce una sentenza della Corte europea di giustizia a partire dal caso di una ragazza eritrea arrivata nei Paesi Bassi quando era ancora minorenne. Chiesto il ricongiungimento con i familiari, la sua domanda fu respinta perché nel frattempo era diventata maggiorenne, sottoposta la questione pregiudiziale dal Tribunale dell’Aia alla Corte europea, questa ha sentenziato che vale l’età di ingresso nel paese dell’ Unione Europea, non l’età al momento del riconoscimento dell’asilo. La sentenza, prevede, che la domanda di ricongiungimento familiare deve tuttavia essere presentata entro un termine ragionevole, in linea di principio di tre mesi a decorrere dal giorno in cui al minore interessato è stato riconosciuto lo status di rifugiato. Nella sua sentenza, la Corte, qualifica come “minori” i cittadini di Paesi non Ue e gli apolidi che hanno un’età inferiore ai 18 anni al momento del loro ingresso in uno Stato membro della comunità europea e della presentazione della loro domanda di asilo in tale Stato, e che nel corso della procedura di asilo diventano maggiorenni ed ottengono in seguito il riconoscimento dello statu di rifugiato. Infatti, come ricorda la Corte, la direttiva prevede per i rifugiati condizioni più favorevoli per l’esercizio del diritto di ricongiungimento familiare in considerazione delle ragioni che hanno costretto queste persone a fuggire dal loro paese, condizioni come la guerra, le persecuzioni religiosi, che impediscono il loro vivere quotidiano ed una vita familiare normale. In particolare, i rifugiati minori non accompagnati dispongono del diritto di ricongiungimento che è sottoposto alla discrezionalità dello stato membro. La direttiva nel suo non indica espressamente sino a quale momento un rifugiato debba essere minore per poter beneficiare del diritto al ricongiungimento familiare, per cui la Corte ha deciso che la determinazione di questo momento non può essere lasciata alla discrezionalità di ciascun stato membro. Scappano da guerre, carestie, persecuzioni religiose, fame o schiavitù. E scappano soli. I documenti ufficiali del Ministero del lavoro, le cifre dicono che in Italia i minori stranieri non accompagnati censiti al dicembre 2016 sono 17.373, di cui 6.561 considerati “irreperibili”. Un numero in netto aumento stando alle cifre del 2017, dove nei primi mesi dello scorso anno si registravano 16.348 MSNA, seguendo la sigla dei documenti ufficiali. I minori non accompagnati tra il 2011 e il 2016 costituiscono il dieci percento di tutti gli arrivi complessivi dei rifugiati in Italia. Una numero che fa rabbrividire considerato che spesso sono bambini che da soli hanno affrontato un viaggio pericoloso e spesso mortale, in condizioni disumane anche per un adulto. Sfidano le onde del mare, la paura, scappando dai loro paesi d’origine, spesso perdono i loro genitori durante il viaggio, cadendo nelle mani di sfruttatori e trafficanti. I bambini ed i ragazzi che toccano terra in Italia, hanno le spalle storie di abusi e violenze, anche prima che affrontassero la traversata del mare. In un documento pubblicato da “Save the Children” si legge di storie di torture, soprusi, stupri, privazioni di acqua e di cibo, lunghi viaggi in piedi o in condizioni impossibili. La traversata del mare è solo la parte finale di un lunghissimo incubo per questi bambini. Stando ai dati del Ministero del lavoro, questi bambini provengono dalla Gambia, segue l’Egitto, l’Albania, sino a alla Somalia, passando per Costa d’Avorio, Eritrea. Paesi in crisi profonda, o dilaniati dalla guerra o da regimi crudeli. Sul territorio italiano sono ospitati soprattutto in Sicilia, Calabria, Emilia Romagna, Lombardia e Lazio. I minori arrivati in Italia non possono essere rimpatriati, deve essere garantito loro il diritto all’istruzione e all’assistenza sanitaria, con l’accesso al sistema di protezione dei rifugiati. In loro lo sguardo alle loro origini, alla loro famiglia rimasta tra la guerra e la paura, così il ricongiungimento familiare diventa la luce infondo ad un tunnel fatto di speranza e di soprusi, di sacrifici che sanno di ripartenza sul territorio italiano. E se fino a qualche tempo fa la norma sul ricongiungimento familiare era affidata all’interpretazione e alla discrezionalità dello stato membro che ospitava il minore straniero non accompagnato ed in alcuni casi i ricongiungimenti non avvenivano perché la richiesta era stata formulata al raggiungimento della maggiore età, la Corta ha stabilito che per il ricongiungimento familiare vale l’età al momento dell’ingresso nel Paese ospite. Una sentenza che farà tornare il sorriso e l’emozione a molti minori stranieri non accompagnati e alle loro famiglie lontane.

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Social media, vietate le foto dei minori. In arrivo multe per i genitori

foto per blog 2Non sono casi isolati né quelli dei genitori che postano sui social le foto dei figli minorenni né quelli dei giudici che li condanno a rimuovere le immagini da internet, ma per la prima volta, lo scorso dicembre, il tribunale di Roma, ha stabilito anche una sanzione pecuniaria per una mamma. Dietro la condanna, le lamentele del figlio sedicenne esasperato dal materiale che lei, tra l’altro coinvolta in una causa di separazione dal marito, pubblicava in rete. Non solo fotografie ma anche dettagli della storia famigliare. Il giudice ha stabilito il divieto per la donna di diffondere sui social notizie, dati e immagini del ragazzo. Nel caso in cui non rispettasse la sentenza dovrà risarcirlo con dieci mila euro. La legge sul diritto d’autore, stabilisce che il ritratto di una persona non può essere diffuso senza il suo consenso e a rafforzare la legge ci pensa la Convenzione Onu. I figli sono persone, per di più di minore età ed autonome, che hanno diritto a vedersi tutelata, riservata la propria sfera anche rispetto alle intenzioni dei genitori, lo ribadisce la Convenzione delle Nazioni Unite sull’Infanzia, che sottolinea come anche le persone minori d’età hanno diritto alla tutela della loro vita privata, della propria immagine e la propria riservatezza. E’ la prima volta che in Italia, viene stabilita, oltre che la rimozione del materiale foto e video, anche una multa per il genitori. Così il nostro Paese si inserisce nel solco già segnato da alcuni paesi europei dove le punizioni sono molto più severe, qui, è prevista una sanzione di 45 mila euro e la reclusione fino ad un anno, nei confronti dei genitori che violano la privacy dei loro figli. Ma sulla sentenza di Roma ha giocato un ruolo determinante anche il precedente dello scorso autunno, dove il tribunale di Mantova aveva stabilito che non si possono postare sui social network le foto dei propri figli minorenni se l’altro genitori non è d’accordo. Genitori social e figli senza privacy in balia del narcisismo dei genitori: foto delle feste, della comunione, di Halloween, foto dei temi che hanno preso il vito migliore della classe, considerazioni sui propri figli ed i social diventano una piazza di genitori narcisisti che azzerano la privacy dei loro figli, per di più minorenni. Ma se fino ad ieri era solo un invito a non pubblicare le foto dei minori per non rischiare di cadere nella trappola della pedopornografia, in un web sempre più spietato e grande fratello dei più piccoli, oggi, ci pensa la giurisprudenza a richiamare i genitori a foto che catturino il momento ma che restino private, dopo il giudice di Mantova che ha chiesto un’opinione comune e condivisa sulla pubblicazione delle foto in rete da parte di entrambi i genitori, il giudice di Roma, ha tutelato un minore di sedici anni, sentitosi schiacciato dalle foto in rete e dal racconto di una vicenda famigliare a suon di rancore a causa della separazione che si giocava sulla piazza social. Il giovane aveva persino chiesto al giudice di potersi trasferire in America e ricominciare lì una nuova vita. Genitori social che rimangono affascinati dagli scatti social che ritraggono i loro figli e catturano i commenti di decine di persone, che a volte serve ad avere conferme, perché per la psicologia postare specie nella fase della nascita, serve ad avere ottenere sostegno e supporto ma nel lungo periodo può amplificare le ansie. Si rischia di cadere nel tranello di voler mostrare a tutti i costi di essere genitori perfetti, considerando la genitorialità l’ingrediente essenziale della propria identità. Insomma, ben oltre la volontà di aggiornare gli amici o condividere bei momenti, al fondo degli atteggiamenti più martellanti c’è il vecchio meccanismo della conferma esterna. Che, riversa i suoi effetti anche sulle conseguenze emotive, positive o negative, ai commenti o ai like. E così i social si trasformano in uno specchio deformato: da una parte metto di sostegno e conforto, dall’altro severo giudice a cui abbiamo tuttavia assegnato un ruolo deliberatario. Oltre la psicologia ora c’è l’avvertimento dal tribunale: i genitori che pubblicano le fotografie dei figli minorenni sui social commettono un illecito che piò portare alla rimozione delle immagini e anche ad una somma di denaro a titolo risarcitorio a favore dei figli.

(Articolo pubblicato sul mio blog “Pagine sociali” per ildenaro.it)

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Vaccini: genitori divisi sulla scelta, interviene il Tribunale

6834932-strumenti-moderni-giornalista-computer-portatile-bianco-taccuino-e-una-penna-profondit-di-campo-messLa bambina deve essere vaccinata anche se la madre non dà il consenso. A sancirlo la sentenza del giudice del Tribunale civile di Modena, che ha dato ragione al papà della piccola. Quando la bimba è nata, oggi ha sette anni, i suoi genitori erano entrambi contrari alla vaccinazione, tanto da aver firmato una lettera “di obiezione di coscienza” all’obbligo vaccinale, poi si sono separati e lui con il tempo ha cambiato idea ed ha cominciato a temere per la salute della piccola ma la moglie è sempre rimasta irremovibile e non trovando un accordo, l’uomo si è rivolto ai giudici. Sono passati tre anni, nel frattempo è stata introdotta la legge che estende il numero delle vaccinazioni obbligatorie necessarie ad iscrivere i figli al nido, alla materna e alla scuola dell’obbligo, una ragione in più per accogliere la richiesta del padre. Una sentenza in cui il giudice non si è trovato davanti a due legittime opinioni, ma si è trovato da un lato davanti ad una superstizione pericolosa e senza senso: le pericolosità e l’inutilità dei vaccini; dall’altra a tutto ciò che dicono i pediatri: i vaccini sono sicuri, indispensabili alla salute dei bambini. Eppure in aula lo scontro non è mancato, perché la madre della piccola si è fatta assistere dal consulente Stefano Montanari, uno dei punti di riferimento del mondo no-vax, il quale sostiene che i vaccini siano pieni di pericolose nanoparticelle. Decisivo nella decisione è stato il perito nominato dal tribunale: nella sua relazione ha spiegato che la bambina è in condizioni tali da non aver problemi con le vaccinazioni. Il Tribunale è intervenuto anche sull’obiezione di coscienza espressa a suo tempo anche dal padre, questa è sempre revocabile, si dice nel testo depositato. Infatti, il papà si era rivolto oltre che al giudice di Modena anche al Ministero della Salute, ma oggi al suo fianco c’è una sentenza che obbliga la madre a vaccinare la propria figlia oltre le proprie ideologie e le proprie opinioni. Una sentenza che mostra come lo Stato è dalla parte della scienza, della medicina, a difesa dei più deboli. La bambina di Modena, dunque, anche se un po’ in ritardo rispetto ai tempi stabiliti sarà sottoposta alle vaccinazioni previste dal piano vaccinale. La sentenza riporta all’attualità il tema dei vaccini, un tempo scudo di malattie per la quale si rischiava la morte, oggi, temuti e portano allo scontro genitori ma anche sostenitori no-vax e convinti sostenitori dei vaccini. “La storia del mondo senza vaccini è realmente tragica. E la storia di quello post-vaccinale nel caso in cui si rifiutassero le vaccinazioni, potrebbe esserlo molto di più”, è l’opinione del paleopatografo, Francesco Galassi, tra gli under 30 più influenti nel campo della medicina. Paura e scetticismo con bambini al centro della decisione, perché le notizie viaggiano in rete. La presenza di informazioni fallace in rete, ha portato allo scetticismo di molti genitori nei confronti delle vaccinazioni sia da attribuire al deficit di conoscenza storica, ossia occorre una riscoperta dell’effetto devastante delle malattie infettive nel mondo pre-vaccinale. Informazione, conoscenza, superando scetticismo, paura ma anche il dolore, che a volte spinge a mettere in dubbio il valore delle vaccinazioni che non risolve la questione. Informazione e conoscenza in tema, che dovrebbe pervenire anche dal Ministero. Intorno al mondo dei vaccini girano notizie, voci, teorie, si parla di complotto, di egoismo, di un giro d’affari ma da parte del Ministero non ci sono opuscoli, linee guida, storia che racconti di un mondo senza vaccini e dell’enorme pericolo alla quali ci esponiamo senza copertura vaccinale. Il mondo dei vaccini sembra un mondo a sé, fatto di teorie e ideologie, eppure i casi aumentano: bambini sono morti perché privi della copertura vaccinale ed i genitori sono diventati sostenitori del progresso scientifico, sentendosi gli assassini dei propri figli; ma i casi, le epidemie a poco servono, se non c’è informazione, consulenza da parte del Ministero ed è ciò che ha chiesto la giornalista Francesca Barra, in una lettera senza risposta al Ministro Lorenzin, ammalatasi a Milano, lei e due dei suoi tre figli, di epatite A, che si trasmette per via oro-fecale da cibi crudi o dal poco igiene con gli alimenti. In realtà a Milano i casi di epatite A sono quadruplicati e nonostante da settimane la stampa ne parli di profilassi o di vaccini non se ne parla. Eppure il virus rischia di contagiare altre persone, in quanto dai ristoranti ai bar il cibo la fa da padrone. E la società civile resta a guardare, ad informarsi sul web che alimenta solo egoismo e complotto, perché non vaccinare i propri figli non solo li mette in pericolo, ma contesta anche la norma elementare per cui il comportamento individuale non debba nuocere agli altri. Così rifiutare i vaccini diventa l’espressione di un individualismo senza limiti, l’estremo rifiuto della società di massa.

(Articolo pubblicato sul mio blog “Pagine sociali” per ildenaro.it)

 

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Bullismo, a Torino una sentenza esemplare contro due giovani

 

video-bulla-Veleni in rete, tensioni a scuola. Si moltiplicano i casi innescati dall’uso improprio dei social. Insulti online mentre in aula si finisce per litigare. L’ “altra scuola” corre veloce sui social network e si porta dietro un mare di veleni. Volano insulti, calunnie, minacce, frasi pesanti che mettono in difficoltà i ragazzi presi di mira, che spesso si ritrovano isolati. Perché il tutto è letto da tutti e le repliche sono spesso più velenose. Studenti denigrati e fotografie rubate: whatsapp semina discordia. Si chiama bullismo, si legge guerra feroce ai coetanei. Il fenomeno è in costante aumento soprattutto alle medie. Se ne parla nei consigli di istituto. I docenti, in classe, devono fare i conti con le liti innescate dagli insulti sulla rete. I docenti sono preoccupati, i ragazzi subiscono di nascosto. Soffrono in silenzio. Escalation di rabbia, parolacce, che spesso sottintendono una chiara, inequivocabile forma di cyberbullisimo. Un mondo parallelo nella quale gli adolescenti si infilano ma che rischia di inquinare: perché il passo dalle frasi digitali a quelle delle aule scolastiche è poco. “Nessuno mi ha aiutato”, “pensavano solo a filmare la scena”, racconta così la sua storia una quindicenne del siracusano vittima di bullismo. Picchiata davanti a tutti, senza che nessuno intervenisse. Una spedizione punitiva organizzata da due ragazzine di quindici e diciassette anni. Adolescenti come lei. Il movente sarebbe la gelosia che le due provavano per un ragazzo, fidanzato della quindicenne. L’incubo dura un mese: minacce telefoniche, danneggiamento della minicar con cui la quindicenne andava a scuola. Trova il coraggio, ne parla in famiglia, ma la situazione peggiora: viene aggredita anche la madre. Lesioni personali aggravate anche dalla premeditazione: l’accusa nei confronti
delle due ragazze. Bulli incattiviti, spinti dalla gelosia, dalla violenza, forti anche di un sistema giuridico carente in materia come forti del timore e della paura di chi subisce, di chi tace, di chi si chiude in se stesso ed in casa, perché impaurito e privo di ogni tutela. Aumentano le denunce ma le pene sono quasi inesistenti o tardano ad arrivare, ma un monito con una pena esemplare, che apre uno spiraglio verso un mondo di giustizia e di pena arriva da Torino. Diciannove mesi di inferno. Tra vessazioni, violenze inaudite, molestie e persecuzioni. Gli aguzzini, un ex compagno di classe e un altro che frequentava il suo stesso istituto tecnico torinese, sono stati condannati ad 8 anni e sei mesi di carcere. Il pubblico ministero ne aveva chiesti otto. La vittima, ancora scossa, sta decidendo cosa fare della sua vita, se tornare a scuola e terminare gli studi interrotti dopo l’ultimo episodio di bullismo, oppure rimanere vittima del dramma vissuto tra il febbraio 2013 e settembre 2014. Lo hanno perseguitato, violentato con un ombrello nella sua stanzetta: costretto ad ingoiare escrementi di cane, bere litri di vino e persino consumare un rapporto sessuale con una prostituta sotto i loro occhi, per dimostrare loro di non essere gay. All’epoca dei fatti lui, la vittima, era ancora minorenne, mentre, i suoi aguzzini da poco maggiorenni. Incensurati e prepotenti. Sui loro profili foto da spacconi, immortalati in pose da duri. Ha subito per mesi,
chiudendosi in un rigoroso silenzio, schiacciato dalla paura e dalla mortificazione, fin quando non ne parla con la mamma di un suo compagno di scuola, che poi ha riferito tutto ai suoi genitori. Una condanna esemplare con una punizione vera e dura. Ai due bulli, accusati di stalking, lesioni e violenza sessuale aggravata, sono state comminate anche pene accessorie, tra cui l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e il divieto di esercitare qualsiasi attività pubblica all’interno delle scuole. Alla vittima andranno 10 mila euro come risarcimento. La vicenda sembra che continuerà ed ancora nelle aule di Tribunale, perché il legale dei due bulli farà ricorso in
Appello, ma resta una vittima segnata, incupita, mortificata, che appena ha ricevuto la convocazione dell’inizio del processo è scappato di casa, ritrovato grazie al programma “Chi l’ha visto?”, ricoverato in un reparto di psichiatria del Nord Italia, oggi vuole ricominciare da quel buco nero che lo ha inghiottito: la scuola, per provare a riscrivere un’altra storia della sua vita. A riscrivere un’altra storia forse dovrebbe essere anche il legislatore che deve, forse, fare una profonda riflessione sulla procedibilità del reato quando questo è a carico anche di minorenni infraquattordicenni, vista la cronaca di persecuzione che trova sul suo cammino molte giovani vittime e spavaldi bulli spesso impuniti.

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine sociali per ildenaro.it)

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Figli contesi e violati: liti e urla che finiscono nelle aule di Tribunale. Il giudice impone il “vigilante”

IMG_0217Due bambini ed una famiglia divisa dalla fine di una storia d’amore. Gli ex litigano per i due figli ed il giudice nomina un “vigilante”. Inedita ed insolita la sentenza di qualche settimana fa emessa dal Tribunale di Mantova, che ha deciso di imporre alla coppia l’intervento di un coordinatore genitoriale. Una sorta di tutore che dovrà vigilare sul corretto comportamento dei due ex coniugi nei confronti dei loro due figli, di 12 e 9 anni. Proteggendoli da una situazione divenuta intollerabile a causa delle tensioni e della accuse reciproche. Infatti, nelle motivazioni del Tribunale civile si legge – “per sorvegliare il comportamento della coppia”. Così per i genitori ed i figli arriva il coordinatore, che nasce negli Stati Uniti d’America, ma una figura professionale che da poco è entrata a far parte dell’ordinamento giuridico italiano. Il suo compito sarà quello di aiutare i due genitori nelle scelte riguardanti la formazione dei figli e dar loro una mano a gestire i conflitti. Ma dovrà, soprattutto vigilare sul calendario delle visite, prendendo lui le decisione se i genitori non riusciranno ad accordarsi. Spetta alla sentenza come in questo caso stabilire con quale cadenza si dovranno monitorare i rapporti e sino a quando. In molti casi il nome del professionista è scelto dal consulente tecnico nominato dal giudice, con la quale gli ex coniugi devono collaborare, senza comportamenti ostacolativi. La parcella del coordinatore sarà a carico di entrambi i genitori, infatti, la sentenza mantovana prevede che le spese vengano sopportate dalle parti nella misura di una spesa straordinaria. Amori che giungono al capolinea, matrimoni che finiscono, separazioni dolorose e conflittuali e se le storie d’amore finiscono per sempre, un legame resta invece per sempre: essere genitori. I bambini vengono utilizzati come scudo o arma di ricatto nelle liti matrimoniali, vengono usati come oggetto di scambio da genitori irresponsabili e prepotenti, ma anche vittime di un sistema giudiziario lento. C’è sempre uno dei due ex partner che non riesce a vedere i propri figli, che vive come violenza le norme e i giudizi. In tutte le vicende familiari di figli contesi, la sofferenza coinvolge in eguale misura entrambi i genitori ma i diritti violati sono sempre quelli dei minori, come raccontano anche la maggior parte delle carte processuali in tema di separazioni. Separazione spesso è sinonimo di querelle, insensibile e dolorosa che si sviluppa tra un padre ed una madre, molto più vicina a una rissa piuttosto che ad una riflessione matura tra ex coniugi nell’interesse della prole. Urla e porti che si chiudono in modo crudo e violento: voci di liti e di menzogne tra padri e madri che soffocano il pianto silenzioso e sommesso dei figli. Una porta che non si può richiudere,  a doppia mandata le istanze di chi ha diritto di crescere con serenità e  di non soffrire. E se la separazione o il divorzio è altamente conflittuale l’aula di un Tribunale diventa la sede di discussione e determinante sarà il ruolo dei Servizi Sociali che determineranno l’affidamento dei figli, e potranno anche prevedere percorsi di supporto alla genitorialità, come percorsi di mediazione familiare o anche il moderno coordinatore genitoriale. Supporti che servono a conciliare gli ex che non smettono mai di essere genitori ed educatori, per cui la costruzione di un rapporto fatto di collaborazione e di decisione diviene importante, specie dove la l’ex coppia ha un elevato livello di tensione che comporta inevitabilmente un’incapacità di gestire in maniera congiunta e condivisa il progetto di crescita dei figli. Nei casi di separazioni conflittuali, l’assistente sociale nell’immediato su mandato della Magistratura svolge un’analisi psico-sociale, che coinvolge la famiglia, la scuola e l’ambiente di vita del bambino. In casi immediati può predisporre l’allontanamento del minore o prevedere un affido esclusivo ad uno dei genitori nel frattempo che si predisponga un progetto di intervento per il nucleo familiare, in modo da convertire questo affido da esclusivo a condiviso, nel tempo e con un progetto di supporto alla genitorialità. Gli adulti dovranno spogliarsi dai panni di coniugi sofferenti e conflittuali, indossando quelli di genitori pronti al benessere dei propri figli, aprendosi anche all’aiuto e alla collaborazione di professionisti, e dovranno tener ben presente che le ragioni di un padre o di una madre non potranno mai essere superiori a quelle di un figlio.

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Lite tra i genitori sui vaccini per il figlio, il Tribunale: Servizi sociali garantiscano cure e istruzione…

6834932-strumenti-moderni-giornalista-computer-portatile-bianco-taccuino-e-una-penna-profondit-di-campo-messE’ la prima volta che accade, a decidere per il bambino saranno i servizi sociali su indicazione del Tribunale che sostituiranno i genitori. Il padre accusa la moglie, convinta no-vax, di impedire al piccolo anche di socializzare. Ora gli assistenti sociali dovranno verificare se il bimbo può fare o meno le vaccinazioni obbligatorie, se ottiene le cure necessarie e se frequenta regolarmente la scuola. Tocca ai servizi sociali prendere le decisioni sulla sua salute, oltre a quelle sull’istruzione e sull’educazione. Si è pronunciato così nelle scorse settimane il Tribunale per i minori di Milano che ha risolto il dissidio tra due genitori, che da tempo non stanno insieme, riguardo a figlio, che ha 4 anni. I rapporti sono tesi e conflittuali tra i due genitori, ed uno degli argomenti di dissidio è proprio il tema vaccini. La madre non vuole farli, il padre invece sì. Fino ad ora l’ha avuta vinta la madre ed il bimbo non è mai entrato in un ambulatorio per le iniezioni, ma in concomitanza con la legge che ha previsto l’obbligatorietà per l’iscrizione a scuola di questi strumenti di prevenzione, i giudici hanno deciso di affidare le cure del piccolo ai servizi sociali, i genitori verranno avvertiti e se non seguiranno le indicazioni dei servizi il figlio potrebbe essere collocato fuori dalla famiglia. Bambini e vaccini, un binomio che tiene banco da mesi: per iscrivere i bambini alla scuola dell’infanzia da 0-6 anni è obbligatorio vaccinarli, per la scuola dell’obbligo invece aumentano da dieci a trenta volte le sanzioni per i genitori che non eseguono la profilassi per i figli. Aumentato anche il numero delle vaccinazioni obbligatorie. Sono le disposizioni contenute nel decreto varato dal Consiglio dei Ministri che reintroduce l’obbligatorietà delle vaccinazioni. Negli ultimi anni c’è stato un abbassamento del livello di protezione anche per il diffondersi di comportamenti e teorie anti-scientifiche e per le diverse risposte delle regioni in mancanza di un indirizzo generico. Le misure prese con la dovuta gradualità intendono assicurare ai bambini livelli di protezione più elevati di quella attuale. Teorie, idee dei genitori, il web che incalza con consigli, alimentando sempre più paure, così in Italia negli ultimi anni si è creato un vero e proprio allarmismo intorno al mondo dei vaccini, causando un calo del 5%, così molti bambini non sono stati vaccinati e sono rimasti vittime innocenti di ideologie e teorie anti-scientifiche. Eppure, fino a qualche anno fa le Asl avevano l’obbligo di segnalare al Tribunale per i Minorenni, che allertava gli assistenti sociali, i genitori che non si presentavano alle vaccinazioni, ma la mole di segnalazioni ha obbligato i Tribunali a richiedere alle Asl lo stop delle segnalazioni, intervenendo solo nei casi di bambini già segnalati al Tribunale per altri motivi, così da richiedere nell’indagine socio-familiare affidata all’assistente sociale del caso di contattare anche l’Asl e di capire quali e quanti vaccini il bambino o l’adolescente seguito aveva ricevuto negli anni, chiedendo poi durante il colloquio coi genitori il motivo per cui eventualmente si erano sottratti dalla somministrazione del vaccino, ciò corrispondeva in termini sociali e giuridici ad una trascuratezza dei compiti genitoriali, ad un venir meno della responsabilità genitoriale oggi divenuta capacità genitoriale. Insomma un’evoluzione giuridica che era andata regredendo ma oggi col nuovo decreto che sancisce l’obbligatorietà dei vaccini ed inoltre la recente sentenza del Tribunale di Milano mettono fine a qualsiasi ideologia genitoriale anti vaccino e a qualsiasi forma di dimenticanza in tema di vaccinazione da parte dei genitori.

(Articolo pubblicato per ildenaro.it)

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L’opinione. Caso Gambirasio, Bossetti assassino. Perché il DNA dice la verità…

6834932-strumenti-moderni-giornalista-computer-portatile-bianco-taccuino-e-una-penna-profondit-di-campo-messUn verdetto prevedibile ed una sentenza che va oltre ogni dubbio. Massimo Bossetti è l’assassino di Yara Gambirasio, a dirlo è anche la corte d’Appello, che ieri sera ha emesso il suo verdetto. La vicenda è destinata ancora ad essere argomento dei media, dei commenti, anche perchè resta l’ultimo grado di giudizio: la Cassazione, ma questa ormai è una pietra tombale sulla vicenda processuale. La Cassazione non riuscirà a trovare vizi procedimentali tali da far riaprire il procedimento.
Non esistano perizie sul Dna che tengano, nonostante le continue richieste della difesa. La richiesta era irricevibile, non esistono criticità al dna, altrimenti sarebbero emerse in primo grado.
Il muratore di Mapello è l’assassino della piccola Yara, in una vicenda rievocata dai servizi televisi centiania di volte, in un uomo e padre che apparentemente sembrava un lavoratore dedito al suo lavoro e alla famiglia, ma che ha mostrato una personalità doppia, tenendosi per quattro anni il peso della morte della piccola ginnasta, pensando -sicuramente- ad un errore nella rivelazione del dna quando veniva attribuito a Guerinoni, senza sapere che il suo albero genialogico diceva bene altro. Un uomo dalla personalità contorta e falsa, giurando ancora di non essere l’assassino e invocando la verità, quella verità che le carte processuali riportano ben chiaro.
Un caso ormai chiuso. E’ tempo che la piccola Yara riposi in pace ed abbia giustizia, senza deja vu televisivi, senza la continua cronaca che rievoca un caso scabroso.

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