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Infanzia, il luogo e le condizioni di vita ipotecano il futuro

L’Italia, un Paese non “a misura di bambino”, dove nascono sempre meno bambini e dove la povertà intrappola il loro futuro nelle aree più svantaggiate, nelle periferie educative, privandoli delle opportunità di coltivare passioni, talenti e aspirazioni. Una finestra sull’infanzia, che troppo spesso non viene aperta, eppure il Paese restituisce una fotografia fatta di povertà minorile e disuguaglianze educative, da nord a sud, con un futuro per loro sempre più a rischio. Un Paese che già prima della pandemia aveva dimostrato di aver messo l’infanzia agli ultimi posti tra le proprie priorità e che nonostante la sfida sanitaria e socioeconomica affrontata durante la pandemia da covid-19, stenta a cambiare strada, mettendo al centro delle politiche di rilancio l’infanzia. L’Italia è tra i paesi europei più “ingiusti” nei confronti delle nuove generazioni, come si evince anche dal rapporto di Save the Children, dove emerge che la povertà assoluta colpisce il 14,2% della popolazione sotto i 17 anni, ed è una forbice tra le più ampie tra i paesi europei. Le condizioni dei bambini, risorsa preziosa ma anche più trascurata dalle priorità degli adulti. In Italia, ogni bambino ha il triplo delle possibilità di trovarsi in condizioni di povertà assoluta rispetto agli over 65. Nello stesso rapporto, emerge l’incapacità di un ragazzino di quindici anni di comprendere il significato di un testo scritto, è al 51%. Un dato allarmante, non solo per il sistema di istruzione e per lo sviluppo economico, ma anche per la tenuta democratica di un paese. Un 1 milione e 384 mila bambini vivono in povertà assoluta in Italia. Incidono le condizioni economiche, nell’attuale società sei genitori su dieci hanno fatto i conti con la riduzione temporanea dello stipendio, e quasi un genitore su sette è tra i nuclei familiari più fragili, che ha perso il lavoro a causa dell’emergenza sanitaria. Paradossalmente, se uno dei due genitori ha perso il lavoro, con esso ha anche perso il diritto alle forme di sostegno in base al reddito che consentirebbero ai bambini di svolgere attività formative e ricreative importanti in questo periodo, cosa non da poco se si considerano le profonde differenze in termini di costi. Ma non sono solo le condizioni economiche del nucleo familiare a pesare sul loro futuro. L’ambiente in cui vivono ha un enorme impatto nel condizionare le loro opportunità di crescita e di futuro. Zone e periferie, possono significare impossibilità di uscire dal circolo vizioso della povertà, mentre a poca distanza vi sono zone di riscatto sociale. Pochi chilometri di distanza, tra una zona e l’altra, segnano la segregazione educativa che allarga sempre di più la forbice delle disuguaglianze, iniziando proprio dalle competenze scolastiche che segnano un divario sconcertante. A Napoli, secondo alcuni dati, i 15-32 enni senza diploma sono il 2% al Vomero, sfiorano il 20% a Scampia. Mentre, nei quartieri benestanti a nord di Roma i laureati sono più del 42%, quattro volte quelli delle periferie esterne, nelle aree orientali della città sono meno del 10%. Differenze sostanziali tra una zona e l’altra anche per quanto riguarda i NEET, i ragazzi tra i 15 ed i 29 anni che non studiano e non lavorano, né sono inseriti in corsi di formazione. Dati che sanno dell’assurdo se si prendono due bambini che vivono a un solo isolato di distanza e che possono trovarsi a crescere in due universi paralleli. Rimettere al centro delle politiche economiche e sociali i bambini significa riqualificare i territori, investendo sulle ricchezze e sulle diversità, combattendo gli squilibri sociali e le disuguaglianze, creando opportunità lì dove sono assenti. Basti pensare come la scuola ormai finita, dopo mesi di pandemia e di difficoltà oggettive, che hanno inciso sulla vita e sulla psiche di tanti bambini, come molti di questi siano esclusi dall’estate. In molte realtà non ci saranno momenti di aggregazione e di svago, attività ludico-ricreative, iniziando dai campi estivi, dai centri polifunzionali che si rimodulano, col risultato che questa estate non sarà uguale per molti bambini, tanti, troppi, gli esclusi dalle ricche opportunità educative e all’insegna della socialità. Sembra che l’isolamento sociale, ricreativo e formativo per molti di loro è destinato a continuare, almeno sino a quando non si interverrà con politiche coraggiose e risorse adeguate.

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine Sociali per ildenaro.it)

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Diritti dei bambini. Giornata mondiale

🎯Giornata Mondiale dei diritti dei bambini

📌Se tutti i bambini del mondo hanno gli stessi diritti, qualsiasi sia il loro sesso, luogo di nascita, religione, lingua o condizione sociale, lo si deve alla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Convention on the Rigths of the Child – CRC), approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, e ratificata dall’Italia con la legge n. 176/1991.

📍Quattro i principi ispiratori:
principi ispiratori:

✅ non discriminazione

✅superiore interesse del minore

✅diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo

✅ rispetto per l’opinione del minore.

⁉️Nessuno direbbe che alcuni bambini hanno meno diritti di altri. Eppure, ancora oggi, molti bambini e adolescenti, anche nel nostro Paese, sono vittime di violenze o abusi, discriminati, emarginati o vivono in condizioni di grave trascuratezza e disagio. Alcuni soffrono ancora la fame, la privazione degli affetti dei genitori e non frequentano la scuola.

🎯  Le sfide della pandemia per l’infanzia e l’adolescenza. In tempo di covid 19 è bene ricordarsi dei tanti minori che vivono in contesti disfunzionali e abbandonati: dove mancano strumenti per la Dad e supporto adeguato. Dei tanti che oggi si sentono al sicuro a casa ma che domani vivranno la difficoltà del ritorno. Di quanti si ritroveranno a fare i conti con le disuguaglianze che lascerà questa pandemia.

📌 il monito dovrebbe essere lavorare oggi come adulti, operatori del sociale, istituzioni, per costruire un domani più sereno, perché è un Dovere dell’adulto e un Diritto del minore.

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Minori, una carta per figli con genitori separati: ecco 10 diritti

untitled 2Gli amori naufragano, le storie vedono la parola fine, ma un legame resta per la vita: essere genitori. I genitori si lasciano spesso tra litigi e discussioni e a pagare per l’incapacità di mediare degli adulti sono i figli. I conflitti con i figli al centro non sono mai vantaggiosi per nessuno. Meglio rinunciarci. C’è una strada da percorrere prima del divorzio: trasformare un fallimento in una nuova prospettiva. Le separazioni se ben gestite, possono diventare un momento di snodo positivo nella vita di genitori e figli. Questa volta i figli anziché trovarsi sul terreno di scontro e ricatti, hanno potuto dire la loro in un decalogo di desideri. Ai grandi hanno chiesto attenzioni e ascolto, affetti mantenuti e rispetto. Le loro parole, le esperienze ed i timori, storie e sogni sono finiti nella “carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori”, presentata qualche giorno da dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza Filomena Albano. Un decalogo che pone al centro di tutto gli interessi dei più piccoli. In Italia sono quasi 100mila i bambini con genitori separati. Piccole regole perché non siano travolti e stravolti nelle “guerre” degli adulti, affinché possano mantenere la continuità affettiva costruita negli anni, relazioni solide, rapporti distesi in un clima di serenità. La carta nasce sul volere del Garante che nei mesi scorsi ha creato un’apposita commissione di giovani che si è integrata al parere degli esperti: legali, psicologi, assistenti sociali sentiti in diverse audizioni. Dieci punti brevi ma decisi, ispirati alla convenzione di New York, ai quali i genitori dovranno cercare di aderire anche col supporto degli avvocati, delle varie figure professionali e della agenzie educative.

La carta si apre con il diritto dei figli di continuare ad amare ed essere amati da entrambi i genitori. Mantenendo i loro affetti con i fratelli ed i nonni. Perché non è detto che i figli dei separati debbano essere bambini sofferenti. Tra gli altri diritti individuati nel decalogo vi è quello di continuare ad essere figli e vivere la loro età, di essere informati e aiutati a comprendere la separazione. Ancora, i piccoli anche nella separazione hanno diritto ad essere ascoltati e ad esprimere i propri sentimenti, a non subire pressioni, condividendo le loro scelte con i loro genitori. Hanno diritto a non essere coinvolti nei conflitti, vanno rispettati i loro tempi, preservati dalle questioni economiche e meritano delle spiegazioni. Preziosi consigli che mirano a trasformare un momento doloroso in una svolta senza traumi.

LA CARTA DEI DIRITTI DEI FIGLI NELLA SEPARAZIONE DEI GENITORI

I figli hanno il diritto di continuare ad amare ed essere amati da entrambi i genitori e di mantenere i loro affetti

I figli hanno il diritto di essere liberi di continuare a voler bene ad entrambi i genitori, hanno il diritto di manifestare il loro amore senza paura di ferire o di offendere l’uno o l’altro. I figli hanno il diritto di conservare intatti i loro affetti, di restare uniti ai fratelli, di mantenere inalterata la relazione con i nonni, di continuare a frequentare i parenti di entrambi i rami genitoriali e gli amici.
L’amore non si misura con il tempo ma con la cura e l’attenzione.

I figli hanno il diritto di continuare ad essere figli e di vivere la loro età

I figli hanno il diritto alla spensieratezza e alla leggerezza, hanno il diritto di non essere travolti dalla sofferenza degli adulti. I figli hanno il diritto di non essere trattati come adulti, di non diventare i confidenti o gli amici dei loro genitori, di non doverli sostenere o consolare. I figli hanno il diritto di sentirsi protetti e rassicurati, confortati e sostenuti dai loro genitori nell’affrontare i cambiamenti della separazione.
I figli hanno il diritto di essere informati e aiutati a comprendere la separazione dei genitori

I figli hanno il diritto di non essere coinvolti nella decisione della separazione e di essere informati da entrambi i genitori, in modo adeguato alla loro età e maturità, senza essere caricati di responsabilità o colpe, senza essere messi a conoscenza di informazioni che possano influenzare negativamente il rapporto con uno o entrambi i genitori. Hanno il diritto di non subire la separazione come un fulmine, né di essere inondati dalle incertezze e dalle emozioni dei genitori. Hanno il diritto di essere accompagnati dai genitori a comprendere e a vivere il passaggio ad una nuova fase familiare.

I figli hanno il diritto di essere ascoltati e di esprimere i loro sentimenti

I figli hanno il diritto di essere ascoltati prima di tutto dai genitori, insieme, in famiglia. I figli hanno il diritto di poter parlare sentendosi accolti e rispettati, senza essere giudicati. I figli hanno il diritto di essere arrabbiati, tristi, di stare male, di avere paura e di avere incertezze, senza sentirsi dire che “va tutto bene”. Anche nelle separazioni più serene i figli possono provare questi sentimenti e hanno il diritto di esprimerli.

I figli hanno il diritto di non subire pressioni da parte dei genitori e dei parenti

 

I figli hanno il diritto di non essere strumentalizzati, di non essere messaggeri di comunicazioni e richieste esplicite o implicite rivolte all’altro genitore. I figli hanno il diritto di non essere indotti a mentire e di non essere coinvolti nelle menzogne.

I figli hanno il diritto che le scelte che li riguardano siano condivise da entrambi i genitori

I figli hanno il diritto che le scelte più importanti su residenza, educazione, istruzione e salute continuino ad essere prese da entrambi i genitori di comune accordo, nel rispetto della continuità delle loro abitudini. I figli hanno il diritto che eventuali cambiamenti tengano conto delle loro esigenze affettive e relazionali.

I figli hanno il diritto di non essere coinvolti nei conflitti tra genitori

I figli hanno il diritto di non assistere e di non subire i conflitti tra genitori, di non essere costretti a prendere le parti dell’uno o dell’altro, di non dover scegliere tra loro. I figli hanno il diritto di non essere costretti a schierarsi con uno o con l’altro genitore e con le rispettive famiglie.
I figli hanno il diritto al rispetto dei loro tempi

I figli hanno bisogno di tempo per elaborare la separazione, per comprendere la nuova situazione, per adattarsi a vivere nel diverso equilibrio familiare. I figli hanno bisogno di tempo per abituarsi ai cambiamenti, per accettare i nuovi fratelli, i nuovi partner e le loro famiglie. Hanno il diritto di essere rassicurati rispetto alla paura di perdere l’affetto di uno o di entrambi i genitori, o di essere posti in secondo piano rispetto ai nuovi legami dei genitori.

I figli hanno il diritto di essere preservati dalle questioni economiche

I figli hanno il diritto di non essere coinvolti nelle decisioni economiche e che entrambi i genitori contribuiscano adeguatamente alle loro necessità. I figli hanno il diritto di non sentire il peso del disagio economico del nuovo equilibrio familiare, e di non subire ingiustificati cambiamenti del tenore e dello stile di vita familiare, di non vivere forme di violenza economica da parte di un genitore.

I figli hanno il diritto di ricevere spiegazioni sulle decisioni che li riguardano

I figli hanno il diritto di essere ascoltati, ma le decisioni devono essere assunte dai genitori o, in caso di disaccordo, dal giudice. I figli hanno il diritto di ricevere spiegazioni sulle decisioni prese, in particolare quando divergenti rispetto alle loro richieste e ai desideri manifestati. Il figlio ha il diritto di ricevere spiegazioni non contrastanti da parte dei genitori.

(Pubblicato sul mio blog Pagine Sociali per ildenaro.it)

 

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Malato di videogiochi il Tribunale dispone l’affido ad una comunità

untitled 2A 15 anni affidato ad una comunità di tutela perché ossessionato dai videogiochi. La vicenda riguarda una famiglia del cremonese già da tempo seguita dai servizi sociali. Un contesto difficile: genitori separati, mamma con problemi giudiziari, una sorella già affidata ad una comunità. La via crucis per il quindicenne, con difficoltà nell’apprendimento, è iniziata diversi mesi fa quando venne riconosciuto “schiavo” della playstation, vittima di una dipendenza dai videogiochi da cui non è riuscito a liberarsi. Da qui la decisione dei giudici di affidarlo ad una comunità. Nelle scorse ore il ragazzino ha scritto un’accorata lettera ai giudici chiedendo di restare con la mamma, “le prometto che faccio il bravo” – si legge- lettera a cui i giudici bresciani non hanno però dato seguito e ascolto. La vicenda era arrivata all’attenzione della magistratura bresciana due anni fa, quando la madre dell’adolescente, si rivolse ai servizi sociali per ricevere un aiuto nella gestione delle paranoie e delle ossessioni del figlio, eccessivamente legato ai videogiochi e alle console. Seguito in un primo momento dal reparto di neuropsichiatria infantile, il ragazzino alla fine dell’anno scolastico ha iniziato a non frequentare più la scuola sempre più risucchiato dai colori e dai giochi della playstation. Sembrerebbe, dalle relazioni degli assistenti sociali, che la madre abbia dimostrato di non sapersi prendere cura del figlio, da qui l’intenzione di affidarlo ad una comunità, dove fino ad un attimo primo è stato trovato in casa intento a giocare con la consolle sulle gambe. Ora sarà sottoposto ad un percorso riabilitativo finalizzato a dargli equilibrio. In un mondo iperconnesso, bambini e adolescenti trascorrono la maggior parte della giornata tra smartphone, computer e videogiochi. Rischiando una dipendenza da tecnologia che può sconfinare in diversi disturbi: dall’isolamento all’aggressività, fino all’ansia e alla depressione. Con conseguenze negative su attenzione, controllo degli impulsi, tolleranza alla frustrazione, dimenticando l’importanza del gioco, della socialità e della compagnia. Se da un lato una ricerca della Readboud University in Olanda documenta i benefici sperimentati da bambini e adolescenti utilizzatori di giochi interattivi sul piano cognitivo, emotivo e mentale. Ma la preoccupazione si concentra sulle possibilità di dipendenza e sull’esposizione alla violenza. Non mancano poi correlazioni con disturbi del sonno, isolamento, aggressività, obesità e ansia. E conseguenze negative su attenzione, controllo degli impulsi, tolleranza alla frustrazione. Ciò di cui si parla meno forse è che giocare su uno schermo: cellulare, tablet o consolle è da considerarsi fattore di stress psicologico con effetti fisiologici di una certa entità come variazioni della frequenza cardiaca, della pressione, dei livelli di noradrenalina e cortisolo: ormone dello stress, alterazioni dello zucchero nel sangue, ritardo nella digestione. È correlato anche a una maggiore assunzione di cibo negli adolescenti, a una diminuzione della precisione, alla sindrome metabolica: ipertensione, obesità negli adolescenti indipendentemente da inattività fisica. Le raccomandazioni da parte delle organizzazioni scientifiche di pediatri sono di limitare la quantità di tempo totale dell’intrattenimento con gli schermi a meno di due ore al giorno, evitare le esposizioni ai bambini sotto ai due anni, e controllarne i contenuti, spesso inadatti all’età dei giocatori. Ma comunemente il tempo dello schermo per i bambini e ragazzi è ben altro. Tv, smartphone, computer, tablet, social media e videogiochi hanno invaso la loro giornata. Più di qualunque altra attività. Forse è proprio questo l’aspetto sul quale concentrarsi. Sullo spazio, il coinvolgimento, la pervasività di questa esperienza nella loro vita. E nella nostra, perché siamo noi adulti i primi a dare esempio. Non sono i videogiochi in sé ad essere buoni o cattivi. Però quando i bambini trovano noiose le attività senza schermo è un segnale di allarme: probabilmente si sono abituati a un livello innaturale di stimolazione. Così come quando preferiscono il video in solitaria alla compagnia di coetanei. Il gioco o qualunque altra attività sullo schermo è un tempo sottratto a esperienze reali, a interazioni sociali, al gioco libero e spontaneo, alla possibilità di muoversi, esprimersi secondo modalità non programmate. Numerosi studi condotti negli Usa dimostrano che gli adolescenti che nell’infanzia non hanno avuto modo di sperimentare liberamente giochi di gruppo e di movimento con i coetanei sono più ansiosi, depressi e meno autonomi. Offrire esperienze ai nostri figli, allargarle ma non approfondirle, sta diventando la norma nel nostro vivere iperconnesso. Nel mondo cibernetico di oggi, i bambini sono esposti a messaggi che insegnano apatia, non empatia. La connessione intima, autentica sta diventando sempre più difficile. Instaurano rapporti numerosi, estesi, fatti di rapidi e brevi scambi a scapito di profondità e intensità. Sono sedotti da una miriade di semplificazioni, gratificazioni immediate con click dispensatori di dopamina, ma rischiano di privarsi della possibilità di costruire legami attraverso i quali imparare a essere pienamente presenti all’altro, acquisire fiducia, comprensione, profondo senso di connessione. A impegnarsi. Giocare guardandosi negli occhi. Per questo il tempo dei videogiochi per i bambini andrebbe confinato tra esperienze creative reali. Gli esseri umani sono programmati per la socialità e la compagnia, l’affetto e l’attaccamento. Come adulti ed educatori, dobbiamo lavorare per mostrare ai nostri figli il valore di queste risorse.

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine sociali per ildenaro.it)

 

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Minori, testimoni silenziosi della violenza domestica. Vittime di “stress post- traumatico”

untitledAlmeno 400 mila bambini sono vittime silenziose e sofferenti di violenza assistita. Testimoni diretti o indiretti dei maltrattamenti in casa nei confronti delle loro mamme, quasi sempre per mano dell’uomo, sono i numeri contenuti nel dossier di “Save the Children”, più di 1,4 milioni le madri vittime di violenza domestica nella loro vita. Testimoni innocenti e silenziosi dinanzi alla violenza ingiustificata ed inaudita che gli uomini scaricano contro le donne. Il femminicidio non significa solo donne uccise. Purtroppo. Per ogni donna uccisa, spesso c’è anche un bambino che non può più chiamarla mamma. Negli ultimi decenni dal 2007 al 2017, l’Istat ha calcolato in 1.600 il numero degli orfani di femminicidio, 417 solo dal 2014. Molti di loro testimoni della violenza subita dalla madre o addirittura spettatori dell’uccisione da parte del compagno. Bambini che devono riuscire a fronteggiare e convivere con quelle profonde cicatrici che scenari del genere lasciano, ma soprattutto al trauma continuo della violenza nei confronti della loro mamma, restando paralizzati ed inermi dinanzi alle botte, alle urla, ai pianti delle loro mamme. Secondo i dati, forniti qualche giorno fa da “Save the Children”, tra le donne che hanno subito una qualche forma di violenza più di una su dieci ha temuto per la propria vita o quella dei propri figli e in quasi la metà dei casi i loro bambini hanno assistito ai maltrattamenti. Il dossier sottolinea l’urgenza di una strategia per contrastare questo tipo di violenza. Infatti, Save the Children, ha fatto partire nei giorni scorsi, un’iniziativa di sensibilizzazione denominata “abbattiamo il muro del silenzio” per accendere i riflettori su quella che possiamo definire una piaga invisibile che ha conseguenze devastanti sulla vita dei minori. Così a Roma, a Palazzo Merulana, è stata esposta un’installazione “immersiva”: “la stanza di Alessandro” per provare in prima persona il dramma che tanti bambini quotidianamente vivono. Lo sguardo di un figlio non è mai indifferente a quello che succede tra i genitori dentro casa. Ma il sistema giuridico italiano lo contempla di striscio, infatti, la violenza in presenza dei minorenni non costituisce reato. Al massimo è un’aggravante, come stabilisce la nuova legge sul femminicidio. Eppure un genitore violento sotto lo sguardo innocente dei propri figli provoca danni alla loro crescita psichica ed emotiva. Crescono covando rabbia, hanno disturbi psicosomatici: dal mal di testa al mal di pancia, ansia, spesso sono aggressivi con i loro coetanei e diffidenti con gli adulti, vivono con la paura addosso. Tutte reazioni ansiose, generate dallo stress post-traumatico. Il rischio che si corre è che da adulti riproducano lo stesso modello familiare, passando così da vittime ad autori di molestie. Ecco perché nel momento in cui si aiuta la madre vittima di gesti violenti, bisogna supportare anche il bambino che ha assistito al vissuto traumatico attraverso un nuovo percorso relazionale. Un impegno non scontato. Spesso, i tribunali per i minori, dispongono il sostegno psicologico ai figli solo se hanno ricevuto in prima persona violenze. Ciò significa che ancora non sono riconosciuti i danni gravi subiti come spettatori di aggressioni fisiche o anche di molestie psicologiche. Il quadro, dunque, peggiora. I servizi sociali, hanno il compito di garantire un legame genitoriale con il minore, ma quando il bambino è terrorizzato dal padre, si rischia solo una forzatura contro il suo volere. E’ importante, dunque, che il silenzio innocente dei bambini, diventi voce che guidi a percorsi ludo pedagogici attraverso attività ricreative, come la produzione di oggetti, scrittura di una storia mettendola in scena, cineforum, accudimento di un animale e la coltivazione di un orto insieme alle madri. Lo scopo è spezzare le catene del passato, guardando la futuro, istaurando un nuovo legame tra madre e figlio. Madri che impareranno a prendersi cura dei figli, prima erano impegnate a sopravvivere, garantendo loro le cure primarie, trascurando tutto il resto. Mentre, i bambini impareranno ad esprimere il loro mondo interiore, con le parole riporteranno i sentimento e chiederanno aiuto non più con la forza ma con la gentilezza ed il rispetto verso gli adulti. Un percorso che necessita anche del supporto e del sostegno psicoterapico, che tra l’altro necessita anche dell’autorizzazione del padre e spesso non si ottiene, nonostante si intraprenda un percorso di mediazione con lui. Progetti ludico pedagogici, sono stati attuati già in Italia e con ottimi risultati, ma si scontrano con la carenza di fondi e di strutture idonee, perché in Italia non c’è solo un vuoto normativo, ma una totale assenza di ascolto al fenomeno. Che questi nuovi dati che sottolineano un quadro di emergenza siano la molla per potenziare politiche sociali che guardino al fenomeno e ascoltino l’innocenza dei più piccoli? La speranza, quella c’è!

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine sociali per ildenaro.it)

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Famiglie con un solo genitore: perché la povertà è dietro l’angolo

untitledSono 893 mila le madri sole con i figli minori in una situazione economica critica. A dirlo sono i dati Istat. In Italia nel biennio 2015-2016, si stima che in media i nuclei familiari monogenitore in cui è presente almeno un figlio minore siano pari a 1 milione 34 mila. Un fenomeno in crescita. Più della metà delle madri sole non può sostenere una spesa prevista di 800 euro e neanche una settimana di vacanza. Quasi una su cinque è in ritardo nel pagamento delle bollette, affitto e mutuo. Altrettante non possono riscaldare adeguatamente l’abitazione. Le madri sole lavorano fuori casa più tempo rispetto alle madri in coppia, si stima 47 minuti in più al giorno e dedicano meno tempo al lavoro familiare, 37 minuti in meno. I livelli di soddisfazione sono sempre inferiori a quelli delle madri in coppia per tutte le dimensioni della vita e in particolare per le condizioni economiche. Cambia di poco la condizione dei padri soli, hanno meno figli e più grandi di età. Matrigna, patrigni, figliastra, multiparentale e chi più ne ha ne aggiunta. L’Italia ormai fa i conti con la famiglia monogenitoriale o allargata e lo slalom degli affetti. Oggi sono 2,7 milioni gli italiani che vivono in famiglie cosiddette ricostituite, e con le nuove compagne “le matrigne” , che da sempre non hanno mai goduto di buona fama: d’altronde è la donna che prende il posto della madre, e con loro bisogna fare i conti. In Italia, dice l’Istat sono 893 mila le famiglie al secondo giro di prova con nuovi partner al fianco. Venticinque anni fa, nel 1993, non arrivavano a 600 mila. La famiglia tradizionale ha lasciato il posto a nuove famiglie, ormai, la famiglia tradizionale non è più un modello prevalente – secondo l’Istat- neanche nel Mezzogiorno d’Italia. Monogenitori per un periodo di transizione, poi nella maggior parte dei casi si diventa bifamiglie con bigenitori ed i figli possono trovarsi fino a quattro figure genitoriali. Un fenomeno sociologico che ci porta a genitori costretti a negoziare più di un tempo, figli che devono dividersi tra otto nonni per scoprire che quello con cui sono affini è quello acquisito. Si apre così la strada a quelle famiglie definite dal sociologo Pierpaolo Donati, “famiglie liquide”. In Italia, la famiglia normocostituita: da mamma, papà e due figli in media, è ormai una minoranza, non si tocca neppure la soglia del quaranta percento totale. L’altro sessanta percento ha forme più svariate: si può crescere con una mamma single, o con papà single, in una coppia dove uno dei genitori naturali si è sostituito ad un nuovo partner. O in una casa con due genitori dello stesso sesso: due mamme o due papà. Sono ancora però le donne a reggere le sorti della famiglia, anche se subentrano a matrimoni troppi brevi, a relazioni finite male e si trovano ad educare bambini piccoli, che a volte a malapena parlano. E fanno persino fatica a trovare loro un nome appropriato alla situazione. Forse un tempo di mamma ce n’era una sola, ma oggi non è più così. La partita si gioca tra la mamma biologica e la nuova compagna del papà, e se le due si alleano, diventano esempio di crescita specie nell’adolescenza. Il problema però sussiste nel nuovo lessico familiare che è parte centrale del cambiamento. Mancano le parole, i figli stessi non sanno come chiamare o definire i nuovi compagni dei genitori e questo secondo i più recenti studi anglosassoni, sarebbe l’origine della fragilità di questi nuclei ricomposti. La famiglia con lo stesso cognome non c’è più. Non sono chiari i diritti e i doveri dei genitori e delle nuove figure che subentrano. Se un ragazzo ha un incidente, il compagno della madre, che magari lo ha cresciuto, non può dare neanche il consenso per un’operazione d’urgenza. Eppure le nuove compagne si ritrovano a vivere delle vere e proprie vie crucis, a Roma e Milano sono nati i “club della matrigne”: donne che si confrontano e si scambiano consigli, perché credevano che un uomo divorziato fosse un uomo libero ed invece si sono ritrovate a figli che remano contro, ex mogli pronte a calunniare, il compagno pronto a fingersi morto pur di affrontare la situazione. Perché di certo le famiglie si ricostituiscono ma i legami non si possono spezzare. E’ dura la vita delle “matrigne” di oggi: quasi tutte soffrono della sindrome “da prima moglie” sulla supremazia della donna che è venuta prima, devono sopportare le foto dell’ex nuova che le suocere hanno ancora in salone e si sognano di partecipare al saggio di danza della scuola, ma quel posto spetta alla vera mamma. Ma è dura anche la vita dei figli che si trovano un’estranea che gli fa da mamma e la crisi dei modelli tradizionali non è indolore, la liquefazione come viene definita in sociologia, fa emergere comportamenti a rischio, specie nell’adolescenza. Quando il nuovo compagno non pretende di avere un ruolo paterno o materno ma solo di un adulto di riferimento, le cose vanno meglio. Di certo i bambini d’oggi fanno i conti con la sessualità dei genitori, ciò che prima non avveniva. Per generazioni venivano visti come assessuati, oggi, invece, i bambini si trovano a cercare nuove spiegazioni. La famiglia borghese di un noto film di Ettore Scola non esiste più, neanche quella da pubblicità, cambiano gli affetti, cambiano i termini, c’è chi dice meglio così, più crescono le figure di riferimento e più affetto avranno i figli, c’è chi invece è terrorizzato da tanto cambiamento, di certo è che la transazione familiare è in atto e con sé porta tutte le problematiche del caso.

(Articolo pubblicato per il mio blog Pagine sociali per ildenaro.it)

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Social media, vietate le foto dei minori. In arrivo multe per i genitori

foto per blog 2Non sono casi isolati né quelli dei genitori che postano sui social le foto dei figli minorenni né quelli dei giudici che li condanno a rimuovere le immagini da internet, ma per la prima volta, lo scorso dicembre, il tribunale di Roma, ha stabilito anche una sanzione pecuniaria per una mamma. Dietro la condanna, le lamentele del figlio sedicenne esasperato dal materiale che lei, tra l’altro coinvolta in una causa di separazione dal marito, pubblicava in rete. Non solo fotografie ma anche dettagli della storia famigliare. Il giudice ha stabilito il divieto per la donna di diffondere sui social notizie, dati e immagini del ragazzo. Nel caso in cui non rispettasse la sentenza dovrà risarcirlo con dieci mila euro. La legge sul diritto d’autore, stabilisce che il ritratto di una persona non può essere diffuso senza il suo consenso e a rafforzare la legge ci pensa la Convenzione Onu. I figli sono persone, per di più di minore età ed autonome, che hanno diritto a vedersi tutelata, riservata la propria sfera anche rispetto alle intenzioni dei genitori, lo ribadisce la Convenzione delle Nazioni Unite sull’Infanzia, che sottolinea come anche le persone minori d’età hanno diritto alla tutela della loro vita privata, della propria immagine e la propria riservatezza. E’ la prima volta che in Italia, viene stabilita, oltre che la rimozione del materiale foto e video, anche una multa per il genitori. Così il nostro Paese si inserisce nel solco già segnato da alcuni paesi europei dove le punizioni sono molto più severe, qui, è prevista una sanzione di 45 mila euro e la reclusione fino ad un anno, nei confronti dei genitori che violano la privacy dei loro figli. Ma sulla sentenza di Roma ha giocato un ruolo determinante anche il precedente dello scorso autunno, dove il tribunale di Mantova aveva stabilito che non si possono postare sui social network le foto dei propri figli minorenni se l’altro genitori non è d’accordo. Genitori social e figli senza privacy in balia del narcisismo dei genitori: foto delle feste, della comunione, di Halloween, foto dei temi che hanno preso il vito migliore della classe, considerazioni sui propri figli ed i social diventano una piazza di genitori narcisisti che azzerano la privacy dei loro figli, per di più minorenni. Ma se fino ad ieri era solo un invito a non pubblicare le foto dei minori per non rischiare di cadere nella trappola della pedopornografia, in un web sempre più spietato e grande fratello dei più piccoli, oggi, ci pensa la giurisprudenza a richiamare i genitori a foto che catturino il momento ma che restino private, dopo il giudice di Mantova che ha chiesto un’opinione comune e condivisa sulla pubblicazione delle foto in rete da parte di entrambi i genitori, il giudice di Roma, ha tutelato un minore di sedici anni, sentitosi schiacciato dalle foto in rete e dal racconto di una vicenda famigliare a suon di rancore a causa della separazione che si giocava sulla piazza social. Il giovane aveva persino chiesto al giudice di potersi trasferire in America e ricominciare lì una nuova vita. Genitori social che rimangono affascinati dagli scatti social che ritraggono i loro figli e catturano i commenti di decine di persone, che a volte serve ad avere conferme, perché per la psicologia postare specie nella fase della nascita, serve ad avere ottenere sostegno e supporto ma nel lungo periodo può amplificare le ansie. Si rischia di cadere nel tranello di voler mostrare a tutti i costi di essere genitori perfetti, considerando la genitorialità l’ingrediente essenziale della propria identità. Insomma, ben oltre la volontà di aggiornare gli amici o condividere bei momenti, al fondo degli atteggiamenti più martellanti c’è il vecchio meccanismo della conferma esterna. Che, riversa i suoi effetti anche sulle conseguenze emotive, positive o negative, ai commenti o ai like. E così i social si trasformano in uno specchio deformato: da una parte metto di sostegno e conforto, dall’altro severo giudice a cui abbiamo tuttavia assegnato un ruolo deliberatario. Oltre la psicologia ora c’è l’avvertimento dal tribunale: i genitori che pubblicano le fotografie dei figli minorenni sui social commettono un illecito che piò portare alla rimozione delle immagini e anche ad una somma di denaro a titolo risarcitorio a favore dei figli.

(Articolo pubblicato sul mio blog “Pagine sociali” per ildenaro.it)

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Racket delle Onlus attorno alle adozioni, arrivano le condanne

img1024-700_dettaglio2_Adozioni-no-coppie-omosessuali-famiglia“Una sentenza che farà giurisprudenza”, esulta così l’avvocato Torrisi, che in prima persona ha condotto una battaglia che ha sa di dolore e di sofferenza: quella di chi vorrebbe diventare genitore attraverso l’adozione ma incontra difficoltà non solo sul piano burocratico ma anche nel vasto mondo delle Onlus, che spesso puzzano di truffa, come in questo caso. Per la prima volta in Italia, è stata riconosciuta la responsabilità civile della Commissione Adozioni Internazionali (CAI) per omessa vigilanza. E’ tutto riportato nero su bianco, in una sentenza storica per il nostro paese, ad emetterla il Tribunale di Roma che è intervenuta sul caso delle adozioni truffa in Kirghizistan. Il giudice romano ha condannato l’ente “Airone Onlus” di Alberga e  la Commissione di Palazzo Chigi, a risarcire la coppia, vittima del raggiro del racket, per loro 178 mila euro, oltre le spese giudiziarie. La storia affonda le sue radici nel lontano 2012 quando i coniugi insieme ad altre 20 coppie partirono alla volta dell’ex Repubblica sovietica, nel cuore del Bishkek, per adottare dei bambini con intermediari l’ente che ha sede a Savona, poi a Bergamo e a Roma. Adozioni rivelatesi però irrealizzabili perché i bambini avevano una famiglia e per loro non vi era lo stato di abbandono e quindi di adottabilità. La coppia che era stata abbinata precedentemente a due gemelline, si è ritrovata a fare i conti con la delusione e l’amarezza, così al ritorno in Italia hanno sporto denuncia, sono state avviate le indagini del caso, che ha portato alla radiazione dell’ente in questione. La sentenza, infatti, a distanza di cinque anni riconosce “evidenti gravi irregolarità”. Perché l’associazione in questione ha continuato  ad operare per il paese estero in danno di altri attori, anche dopo le numerose email della coppia al Cai, sino al marzo del 2013. Spetta ora al Tribunale di Savona stabilire se intorno alle adozioni fantasma vi era un racket di minorenni spacciati per orfani, gestito da quello che oggi è un latitante, imputato insieme ad altre quattro persone nel processo, ancora in corso a Savona, per associazione a delinquere finalizzata alla truffa per la compravendita di bambini come ha ipotizzato dal PM che segue il caso. Una sentenza che seppur sarà destinata a fare scuola, riporta alla cronaca l’attualità del mondo delle adozioni, fatto di lunghi anni, di una burocrazia cartacea, nella maggior parte dei casi, e di un lungo percorso che sa di viaggi, di speranze di chi sogna di poter donare amore ed educazione a bambini che hanno storie e vissuti complicati e difficili, scontrandosi a volte con una fredda burocrazia o con enti intermediari illeciti e scorretti, che distruggono il sogno di molti aspiranti genitori. E’ la cronaca che parla di scandali e malefatte nel mondo delle adozioni. Il presunto traffico di bambini in Congo, riportato nelle scorse settimane da Repubblica, con le denunce per truffa delle famiglie in attesa da lunghissimo tempo, inutilmente; sino alla sentenza per truffa per l’ente Airone, che sfocerà anche in un processo penale. Una situazione complicata, se ci si mettono anche i dubbi sulla Commissione Adozioni: non viene riunita da tre anni, il sito è bloccato, la linea di comunicazione con le famiglie soppressa, nessuna possibilità di farsi rispondere a telefono, nessun incontro da tre anni con gli enti, nessuna autorizzazione sui Paesi, nessun controllo ed eventualmente sanzioni per gli enti, non vi è alcuna pubblicazione di rapporti statistici per tre anni, insomma una situazione che fa acqua da tutte le parti e crea non pochi dubbi o perplessità, alimentando un clima di diffidenza e sfiducia attorno al mondo delle adozioni internazionali, tanto che ha spinto molte famiglie a rinunciare a questa strada. La casistica riporta una drastica diminuzione del numero di famiglie che si rende disponibile ad accogliere un bambino abbandonato.  Chi sbaglia, è giusto che paghi e venga punito, ma l’adozione non è questo o forse non è solo questo. I casi eclatanti ci sono, vanno denunciati per stanare quelle pecore che poi sanno di marcio, che rischiano di contaminare un gesto quello dell’adozione bello seppur complesso. Le adozioni sono bambini spesso abbandonati, in alcuni casi vivono in difficoltà, alcuni di loro hanno problematiche di salute e con l’adozione riescono a vedere la luce della famiglia. L’adozione è sinonimo di famiglie che si rendono disponibili, con gioia, amore, passione ad un gesto che sa anche di sacrificio e impegno, perché si accoglie un bambino che spesso ha alle spalle un vissuto difficile e di dolore,  in molti casi non conosce neanche la nostra lingua. E’ come se una famiglia dovesse riconoscersi e ricominciare nel nome dell’amore e dell’adozione. Nel mondo delle adozioni vi sono associazioni, professionisti, istituzioni pulite, appassionate, che mettono a disposizione il loro lavoro prima, durante e dopo l’adozione con vicinanza e attenzione. Nel panorama delle adozioni c’è una rete di volontari che si pongono come aggancio tra le famiglie e i “nuovi” figli, per una maggiore integrazione, per un maggior inserimento. Le adozioni internazionali sono la sperimentazione di un mondo aperto alla diversità, alla cultura della solidarietà, dell’accoglienza, di un mondo fatto di colori e culture che vorremmo e dovremmo imparare a tutti i bambini, adottati e non. Oltre ogni scandalo, bisogna crederci, affidarsi ai professioni, mentre, la società, la politica, le istituzioni devono vigilare, condannare, esserci nel momento degli scandali e punire, stanando il racket truffaldino che gira intorno a bambini che nascono dal cuore di nuovi genitori, desiderosi di essere famiglia. Bisogna riportare in auge il patrimonio di solidarietà ed accoglienza che lentamente sta morendo distrutto  dallo sporco profumo dei soldi e delle truffe.

(Articolo pubblicato  in Pagine sociali per ildenaro.it)

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Minori e reati. Vite dietro le sbarre dei penitenziari minorili italiani

img_0217Incoscienti e spietati. Senza mai provare rimorso, né assumersi responsabilità alcuna. Giovanissimi, ancora bambini ma giocano con la vita e con la morte. Il pericolo, l’escalation di violenza gli provoca un brivido, in alcuni casi gli mette adrenalina. Furti, rapine, spaccio, e nella peggiore delle ipotesi omicidi, li affascina. Sono l’esercito tecnicamente dei bambini, ma violenti che rifiutano le regole, che arrivano a compiere gesti terribili e senza senso con una leggerezza tale che anche davanti alle conseguenze non riescono a comprenderne la gravità. Così da fanciulli o poco più si ritrovano in una stretta cella, a vivere una vita di privazione e di ridotta libertà tra le sbarre di uno dei diciannove penitenziari minorili presenti in Italia, che ospitano detenuti dai 14 ai 18 anni, e fino ai 21 anni se il reato è stato commesso prima del raggiungimento della maggiore età. Per tutti gli istituti penitenziari minorili la priorità è la funzione rieducativa della pena. L’identikit psicologico del minore delinquente è spesso quello di un ragazzo privo di una guida, una linea comportamentale da seguire, in molti casi sono mancate le figure genitoriali o non sono in grado di impartire sani principi, sono vissuti in ambienti degradati, vittime loro stessi di violenza e soprusi. L’equipe che lavora all’interno dei penitenziari minorili diventa punto di rifermento e si occupa di rielaborare e rieducare: si lavora su un terreno ancora fertile. Ma se non si tratta del giovane ladruncolo o di un piccolo spacciatore, ma di un piccolo “mostro”, il lavoro è più complesso e difficile. Siamo davanti ad un delitto premeditato e compiuto spesso con grande ferocia e freddezza, la cronaca è lunga: da Erika e Omar, considerati lucidi e consapevoli, ad Emanuela, 15 enne che uccise la madre perché questa contrastava la sua relazione amorosa. Si lavora sulla ferocia covata nell’animo, si cerca di capire quali siano le emozioni, i sentimenti provati da questi giovanissimi, sino a capire in che modo si possa riabilitare all’interno della società. Oltre al lavoro psicologico, sociale, educativo affidato ad un’equipe che lavora all’interno delle strutture c’è un aspetto giuridico, legato al reato commesso. L’iter giudiziario minorile inizia con l’arresto il fermo: un minore può cadere nelle maglie della giustizia minorile o perché colto sul fatto (in flagranza) o perché indiziata (fermo di polizia). La prospettiva punitiva del processo deve avere sempre presente l’obiettivo del recupero del minore, anche nei casi più gravi ed eclatanti, per evitare che rimanga vittima della spirale comportamento deviante. Il carcere deve risultare l’ultima possibilità: quando non vi sono altre misure alternative o quando queste sono fallite. Quando il giudice dispone una misura cautelare, l’imputato viene affidato ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia con la quale collaborano gli enti locali, nelle funzioni di sostegno e controllo del ragazzo. Le misure previste, in ordine di gravità crescente, sono: -prescrizioni: orari di uscita e rientro a casa; -permanenza a casa: una sorta di arresti domiciliari, nel caso di trasgressione non vi è denuncia; – collocamento in comunità, quando la famiglia si rifiuta al collocamento in casa; – custodia cautelare: in un istituto di pena minorile. La valutazione viene fatta sulla base della personalità del minore, eventuali precedenti penali e sulla base della situazione personale e familiare. In termini di legge e di giustizia bisogna ricordare il DPR 488/88 che riguarda il perdono giudiziario e la messa alla prova al servizio sociale. Nella messa alla prova il giudice sospende il processo per un periodo non superiore ad un anno, fino a tre per i reti più gravi, affidando il giovane all’assistente sociale, che seguirà percorsi di rieducazione: se le relazioni delle figure professionali coinvolte nella rieducazione sono positive, il giudice fissa una nuova udienza e dichiara estinto il reato. Altrimenti, prevede alla prosecuzione del processo penale. Per quanto riguarda il perdono giudiziale, viene concesso anche per reati rilevanti, anche non lievi, se emerge la volontà positiva e benevole del ragazzo nel futuro. Può essere concesso una sola volta. Tra misure da adottare resta comunque un’emergenza sociale: ragazzi soli e attratti dal lato oscuro e pericoloso della società che li spinge a compiere atti che vanno contro legge.

(Pubblicato su ildenaro.it)

 

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Maltrattamento e abuso sui minori: un mondo sommerso che non emerge

img_0217Violenze, abusi, insulti. Ma, anche denutrizione, disabilità, danni psicologi permanenti: è il calvario delle piccole vittime dei casi di maltrattamento o abuso che ogni giorno, in silenzio si consuma nel nostro paese. Secondo una recente indagine realizzata da Telefono Azzurro in collaborazione con Doxa Kids, le violenze sui bambini e gli adolescenti sono sempre più diffuse. Accentuate dai rischi legati all’uso delle nuove tecnologie e dalla crisi economica, non vengono quasi mai denunciate. Nel 70% dei casi l’abuso si consuma fra le mura domestiche. Secondo l’OMS, l’Italia ha un indice di prevalenza di abusi e maltrattamenti del 9,5 per mille. Sono centomila i casi veri, presi in carico dai Servizi sociali. Non stime. Come prendere una grande città e riempirla di piccoli, e d’orrore. I casi maggiori al Sud Italia dove si registrano circa 273 casi di maltrattamento ogni mille minori, sui 155 del Nord. E dove, per via della difficoltà economica delle amministrazioni, i servizi sociali garantiscono sostegno alla metà dei bambini presi in carico dalle regioni settentrionali. Tra le violenze che colpiscono i piccoli la più frequente e all’apparenza la più innocua è la “trascuratezza”. È l’Organizzazione mondiale della sanità ad avere chiamato così l’assoluta incapacità da parte dei genitori di prendersi cura, materialmente e affettivamente, dei propri figli. E la trascuratezza è il mostro che nel 47% dei casi, nel nostro Paese, fa arrivare davanti ai giudici dei tribunali dei minori, e agli psicologi delle comunità protette, bimbi denutriti, con disabilità o ritardi acquisiti (fisici, linguistici, emotivi), incapaci di relazionarsi con gli altri. Scabroso quanto deprimente,  il fenomeno del maltrattamento o dell’abuso sui più piccoli ha radici storiche,  in passato i bambini venivano sacrificati agli dei, o vi era l’uccisione di bambini deformi o non desiderati ed era una pratica comunemente accettata e praticata. E’ nel ‘900 che si sviluppa la “cultura dell’infanzia” e si guarda alle violenze e negligenze ai danni dai minori. Si pose così attenzione alla famiglia maltrattante e abusante, alle sue caratteristiche e ai fattori di rischio, come ai fattori di protezione, al danno psicologico e fisico del bambino ed il modo meno traumatico per poterlo denunciare. E’ così che in ambito giudiziario vie ne accettata come prova il disegno, da sempre attività preferita dal bambino, ed è l’unico modo per far sì che il bambino esterni la violenza subita senza riviverla una seconda volta, evitando ulteriori traumi. Così viene introdotto in ambito giudiziario il reato di maltrattamento e abuso. Il codice penale italiano riconosce con la legge 66/1996 le “norme contro la violenza sessuale”, con tre ipotesi di reato: violenza sessuale, atti sessuali con minorenni, corruzione di minorenne. Un fenomeno in crescita, che spaventa, che dilaga. Un mondo sommerso che purtroppo non emerge, lo ha definito così il Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza della Regione Campania, Cesare Romano, qualche giorno fa, nell’ambito di una tavola rotonda dedicata al tema del maltrattamento e abuso sui minori. Il Garante ha esposto i dati di una ricerca condotta in vari comuni dalla Campania, Asl e ambiti territoriali, dove è emerso che ci sono duecento casi conclamati di abuso – “ma che in una proiezione statistica visto che era soltanto il 12% del campione arrivano facilmente a 300” – ha aggiunto. La tavola rotonda ha visto la partecipazione del pediatra, figura chiave e di congiunzione con le famiglie e Romano ha sottolineato l’importanza della formazione sui nuovi studenti di medicina ma anche la creazione di una rete di professionisti. Aspetto importante per Romano è quello sociale: “la formazione – ha detto -si fa nelle zone dove maggiormente emerge questo fenomeno, sicuramente si fa con un sostegno alla famiglia, si fa con interventi per i bambini e per le famiglie disagiate e nelle zone degradate”.  Secondo la legge 184/83 tutti i Pubblici Ufficiali e gli operatori incaricati di Pubblico Servizio, sono tenuti a segnalare all’Autorità giudiziaria minorile le situazioni di pregiudizio, di disagio e di abbandono morale o materiale a carico dei minori. Assumono la qualifica di pubblici ufficiali: gli assistenti sociali, i medici, gli insegnati, gli psicologici, i quali, nel caso di ritardo od omissione di segnalazione o di denuncia all’autorità giudiziaria, si renderebbero responsabili, dei reati di “omissione di denuncia”. Ma in una logica di tutela del minore bisognerebbe andare oltre la denuncia, bisognerebbe attivare sin da subito tutte le misure atte alla protezione del bambino, già dalla presa in carico dai Servizi Sociale, spesso ciò non avviene, sia perché l’intervento degli assistenti sociali avviene dopo molto tempo dalla segnalazione, causato di assistenti sociali che non riescono a fronteggiare le segnalazioni ed il lavoro quotidiano, sia perché i comuni spesso non hanno la possibilità economica di collocare al di fuori della famiglia dove avvengono gli episodi di maltrattamento e abuso, i bambini. Per cui il fenomeno si scontra con la mancanza di personale e di servizi, questo non fa nascere attorno al minore vittima una rete di persone familiari e professionali ma anche di servizi atti a supportarlo e ad aiutarlo a rielaborare quanto subito per creare un adulto più sereno e meno problematico.

(Articolo pubblicato su “ildenaro.it”)

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