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Genitori separati e figli “bottino”, la Cassazione boccia l’Alienazione Parentale (Pas)

La Corte di Cassazione “spegne il sole” sulla sindrome di alienazione parentale (Pas), definendo “pseudoscientifica” la controversa teoria che descrive l’allontanamento di un figlio da un genitore ad opera dell’altro. La Cassazione, con ordinanza 286/2022, ha emesso un’importante ordinanza sulla sindrome Pas, una teoria molto controversa che descriverebbe la condizione psicologica di minori che hanno rifiutato uno dei due genitori a causa dell’incitamento intenzionale portato avanti dall’altro. La Corte ha stabilito che il richiamo alla sindrome d’alienazione parentale “e ad ogni suo, più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario, non può dirsi legittimo.”La sentenza, accoglie il ricorso di una madre, che ha atteso nove anni, tra scioperi della fame, sit-in, e la paura che le portassero via il bambino: le forze dell’ordine e gli assistenti sociali erano già intervenuti tre volte, senza riuscirci. Finché lo scorso marzo, la Cassazione ha annullato la decisione del Tribunale per i Minorenni di decaderle dalla responsabilità genitoriale. Non solo: in modo definitivo la Suprema Corte ha ribadito che il concetto di “alienazione parentale”, suggerita anche attraverso altri sinonimi come “madre malevola, ostativa, simbiotica”, dovrà essere bandito, per sempre, dai tribunali italiani. Una decisione storica, che per altro non è la prima volta, già nel maggio dello scorso anno, con ordinanza n. 13217/21, la Corte di Cassazione aveva riconosciuto l’infondatezza della Pas, ma quest’ultima ordinanza ha aggiunto un punto fondamentale: d’ora in poi nelle cause per l’affidamento, i minori dovranno essere ascoltati dai giudici, non dai periti. I giudici hanno stabilito che non può essere garantita la bigenitorialità a tutti i costi, ma va tenuto conto innanzitutto dell’interesse del bambino. Infine, si sono espressi anche sull’uso della forza fisica usata per allontanare dal luogo di residenza i bambini, dichiarando che ogni forma di coercizione sui minori è fuori dallo Stato di diritto. La sindrome di alienazione genitoriale o parentale (Pas, dalla forma inglese) è un concetto che venne introdotto per la prima volta negli anni Ottanta dallo psichiatra forense statunitense Richard Gardner, e descritto come una dinamica psicologica disfunzionale che si attiva nei figli minori coinvolti nelle separazioni conflittuali dei genitori. La sindrome indica un disagio psichico vissuto dai figli in contesti di separazioni conflittuali a causa del plagio di uno dei due genitori. E’ una teoria molto controversa che divide il mondo giuridico e scientifico, tanto è vero che non è stata mai riconosciuta come sindrome dai manuali internazionali ma molto diffusa nelle aule di giustizia italiane e nei procedimenti sull’affidamento dei figli minori. Utilizzata dalla psicologia forense nelle Consulenze tecniche d’ufficio (ctu), consulenti di cui si avvale il giudice per valutare la capacità di un genitore di prendersi cura della prole. Un giudizio spesso senza appello.  Sono ben 150.000 i bambini coinvolti ogni anno nelle procedure di separazione o divorzio che possono essere colpiti dalla Pas. Succede quando un genitore a seguito della separazione coniugale instilla nel figlio rancore, astio, disprezzo verso l’altro genitore. I figli in sostanza diventano un bottino di guerra, spesso un’arma di vendetta contro l’altro genitore. Una forma di violenza psicologica che comporta vere e proprie patologie. I bambini, le prime vittime, che assistono da protagonisti muti a queste vicende, spesso già testimoni di soprusi e maltrattamenti in ambito familiare, sulla cui pelle si aggiunge dolore. Una realtà molto diffusa, difatti, si stima che sono all’incirca 1400 i fascicoli sui quali ha indagato la Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, per individuare la portata del fenomeno di vittimizzazione secondaria in danno di donne e minori vittime di violenza. La sentenza della Corte di Cassazione ora segna la parola decisiva ad una ferita troppo spessa aperta in molti bambini “bottino” e genitori rancorosi con l’ex coniuge.

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine Sociali per ildenaro.it)

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Genitori irrisolti, gli effetti dell’eredità emotiva genitoriale sui figli

I valori di una genitorialità tipica ci tramandano l’immagine e la convinzione, che poi dovrebbe essere realtà, che i genitori sono fonte di protezione, rassicurazione, accoglienza e amore incondizionato che agiscono per il bene dei figli e favoriscono la loro crescita, soddisfano i loro bisogni e favoriscono l’acquisizione dell’autonomia. Ma, chi fa il mio lavoro di assistente sociale, incontra una pluralità di modelli genitoriali, talvolta adulti nelle vesti di genitori, che nei fatti indossano solo l’abito del genitore senza sentirsi emotivamente e amorevolmente tale. E proprio nel mio lavoro quotidiano, incontro spesso genitori irrisolti. Il loro passato, il loro disagio emotivo, affetti da nodi esistenziali irrisolti, o affetti da dipendenze o da patologie psichiatriche, situazione moto diffusa più di quanto si possa immaginare, manifestando ogni giorno nella relazione con i figli il loro disagio sotto forma di manipolazione affettiva. Essere genitori non implica una capacità innata di amare consapevolmente i propri figli, un genitore genera fisicamente, la singola persona attribuisce un significato autentico a questo ruolo. Coloro che pur essendo genitori, vivono nella relazione con i figli le loro ferite infantili, si caratterizzano per un alto grado di immaturità creando un clima familiare tossico. I genitori che soffrono di problemi infantili irrisolti tendono a proiettare sui propri figli i traumi che loro stessi hanno subito e che non hanno superato. Questa difficoltà di separazione tra il proprio io passato del genitore e i bisogni attuali dei loro figli può essere motivo di manipolazione affettiva e psicologica da parte del genitore verso il bambino in maniera più o meno inconscia. Quando una persona si accinge a diventare genitore senza aver guarito le proprie ferite, è possibile che infligga a sua volta ferite nei figli attivando una reazione a catena generazionale. Tutti i malesseri mentali e a loro volta, le disfunzioni comportamentali, hanno una cosa in comune: l’assenza di confini ben definiti. Nel linguaggio comune, un confine definisce e separa due aree. Sconfinare equivale a invadere. Da un punto di vista psicologico, violare un confine è sinonimo di abuso. Un genitore irrisolto non sempre riesce a trasmettere ai figli dei sani confini. Quando sono piccoli, i bambini dovrebbero essere protetti dall’abuso che può assumere anche forme emotive oltre che fisico e sessuale. Un genitore irrisolto potrebbe non fornire al figlio la giusta sicurezza e la giusta dose di protezione. Il legame affettivo tra un genitore e un figlio è il primo amore, è l’amore primario. E’ il modello dal quale si impara o meno ad amare. Il genitore, che è stato a sua volta figlio felice o infelice, tende a riproporre immodificato lo stesso modello educativo ed affettivo. Il genitore, mette in scena ciò che ha imparato o interiorizzato quando è stato figlio. In alcuni casi le dinamiche irrisolte o le patologie di cui è affetto, si uniscono all’educazione ricevuta, copioni funzionali o disfunzionali, che si aggiungono alla personalità del bambino – solitamente poco considerata- e alle dinamiche della coppia-famiglia. La manipolazione affettiva presenta vari esempi, tutti gravissimi e dannosi. Le manipolazioni possono travestirsi in vario modo ma nuocere alla salute allo stesso modo: un eccesso di cure o di mancanza di cure, un’assenza di contatto fisico o un eccesso di contatto fisico con vicinanza asfittica, parole mancate e parole abusate, ricatti emotivi, denaro al posto dell’amore, baratti del cuore “ti voglio bene se ….” proiettando l’aspettativa genitoriale. Le manipolazioni non sono solo silenti e psicologiche ma anche violente, come violenza fisica. Botte e punizioni corporali, che si alternano a violenze psicologiche che lasciano ferite profonde. Alcuni genitori ammalati di angosce abbandoniche manipolano con le più efferate e mistificate forme di ricatto: elargiscono laute forme di denaro per avere amore in cambio, cucinano, accudiscono i figli anche quando sono adulti, quando il figlio non ricambia lo maltrattano facendolo sentire in colpa per le sue manchevolezze. Il genitore che fa la vittima è un copione molto frequente. Un figlio che nasce e cresce dentro le manette della manipolazione affettiva può reagire in tanti modi. Soffrire e somatizzare. Esprimere il suo disagio con sintomi nel rapporto di coppia o nel rapporto con i figli, senza rendersi conto che l’aria che respira e l’amore di cui si nutre è patologico e disfunzionale. Talvolta è una catena generazionale di un affetto sbagliato, che rischia di ripetersi in ogni legame che si istaura e di tramandarsi da padre in figlio, candidandosi e candidando ad un’infelicità cronica. E’ per questo motivo che quando si incontrano genitori irrisolti si tende ad invitarli ad una strada, talvolta poco trafficata, dove bisogna affidarsi anche con motivazione e volontà, la psicoterapia. Il luogo dell’ascolto non giudicante, che ripara e che restituisce vita e qualità della vita. Successivamente poi accompagnare un buon sostegno alla genitorialità, per incontrare la dimensione genitoriale individuale.

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Il suicidio di un adolescente, perché?

untitled 2Tragico, disumano, scomodo persino da concepire, inimmaginabile. Eppure il dramma dei giovani adolescenti che arrivano a togliersi la vita è una vera emergenza sociale. La cronaca degli ultimi tempi è un susseguirsi di notizie che riportano la morte tragica di ragazzini poco più che adolescenti che hanno deciso di togliersi la vita. Con loro svanisce il senso della vita dei genitori, l’illusione si essere una famiglia normale e serena. In loro la domanda più dolorosa “come ha potuto fare un gesto del genere?” Purtroppo, quel gesto non è così raro. In Italia, secondo le statistiche, lo compiono circa 500 giovani ogni anno. Per uno che ve ne riesce, ci sono circa quattro o cinque tentativi sventati. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il suicidio è la seconda causa di morte in Europa nella fascia d’età tra i 15 e i 29 anni, segue poi la morte per incidente stradale.

Un paradosso delle società occidentali: cresce la qualità della vita, si accarezza il benessere ma non diminuisce il numero di chi decide di togliersi la vita. Il problema è l’inafferrabile solitudine dei figli. Il salto nel vuoto di ogni giorno. Da genitori si può sbagliare per amore, ma sbagliare per amore non cancella l’errore. I genitori spesso cercano tra le cose dei figli, la paura più grande dell’ultimo decennio è l’hashish, alcuni di questi chiamano i carabinieri, per risolvere alla radice il problema generato dalla scoperta e può apparire un atto di coraggio. Forse lo è, forse però no. Un gesto, a volte dettato dalla disperazione. Ma dietro lo sballo o la chiusura totale del figlio c’è la solitudine. C’è il silenzio lancinante. Il dialogo oramai divenuto impossibile con la generazione di oggi. Il silenzio delle chat, gli smartphone, l’aver dimenticato di guardarsi negli occhi quando si parla, di non avere un adulto di riferimento con il quale confidarsi. La mente di un adolescente è un universo a sé. Il mondo a volte può ferire, travolgere, agitare una coscienza. I genitori sono avvolti in un amore permissivo che impedisce di guardare nel cuore dei propri figli. Le canne, saranno pure un problema ma la morte come auto-punizione inflittasi è del tutto sproporzionata. I campanelli d’allarme ci sono. Ma spesso vengono sottovalutati. Di morte non se ne parla, ancor di più di suicidio, in famiglia come a scuola, è ancora considerato un tabù. Bisogna imparare a parlarne e ad ascoltare. Se l’adolescente fa capire di avere intenzione di togliersi la vita, bisogna prendere seriamente il suo messaggio ed intervenire. Alcuni adulti credono che di certi argomenti sia meglio non parlarne per non istigare, ma le ricerche dimostrano che non è così. Affrontare l’argomento in modo diretto e dare ascolto alle voci dei ragazzi è esattamente quello che bisogna fare. Un adolescente su due ha pensieri suicidi. L’adolescenza è un periodo difficile, se non si percepiscono prospettive e speranza per il futuro, ma si avvertono ostacoli e difficoltà, che a quell’età appaiono insormontabili, si può decidere di voler scomparire. L’adolescenza è il passaggio alla vita ed è il momento in cui si prende consapevolezza della difficoltà della vita.  I fattori scatenanti possono essere i conflitti con i genitori, brutti voti scolastici, il cyberbullismo. Bisogna fare attenzione e coglierli come segnali non solo l’annuncio da parte del ragazzino di volersi suicidare, ma anche quando mostrano eccessiva tristezza, chiusura, quando provano a scappare di casa. A quel punto tocca all’adulto cercare il dialogo e affrontare il problema e talvolta farlo anche con uno psicoterapeuta in grado di ascoltare dapprima l’adolescente e poi la famiglia, in grado di ricongiungere un dialogo familiare inesistente o perso. Le famiglie però faticano a chiedere aiuto, perché c’è ancora un pesante stigma sociale intorno alla sofferenza mentale.  L’adulto deve essere in grado di andare oltre le proprie idee e i propri preconcetti, e prendere sul serio il figlio, ricalibrare le reazioni in base al problema del suo ragazzo prima che sia troppo tardi. I genitori non sono responsabili del male di vivere dei figli. Anzi, se adeguatamente supportati da uno psicoterapeuta la famiglia è una risorsa preziosa per questi ragazzi.

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Genitori separati e figli, per le vacanze?

untitledPrepotente è arrivata l’estate con la fine della scuola, il caldo afoso e la voglia di mare e sole, in poche parole di vacanza, che per i figli di genitori separati rischia di diventare un vero e proprio boomerang. Litigi, incomprensioni, genitori che un accordo proprio non riesco a trovarlo. Eppure i dubbi e le perplessità in tema di vacanza per i figli di genitori separati dovrebbero essere superati dal provvedimento che dispone l’affido condiviso, perché qualunque provvedimento che sancisce l’affido condiviso di un minore e ne disciplini il diritto di frequentazione con il genitore collocatario, non trascura di prevedere espressamente il calendario di visita nel periodo estivo. La prassi vuole, con specifico riferimento ai tre mesi estivi in cui il minore non frequenta la scuola, che il genitore collocatario trascorra almeno due settimane e preferibilmente consecutive con il figlio; garantendo così al minore la possibilità di sperimentare ed in alcuni casi rafforzare la quotidianità e la confidenza col genitore che nel corso dell’anno, vede, di media, per non più di due giorni consecutivi. Nella restante parte del periodo estivo, il minore resta invece affidato alle cure del genitore collocatario, il quale – seppur sospeso l’ordinario calendario di frequentazione – deve garantire all’altro la regolarità e la frequenza dei contatti con il figlio. Questo, nel pieno rispetto del principio della bigenitorialità, che non ammette che, per un periodo così lungo, il diritto dei bambini a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori possa essere in alcun modo sacrificato in nome del loro, indiscusso, diritto allo svago e al divertimento. Vacanze alle porte, mamma e papà sono così chiamati a concordare come spartirsi i rispettivi periodi di vacanza, conciliando gli impegni lavorativi, le esigenze logistiche, le preferenze geografiche e le opinioni personali. Ed è proprio qui che, molto spesso, nascono le incomprensioni o, nei casi più estremi, i conflitti. Ad esempio, è frequente che il genitore in partenza con minore al seguito, a ridosso della vacanza, non abbia ancora fornito all’altro tutti i dettagli: destinazione, orari del viaggio, indirizzo, recapiti,  disattendendo così all’onere informativo che non è espressamente disciplinare ma richiama al pacifico dovere di collaborare nell’interesse superiore del minore. Inoltre, nelle separazioni più conflittuali, proprio la gestione del periodo che, per antonomasia, è sinonimo di spensieratezza e serenità, rischia di diventare il momento perfetto per mettere in atto l’ennesima battaglia contro l’altro: è frequente, infatti, che un genitore, con un pretesto, arrivi a negare il proprio consenso al rilascio dei documenti validi per l’espatrio dell’altro – o del figlio minore – impedendone così la partenza. Da un punto di vista normativo, questo diniego deve essere sorretto da motivazioni fondate sul concreto pregiudizio che, dall’espatrio, potrebbe derivare al minore, il genitore vittima dell’ostruzionismo dell’altro può chiedere l’intervento del Giudice Tutelare il quale, svolti gli opportuni accertamenti, se ritenuto, potrà “scavalcare” il dissenso pretestuoso opposto da uno dei due e autorizzare la partenza. Insomma, un momento tanto spensierato rischia di diventare un ennesimo motivo di dissidio che finisce per approdare in un’aula di tribunale per l’egoismo di un genitore o il rancore di un ex coniuge, a spese dei minori che innocenti ed inermi restano a guardare con delusione ed amarezza. Forse basterebbe solo buon senso e collaborazione che restano gli ingredienti determinanti seppur rari per non rovinare ai più piccoli il periodo più atteso durante tutto l’anno. Anche perché  è bene ricordare che la responsabilità genitoriale, da qualunque punto la si guardi, non va mai in vacanza. O almeno non dovrebbe.

 

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“Mamma posso usare lo smartphone?” Se i figli chiedono, i genitori cosa dovrebbero rispondere?

untitledAdolescenti solitari e depressi, immagine di una generazione da smartphone, che si annoia e si sente “troppo libera” quando è in astinenza da cellulare. Sbronzi di telefono. Senza cellulare si sentono soli e più stressati. I Millennials sono pigri, eterni insoddisfatti e socialmente dipendenti. Hanno detto addio al caro diario ed hanno fatto del cellulare il loro miglior confidente. I nativi digitali crescono davanti al telefono, dialogano con l’intelligenza artificiale, guadagnano follower. E la nuova età adulta per web e social si abbassa vertiginosamente. “Ce l’hanno tutti”, “Mi serve per i compiti”, “Mi serve per parlare con i miei amici su watsapp”, le abbiamo sentite tutti queste frasi almeno una volta nella vita da genitori o da educatori di una nuova società che dallo smartphone proprio non riesce a staccarsene. La richiesta dello smartphone presto o tardi, tocca a tutti i genitori, che si sentono spaesati e temendo di fare del proprio figlio un escluso o di generare infinita discordia, lo consegnano nelle sue mani inesperte dei loro figli. Anche perché molti genitori lo vedono come un rassicurante elettronico in grado di rintracciare il proprio figlio ovunque ed in qualsiasi momento. Ma qual è l’età giusta? Non esiste un’età giusta e non saranno posti dei limiti. Secondo i dati di “Eukids” 2017, in Italia, più della metà dei bambini già a 9 anni possiede uno smartphone, percentuale al 97% quando si arriva ai 15. Prima di regalarglielo chiedetevi: “gli serve? E’ pronto per utilizzarlo e per gestirne la complessità?” Sempre più ricerche dimostrano che i bambini che usano precocemente e intensamente le tecnologie sviluppano meno abilità sociali. Oggi sappiamo che lo smartphone impatta in modo definitivo sulle competenze cognitive ed emotive e su alcune delle sfide evolutive come lo sviluppo sessuale, la costruzione delle passioni, quella delle dipendenze. Lo smartphone è la principale causa di distrazione, stimolando a fare più cose contemporaneamente, in un momento in cui la concentrazione e l’attenzione devono essere sperimentate da soli. Da un punto di vista dello studio, riduce la creatività e la risoluzione di problemi a un click con un motore di ricerca. Secondo alcuni terapeuti sono molti i genitori che si rivolgono ad un esperto per aiutarli a gestire le problematiche di abuso da tecnologia. Lo smartphone non va vietato, piuttosto regolarizzato. E’ buona regola dare ai figli delle fasce orarie in cui utilizzare il cellulare, intervallando anche i momenti che precedono e seguono i compiti. Cercate di dare uno sguardo alle sue ricerche e alle sue chat. Lasciategli più spazio per navigare in internet e meno dallo smartphone. Spesso il cellulare è richiesto per avere a portata di mano i social network, mentre internet consente di poter approfondire e ricercare ed è possibile farlo da un normalissimo computer o tablet. Accertatevi del reale utilizzo che vorrebbe farne vostro figlio. Se credete che sia giunto il momento per i vostri figli di avere uno smartphone, per i primi mesi optate per un cellulare condiviso, di famiglia, così da controllare giochi, social e chat. Poi costruite con lui un “contratto educativo” con regole chiare e precise in cui stabilite i momenti on-line ed off-line, stabilendo gli orari e la durata della navigazione. Una mia utente mi ha raccontato di una sveglietta che dopo trenta minuti di utilizzo dello smartphone suona ed i bimbi la vivono come una regola goliardica. Mentre, un’altra mia utente che non riusciva a gestire più la prestazione continua dello smartphone della figlia, mi ha raccontato di una “moda” molto in voga tra i giovanissimi: gare notturne su watsapp per controllare chi “crolla” prima al sonno. L’ultimo accesso segna il momento in cui l’altro compagno si è lasciato andare tra le braccia di Morfeo. E così gli adolescenti vanno a dormire addirittura alle tre di notte, pur di essere svegli ed arrivare primi. Comunicate loro limiti da non trapassare e fategli sapere che sarete lì a presidiare. Senza dimenticare che alcune regole esistono già, di legge. Se vi chiede di aprire un profilo Facebook, sappiate che sino ai 13 anni è vietato. Per watsapp ditegli che può usarlo ma sotto il vostro controllo, perché è un’app consentita a chi ha già 16 anni. Salviamo almeno le zone franche. Ciò che ha fatto la Francia, che ha vietato di usarlo in classe. Quando l’anno scorso la ministra dell’ Istruzione, Valeria Fedeli, lo ha sdoganato in nome di una scuola digitale, le polemiche non si fecero attendere e ammetto di essere contraria all’uso del cellulare in classe. Distrae, crea confusione, permette ai ragazzi di fotografare di nascosto compagni ed insegnanti e di divulgarle come e quando vogliono, mentre, la scuola è il luogo dell’istruzione, dell’educazione e delle regole e se proprio vogliamo renderla digitale ci pensano già lavagne e aule informatiche. Credo che i cellulari vadano lasciati a casa, quantomeno nelle ore scolastiche. Forse se i ragazzi posassero il cellulare e iniziassero a guardarsi negli occhi, condividendo la ricreazione in un rapporto umano anziché sui social, forse sarebbero meno digitali e più umani, più altruisti. Più consapevoli e meno egoisti. Più veri e meno finti. In classe è necessario concentrarsi sul volto dell’altro, prestare attenzione a chi parla. La scuola deve rimanere un luogo dove regole e comportamenti sono condivisi da tutti.

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Minori, una carta per figli con genitori separati: ecco 10 diritti

untitled 2Gli amori naufragano, le storie vedono la parola fine, ma un legame resta per la vita: essere genitori. I genitori si lasciano spesso tra litigi e discussioni e a pagare per l’incapacità di mediare degli adulti sono i figli. I conflitti con i figli al centro non sono mai vantaggiosi per nessuno. Meglio rinunciarci. C’è una strada da percorrere prima del divorzio: trasformare un fallimento in una nuova prospettiva. Le separazioni se ben gestite, possono diventare un momento di snodo positivo nella vita di genitori e figli. Questa volta i figli anziché trovarsi sul terreno di scontro e ricatti, hanno potuto dire la loro in un decalogo di desideri. Ai grandi hanno chiesto attenzioni e ascolto, affetti mantenuti e rispetto. Le loro parole, le esperienze ed i timori, storie e sogni sono finiti nella “carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori”, presentata qualche giorno da dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza Filomena Albano. Un decalogo che pone al centro di tutto gli interessi dei più piccoli. In Italia sono quasi 100mila i bambini con genitori separati. Piccole regole perché non siano travolti e stravolti nelle “guerre” degli adulti, affinché possano mantenere la continuità affettiva costruita negli anni, relazioni solide, rapporti distesi in un clima di serenità. La carta nasce sul volere del Garante che nei mesi scorsi ha creato un’apposita commissione di giovani che si è integrata al parere degli esperti: legali, psicologi, assistenti sociali sentiti in diverse audizioni. Dieci punti brevi ma decisi, ispirati alla convenzione di New York, ai quali i genitori dovranno cercare di aderire anche col supporto degli avvocati, delle varie figure professionali e della agenzie educative.

La carta si apre con il diritto dei figli di continuare ad amare ed essere amati da entrambi i genitori. Mantenendo i loro affetti con i fratelli ed i nonni. Perché non è detto che i figli dei separati debbano essere bambini sofferenti. Tra gli altri diritti individuati nel decalogo vi è quello di continuare ad essere figli e vivere la loro età, di essere informati e aiutati a comprendere la separazione. Ancora, i piccoli anche nella separazione hanno diritto ad essere ascoltati e ad esprimere i propri sentimenti, a non subire pressioni, condividendo le loro scelte con i loro genitori. Hanno diritto a non essere coinvolti nei conflitti, vanno rispettati i loro tempi, preservati dalle questioni economiche e meritano delle spiegazioni. Preziosi consigli che mirano a trasformare un momento doloroso in una svolta senza traumi.

LA CARTA DEI DIRITTI DEI FIGLI NELLA SEPARAZIONE DEI GENITORI

I figli hanno il diritto di continuare ad amare ed essere amati da entrambi i genitori e di mantenere i loro affetti

I figli hanno il diritto di essere liberi di continuare a voler bene ad entrambi i genitori, hanno il diritto di manifestare il loro amore senza paura di ferire o di offendere l’uno o l’altro. I figli hanno il diritto di conservare intatti i loro affetti, di restare uniti ai fratelli, di mantenere inalterata la relazione con i nonni, di continuare a frequentare i parenti di entrambi i rami genitoriali e gli amici.
L’amore non si misura con il tempo ma con la cura e l’attenzione.

I figli hanno il diritto di continuare ad essere figli e di vivere la loro età

I figli hanno il diritto alla spensieratezza e alla leggerezza, hanno il diritto di non essere travolti dalla sofferenza degli adulti. I figli hanno il diritto di non essere trattati come adulti, di non diventare i confidenti o gli amici dei loro genitori, di non doverli sostenere o consolare. I figli hanno il diritto di sentirsi protetti e rassicurati, confortati e sostenuti dai loro genitori nell’affrontare i cambiamenti della separazione.
I figli hanno il diritto di essere informati e aiutati a comprendere la separazione dei genitori

I figli hanno il diritto di non essere coinvolti nella decisione della separazione e di essere informati da entrambi i genitori, in modo adeguato alla loro età e maturità, senza essere caricati di responsabilità o colpe, senza essere messi a conoscenza di informazioni che possano influenzare negativamente il rapporto con uno o entrambi i genitori. Hanno il diritto di non subire la separazione come un fulmine, né di essere inondati dalle incertezze e dalle emozioni dei genitori. Hanno il diritto di essere accompagnati dai genitori a comprendere e a vivere il passaggio ad una nuova fase familiare.

I figli hanno il diritto di essere ascoltati e di esprimere i loro sentimenti

I figli hanno il diritto di essere ascoltati prima di tutto dai genitori, insieme, in famiglia. I figli hanno il diritto di poter parlare sentendosi accolti e rispettati, senza essere giudicati. I figli hanno il diritto di essere arrabbiati, tristi, di stare male, di avere paura e di avere incertezze, senza sentirsi dire che “va tutto bene”. Anche nelle separazioni più serene i figli possono provare questi sentimenti e hanno il diritto di esprimerli.

I figli hanno il diritto di non subire pressioni da parte dei genitori e dei parenti

 

I figli hanno il diritto di non essere strumentalizzati, di non essere messaggeri di comunicazioni e richieste esplicite o implicite rivolte all’altro genitore. I figli hanno il diritto di non essere indotti a mentire e di non essere coinvolti nelle menzogne.

I figli hanno il diritto che le scelte che li riguardano siano condivise da entrambi i genitori

I figli hanno il diritto che le scelte più importanti su residenza, educazione, istruzione e salute continuino ad essere prese da entrambi i genitori di comune accordo, nel rispetto della continuità delle loro abitudini. I figli hanno il diritto che eventuali cambiamenti tengano conto delle loro esigenze affettive e relazionali.

I figli hanno il diritto di non essere coinvolti nei conflitti tra genitori

I figli hanno il diritto di non assistere e di non subire i conflitti tra genitori, di non essere costretti a prendere le parti dell’uno o dell’altro, di non dover scegliere tra loro. I figli hanno il diritto di non essere costretti a schierarsi con uno o con l’altro genitore e con le rispettive famiglie.
I figli hanno il diritto al rispetto dei loro tempi

I figli hanno bisogno di tempo per elaborare la separazione, per comprendere la nuova situazione, per adattarsi a vivere nel diverso equilibrio familiare. I figli hanno bisogno di tempo per abituarsi ai cambiamenti, per accettare i nuovi fratelli, i nuovi partner e le loro famiglie. Hanno il diritto di essere rassicurati rispetto alla paura di perdere l’affetto di uno o di entrambi i genitori, o di essere posti in secondo piano rispetto ai nuovi legami dei genitori.

I figli hanno il diritto di essere preservati dalle questioni economiche

I figli hanno il diritto di non essere coinvolti nelle decisioni economiche e che entrambi i genitori contribuiscano adeguatamente alle loro necessità. I figli hanno il diritto di non sentire il peso del disagio economico del nuovo equilibrio familiare, e di non subire ingiustificati cambiamenti del tenore e dello stile di vita familiare, di non vivere forme di violenza economica da parte di un genitore.

I figli hanno il diritto di ricevere spiegazioni sulle decisioni che li riguardano

I figli hanno il diritto di essere ascoltati, ma le decisioni devono essere assunte dai genitori o, in caso di disaccordo, dal giudice. I figli hanno il diritto di ricevere spiegazioni sulle decisioni prese, in particolare quando divergenti rispetto alle loro richieste e ai desideri manifestati. Il figlio ha il diritto di ricevere spiegazioni non contrastanti da parte dei genitori.

(Pubblicato sul mio blog Pagine Sociali per ildenaro.it)

 

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Riforma del diritto di famiglia: tutte le novità e l’introduzione della mediazione familiare. Conosciamola meglio

untitledA leggere commi e idee di separazione, sembra d’essere lontani anni luce della sfera dei sentimenti. Seppur nella visione romantica cantata da Venditti “certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano”, altri approdano direttamente in tribunale. Pronto a rivoluzionare la giurisprudenza in tema di separazione è il decreto legge del senatore Pillon in discussione a Settembre, ma già in dibattito sociale. Tra le novità, via l’assegno per i figli e l’assegnazione della casa, ma tempi paritetici da spendere insieme. Introdotta poi la mediazione familiare obbligatoria. La fine di una storia d’amore quando ci si è giurati amore eterno non è mai una fine indolore, specie quando ci sono dei figli, inoltre la separazione non incide solo sui sentimenti ma anche sulle questioni materiali. Le nuove norme prevedono che chi vorrà separarsi dovrà obbligatoriamente rivolgersi ad un “mediatore familiare”, figura già in auge da qualche anno, le coppie fino ad oggi si rivolgono spontaneamente o su indicazioni di esperti o del giudice al mediatore familiare, con l’obiettivo di ritrovare l’equilibrio e la comprensione umana e genitoriale anche dopo la separazione. Con la riforma, diventa obbligatoria e a carico di chi si separa, con la clausola di invarianza finanziaria. Un incontro di mediazione costa all’incirca cinquanta euro, ma può arrivare anche al doppio, a cui si aggiunge il costo degli avvocati, che secondo un recente decreto del ministero della giustizia, ricevono per la mediazione un corrispettivo ad hoc. Il ddl poi prevede, salvo in rari casi, l’eliminazione dell’assegno di mantenimento a favore del genitore meno capace economicamente, senza tenere conto di coloro che non hanno un lavoro o che magari vi hanno rinunciato. Ma non è tutto: il progetto di legge prevede che chi non ha la possibilità di ospitare il figlio in spazi adeguati non ha diritto di tenerlo con sé secondo i tempi “paritetici”. Un corto circuito normativo: il genitore più povero rischia di perdere anche la possibilità di vedere il figlio. Il disegno di legge, mette mano anche alle norme sulla casa: se l’abitazione familiare viene, in via del tutto eccezionale, assegnata a uno dei due genitori, costui deve versare all’altro un’indennità di occupazione che sarà soggetta a tassazione. Sino a oggi la legge prevedeva che il giudice dovesse tenere conto del valore dell’assegnazione nella regolamentazione dei rapporti tra i genitori, con la riforma invece ci sarà un passaggio di denaro e la creazione di nuove tasse. Una riforma che presenta qualche stortura, rischiando di discriminare i figli di coppie separate, trattati diversamente rispetto agli altri. Con buona pace del tanto declamato “best interest of the child” –migliore interesse del fanciullo- che ricorre spesso in allegato alla relazione che accompagna il disegno di legge. Sembrerebbe leggendo il nuovo ddl che si voglia riscrivere diversamente la bi-genitorialità: uguaglianza e parità materiale a annullando il significato di pari responsabilità nella gestione di due ruoli diversi e complementari. Gli aspetti sociali e normativi del nuovo decreto legge introducono però una novità, che se vedrà la luce, sarà obbligatoria: la mediazione familiare, introducendo a pieno titolo nell’integrazione professionale anche il mediatore familiare. Così ho deciso di conoscere questo istituto da vicino, parlandone con la dottoressa Mariella Romano, laureata in giurisprudenza e dal 2013 mediatrice familiare, dopo un master in mediazione familiare e pedagogia familiare, iscritta ad una delle associazione più rappresentative della mediazione in Italia: A.I.Me.F, in quanto non esiste ancora un albo professionale per i mediatori familiari, e mi spiega nella nostra chiacchierata che l’istituzione di un vero e proprio albo professionale è uno degli aspetti presi in considerazione dal ddl Pillon.

1. Chi è e cosa fa il mediatore familiare?

-Il mediatore familiare è un professionista altamente qualificato che ha competenze di tipo sia giuridico che psicologico ed è inoltre esperto nelle tecniche di negoziazione. Normalmente si tratta di un avvocato, di uno psicologo, di un pedagogista o di un operatore del sociale che si è poi ulteriormente specializzato attraverso appositi corsi post laurea.
-Il mediatore familiare accoglie le persone ed il loro disagio; ascolta i bisogni e le esigenze di ciascuno; tiene conto del punto di vista di tutti e ne valorizza le risorse; aiuta le parti a comunicare in maniera rispettosa e stimola le persone a trasformare il conflitto in qualcosa di costruttivo nell’interesse di entrambi e degli eventuali figli.

2. Come Mediatore Familiare qual è l’approccio utile per stimolare la costruzione di un dialogo complice e progettuale nella coppia?

-Sicuramente quello di far capire ai mediandi cosa vuol dire “separarsi bene”, dando voce alla multidisciplinarietà delle tematiche legate alla famiglia, per comprendere disagi e possibili sviluppi sani e cercando di spiegare le dinamiche connesse alla mediazione familiare, come relazione di aiuto che si inserisce nel vissuto emotivo della famiglia.

3. Nella maggior parte dei casi la coppia separata non riesce ad arrivare ad un divorzio consensuale e così ricorre al parere del giudice per la decisione sulle modalità, oneri compresi, del divorzio. Perché sente di consigliare la via della Mediazione Familiare? L’approccio verso il conflitto e verso le parti coinvolte è diverso?

-La mediazione familiare è quello strumento che consente alla coppia genitoriale di giungere ad un’elaborazione consapevole della fine della propria unione. Essa garantisce una paritetica applicazione del principio di bigenitorialità , prevenendo quegli effetti psicologici ed emotivi che potrebbero ripercuotersi sulla crescita dei figli.
-La mediazione familiare sottolinea l’importanza di decidere il proprio futuro in prima persona ponendo al centro dell’accordo il superiore interesse dei figli. L’aspetto piu’ caratterizzante della mediazione familiare è quello della responsabilità genitoriale. Quella responsabilità e competenza genitoriale che senza sconti o deleghe vengono poste al centro della riorganizzazione della famiglia dopo la rottura del legame coniugale.

4. Il ddl Pillon che intende riformare il diritto di famiglia introduce tra le novità la mediazione familiare obbligatoria, cosa ne pensa lei?

– Non posso che essere fiduciosa, se si tiene conto del fatto che l’U.E. ha già da anni espressamente indicato i principi a cui ogni Stato membro dovrebbe ispirarsi nel promuovere la mediazione familiare i quali sono stati recepiti da molti di essi con una concreta applicazione della procedura di mediazione. Inoltre è anche opportuno sottolineare che la mediazione familiare non è solo uno degli aspetti salienti previsti dalle politiche sociali dell’Unione Europea , ma è anche lo strumento con cui un Paese civicamente evoluto avrebbe il dovere di risolvere le proprie controversie endofamiliari.

5. Quella postilla “obbligatoria” ritiene possa spaventare la coppia che dovrebbe intraprendere il percorso di mediazione?

-Potrebbe…, per questo motivo risulta fondamentale che durante il primo incontro informativo la coppia genitoriale riesca a comprendere modalità , tempi , ruoli e finalità della procedura mediativa di cui saranno esclusivi protagonisti.

6. Il percorso di mediazione si può interrompere in qualsiasi momento, se dovesse divenire obbligatoria ed una coppia per assecondare l’obbligatorietà intraprende il percorso di mediazione ma lo interrompe ben presto, non si rischia di incorrere in un cane che si morde la coda?

-Il ddl è ancora in fase di elaborazione pertanto credo che lo stesso sarà soggetto ad altre ulteriori modifiche…ad ogni buon conto posso solo appellarmi al buon senso di coloro che intraprenderanno tale percorso. Genitori in grado di capire che negli affari di famiglia si vince solo se si vince tutti e che pertanto la mediazione familiare rappresenta lo strumento piu’ idoneo a conseguire tale risultato.

Con la collaborazione della dottoressa Mariella Romano, mediatrice familiare

(Articolo pubblicato per il mio blog Pagine sociali per ildenaro.it)
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Mamma “stalker” nell’educazione della figlia, il Tar l’ammonisce

untitledSi è “conclusa” in un’aula di Tribunale, del Tar in particolare, una controversia educativa che ha messo sul banco degli imputati una mamma salernitana, accusata di stalking dalla propria figlia. Il Tar nella sua pronuncia ha dato ragione alla giovane. Per la donna, un’insegnante dell’agro nocerino sarnese, è stato disposto un decreto di ammonimento: non dovrà proseguire con molestie nei confronti della figlia.   L’insegnate era stata “ripresa” dal questore, che a metà dicembre scorso, le aveva notificato un “ammonimento orale” con l’invito “a non porre in essere atti o comportamenti che potessero ingenerare nella figlia timori, stati di ansia, tensione o che potessero alterare le normali abitudini di vita. La docente però non ha incassato il colpo, visto anche il suo ruolo educativo nella scuola, così si è rivolta al Tar di Salerno, per difendere il suo operato genitoriale e anche l’onore di insegnante, ma senza alcun successo. Ancor prima di ricorrere a querela di parte alla magistratura ordinaria, che avrebbe avviato poi un procedimento penale contro la madre, la giovane che, secondo i racconti della madre, sin da piccola si era sottratta ai controlli materni fin dalla giovane età, ha preferito esporre le sue ragioni ai carabinieri, che dopo l’istruttoria, hanno chiesto che fosse avanzata richiesta di ammonimento al questore nei confronti della madre. In ultima battuta la sentenza dei giudici amministrativi che ribadiscono l’ammonimento voluto dal questore, restando in piedi e scoraggiando ogni persecuzione da parte della madre. Insolito modo per risolvere una controversia familiare, educativa, ma anche per mettere mano a qualsiasi malessere ed incomprensione in un rapporto da sempre sacro e sano, quello tra madre e figlia. Sul caso è intervenuto anche Paolo Crepet, psichiatra, sociologo e scrittore, che ha parlato di giudici invadenti, ora anche nell’educazione. I “no” che sono diventati sempre più “si”, i paletti che sono crollati, le regole inesistenti, così le nuove generazioni crescono senza cultura, senza rispetto e seguendo il principio folle che tutto puoi pretendere e niente devi dare. Crepet, guardando,  alla generazione di oggi ne parla come di una classe dirigente del domani fallita. Genitori assenti o troppo ossessivi, opposti e mai vie di mezzo. Con sempre meno fermezza. Il provvedimento fa discutere tra i genitori, ma se dall’esterno e da professionisti guardiamo il provvedimento, frutto di stati di timore, stati d’ansia e tensione nella figlia, e ci sia davvero una condotta ossessiva e scriteriata, allora è giusto tutelare i minori dagli eccessi. Se, invece, la mamma voleva solo fissare delle regole, allora il provvedimento risulterebbe eccessivo. Un genitore deve conoscere con chi il proprio figlio esce, con chi ritornerà a casa, preferirebbe ricevere un messaggio se il proprio figlio tarda nel rientrare a casa, se un genitore impone un orario di rientro, và rispetto, un genitore in quel caso non fa nulla di male, è semplicemente giusto e anche ovvio. Stiamo di fronte ad uno sgretolamento delle regole che sembra coincidere con un’evaporazione dei modelli tradizionali, il pensiero và subito alla scuola e a quanto sta accadendo. Bisogna avere il coraggio di educare, di bocciare, di dire di no. Se un professore mette un brutto voto e il giorno seguente un genitore si sente in diritto di aggredire il docente, è una società allo sbando, che non indirizza sulla strada dell’educazione, e stiamo creando adulti privi di desideri, di aspirazioni, di sogni, di regole e di tempo che serve per formarsi, per incoraggiare i loro obiettivi, ma soprattutto si sentiranno privi di consapevolezza della vita reale e delle sue difficoltà. Le colpe sono senza indugio degli adulti, che nel benessere hanno trovato l’ancora di riscatto: “non farò mancare nulla ai miei figli”, lo hanno ripetuto i miei genitori e decine di genitori che spesso mi sono trovata di fronte nella mia professione. Male, perché educare non significa sempre dare, ma anche togliere, non deve prevalere “lo fanno gli altri”, “ce l’hanno anche gli altri”, non significa sentirsi diverso, significa incoraggiare nei figli senso di responsabilizzazione, significa capire che esistono delle regole, che saranno anche quelle che la società ti chiederà per il vivere comune nella società. Significa insegnare ai figli che non si delega agli altri i principi ed i valori. Solo perché lo fanno gli altri non è detto che debbano farlo anche loro. Sono cresciuta ed oggi nella mia professione di assistente sociale, nell’incontrare i genitori, gli chiedo di ricordarsi che la vita è fatta di tappe: a 15 anni non puoi fare una cosa che dovresti fare a 25 anni, è un percorso fisiologico, di crescita, di maturità che si sviluppa in relazione agli eventi, agli anni che passano e a tutto ciò che si vive, proporzionato anche ai propri anni. In questo caso si ritroveranno poco più che venticinquenni magari su un divano annoiati e stanchi, perché non hanno null’altro da fare. In Italia, secondo i dati, tre milioni di ragazzi non studiano e non lavorano e non è solo colpa della crisi. Sono disorientati, hanno prosciugato la sete di conoscenza, di curiosità, non sanno neanche quali sono le loro attinenze, i loro sogni. Molti non sanno “da grande” cosa vogliono fare. Per affermarti devi avere delle basi e le basi si costruiscono con il sacrificio. Non puoi pensare di arrivare direttamente al vertice. E’ una lezione che conosco a memoria dai miei genitori. Ma adesso, con il senno di poi, non li cambierei con nessuno e soprattutto lo consiglio ai tanti genitori che spesso incontro impauriti e disorientati nel cammino genitoriale.

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine sociali per ildenaro.it)

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Figli di genitori dello stesso sesso, sì all’iscrizione anagrafica

IMG_0217Da Torino a Roma, scendendo sino alla punta dello stivale, Catania. I registrati dell’anagrafe dei comuni italiani iscrivono la nascita dei figli di genitori dello stesso sesso. Dalla sindaca Appendino alla pantastellata Raggi, al sindaco catanese, si procede a trascrivere i certificati di nascita stranieri di figli di coppie omosessuali senza che sia intervenuto un Tribunale con un sua ordinanza. Pioniere, a dirla tutta, era stato l’ex sindaco di Roma, Ignazio Marino, nel 2015 che aveva provveduto alla trascrizione all’anagrafe capitolina senza una sentenza. Le due mamme romane, tornate in patria dopo la nascita del bimbo in Argentina, avevano presentato domanda al comune di Roma perché questa trascrizione venisse riconosciuta anche in Italia. Decisione che aveva provocato spaccature politiche e diviso il Paese. Ma erano state la Corte d’Appello di Trento prima, di Roma dopo, a emettere sentenze favorevoli al riconoscimento di genitori dello stesso sesso. Una decisione coraggiosa dal punto di vista politico ed innovativa sotto l’aspetto giuridico che apre le porte degli uffici anagrafi dei comuni alle famiglie arcobaleno. Un excursus sociale che nasce dalle coppie same sex a cui era data la possibilità dell’adozione cosiddetta “mite”, non una vera e propria adozione ma qualcosa che si avvicina, oppure avevano la facoltà di trascrivere gli atti di nascita nei paesi in cui il sesso dei genitori non veniva considerato, come in Spagna, o ancora facoltà di trascrivere sentenze straniere di adozione. Ma nel silenzio politico, la magistratura, ha riletto le norme del diritto interno alla luce dei principi del diritto internazione, facendosi carico negli ultimi anni di trovare soluzioni che tutelassero i figli delle coppie arcobaleno evitando di discriminarli. Sino ad oggi, con la decisione di comuni di superare le soluzioni di ripiego e permettere ad un bambino, nato in una coppia omogenitoriale, di essere identico al suo compagno di banco, figlio di due genitori eterosessuali. La parola fine ancora non è scritta, anzi, è tutto ancora aperto, la registrazione potrebbe essere impugnata davanti al giudice, in quanto nel nostro ordinamento, i genitori sono sempre un uomo ed una donna. Eppure non ci sono nell’ordinamento italiano norme che regolino l’iscrizione all’anagrafe di figli di genitori dello stesso sesso. Mancano però anche i divieti costituzionali. E’ in questo spazio che si sono inseriti i tentativi, riusciti già dai comuni, di iscrivere i figli di genitori omosessuali. Durante l’approvazione della legge sulle unioni civili si era aperto uno spiraglio con la proposta della stepchild adoption, l’adozione da parte del coniuge, che poi era stata accantonata dal Parlamento tra le polemiche. Insistono, intanto le sentenze del tribunale di Trento, della Corte d’Appello, e anche della Cassazione. Il tratto comune è quello che in assenza di una legislazione, i tribunali costringano i comuni ad effettuare la registrazione in forza del fatto che non esiste un divieto generale nella Costituzione. Insomma, ci sono ancora nuvole sopra l’arcobaleno. Oltre l’aspetto legislativo e giurisprudenziale che andrà chiarito anche oltrepassando le ideologie e le opinioni personali e politiche, resta un passo storico e civile che alcuni comuni hanno deciso di compiere, un passo che sarà storia personale di questi bambini, connotando un’evoluzione ideologica: negli anni settanta, i bambini di genitori divorziati, erano visti come figli di un peccato, nelle scuole religiose di pregava anche e soprattutto per loro, perché si diceva privi di una guida solida e comune. Oggi, invece, che la nostra società convive quasi come fosse abitudine e consuetudine a genitori separati e figli divisi nei giorni e durante le feste, siamo a confronto coi figli di genitori omosessuali e di bambini che presto andranno a scuola e si confronteranno con i pregiudizi di adulti e bambini. Infatti, secondo la comunità scientifica internazionale, all’unanimità, ha riferito come un bambino figlio di genitori dello stesso sesso rischia di ammalarsi più dei figli di una famiglia tradizionale, la malattia connessa ai bambini arcobaleno è quella del “minority stress”, ossia il “bullismo” che l’ambiente può attivare contro questi piccoli soggetti. La condizione di stress di natura cronica che caratterizza la vita di determinate persone – si legge nella ricerca dell’Università di Napoli Federico II – le cui differenze sono oggetto di stigma (o che, comunque, sono considerate come negative all’interno di un determinato gruppo sociale o ambiente socio-culturale), prende il nome di minority stress. Tale forma di stress può colpire alcune minoranze come, ad esempio, quelle sessuali oppure quelle composte da insiemi di persone che possiedono determinate caratteristiche.” Sotto l’aspetto della conoscenza della propria condizione, bambini arcobaleno, si basa prevalentemente sulle informazioni e sui modelli che vengono veicolati dai media, senza il sostegno di adulti comprensivi, in quanto sono pochi coloro che sono informati e formati sulle famiglie omogenitoriali. Il confronto con i pari, con altre coppie omosessuali, avviene solo successivamente. Ecco che la condizione di stress prolungato, derivato dal pregiudizio e dalla discriminazione, diventa una fonte significativa e influente sulla salute mentale, soprattutto se si percepiscono determinati contesti sociali come ostili, avversi o indifferenti. Insomma, abbiamo bisogno ancora di compiere molti passi normativi ma anche ideologici e di supporto.

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine sociali per ildenaro.it)

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Genitori assassini, cosa accade con la patria potestà?

6834932-strumenti-moderni-giornalista-computer-portatile-bianco-taccuino-e-una-penna-profondit-di-campo-messIn preda a raptus di follia, accecati dalla rabbia verso il proprio compagno, o la propria compagna, molti genitori si macchiano col crimine dell’assassinio. Ammazzano la madre dei loro figli, e ci sono madri che uccidono i loro bambini. La lista dell’orrore, è tragicamente lunga. Può anche sembrare una cosa immonda e del tutto innaturale, le madri possono uccidere i propri piccoli ed i padri possono sottrarre per la vita la mamma ai loro figli. A volte senza capire la mostruosità del loro gesto, ma altre volte con la mente terribilmente lucida. Genitori assassini e figli al mondo, che cresceranno con un genitore in carcere ed una madre nella tomba, sono i figli del femminicidio, soli col peso dell’assassino in casa: il loro papà. Ma, ci sono anche quei bambini, che restano col papà e crescono con l’ombra di una madre in cella perché ha ucciso il proprio fratello. Veronica Panarello ha perso la potestà genitoriale nei confronti del figlio minore. La giovane donna in carcere con l’accusa di aver ucciso il piccolo Loris Stival a Santa Croce Camerina in provincia di Ragusa, non potrà neanche essere informata dell’evoluzione della crescita del suo secondogenito, che resterà sotto l’esclusiva responsabilità del padre, il quale tra l’altro ha chiesto il divorzio alla madre. E’ stato dichiarato “decaduto dalla civile responsabilità genitoriale sulla figlia” dal Tribunale per i minorenni di Napoli, Salvatore Parolisi, l’ex caporal maggiore, condannato in via definitiva per l’omicidio della moglie Melania Rea, non potrà più nemmeno avere rapporti con la figlia: sospesi ogni incontro, visita o rapporto telefonico ed epistolare tra la bambina e Parolisi. La decisione del Collegio, composto anche da esperti psicologi, è avvenuta in considerazione dell’ “assoluta gravità dei comportamenti” e del fatto che “in assoluto disprezzo delle drammatiche conseguenze per la figlia veniva dal Parolisi Salvatore uccisa la madre della minore con la figlia probabilmente in macchina, si spera addormentata”, si legge negli atti. Una volta si parlava di patria potestà, oggi di responsabilità genitoriale: questa può decadere se l’adulto è violento verso il figlio o altri, se si espone il bambino a pericoli, se lo si trascura ripetutamente. L’iter comincia da un parente, un insegnante o un conoscente che segnala il caso ai servizi sociali. E’ accaduto ai “genitori-nonni” di Casale Monferrato, finiti sulle pagine di cronaca per aver avuto una figlia nel 2010, quando lei aveva 56 anni e lui 68, e accusati da un vicino di casa di abbandono della bimba, poi adottata da un’altra famiglia. Dopo la segnalazione, i servizi sociali indagano e mandano una relazione al Tribunale dei minori, che può aprire il cosiddetto provvedimento di decadenza. A questo punto la responsabilità genitoriale può essere sospesa: è come se fosse affievolita, le capacità dell’adulto vanno monitorate, viene aiutato a migliorarsi e il giudice può decidere di allontanare il genitore di casa, se è violento o ha problemi di droga. Oppure la responsabilità può decadere: il minore può essere trasferito in una struttura protetta, i rapporti con la famiglia si interrompono ma psicologi ed assistenti sociali, lavoreranno per ricucire lo strappo, ma se questo è irrecuperabile, o se ci sono gravi questioni penali in corso, il giudice dichiara il minore adottabile e, se è possibile, lo affida ai nonni o ai parenti. L’allontanamento è una misura estrema basata su prove. Sono decisioni sempre delicate che talora innestano indagini e processi molto complessi: basta pensare agli oltre quaranta provvedimenti di allontanamento chiesti negli ultimi mesi dal tribunale di Reggio Calabria per figli di mafiosi. Poi ci sono quei bambini il cui sicario era in casa: il loro papà che ha ucciso la madre, e per loro il trauma si amplifica, restano senza figure genitoriali, ritrovandosi di fronte ad una realtà complessa e tragica, nonostante il supporto familiare, saranno dei bambini segnati, che talvolta si chiederanno “perché?” e cercheranno di capire com’è, come si sta in una famiglia formata da mamma e papà. Ed è per questo che non vanno lasciati soli ad elaborare una mancanza che ogni giorno nonostante l’amore e l’affetto che avranno quotidianamente. E ci sono anche i bambini che non rivedranno più la loro mamma, perché messi di fronte all’agghiacciante notizia che è l’assassina di suo fratello. In questi bambini che affrontano una tragedia così grande, elaborano dentro di loro non solo il lutto e la mancanza della madre ma anche il senso della responsabilità. Che spesso affidano nel modo più crudo possibile ad un disegno. Tratteggiando come i bambini siano esseri puliti e tutte le cose brutte che gli adulti fanno purtroppo sono destinate a ricadere anche su di loro.

(Articolo pubblicato per il mio blog Pagine sociali per ildenaro.it)

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