“Io Alessio lo difenderò fino alla morte”, decisa e convinta, Ylenia, 22 enne, che lo scorso Gennaio fu cosparsa di benzina e data alle fiamme, dal suo ragazzo (ex?), accusato dagli inquirenti di tentato omicidio. Un tentativo di mutilazione come un altro ed il sessismo la fa da padrone. Lei riporta ustioni “non gravi” e dal letto d’ospedale difende il suo fidanzato agli occhi dei media nazionali, ma non solo l’eco della difesa si fa sentire anche nell’aula di Tribunale dove è in corso il processo a carico del giovane. Ylenia, che spera in un’assoluzione e in una vita insieme a lui, nell’ultima udienza si è addirittura avvicinata al banco degli imputati e lo ha baciato sotto lo sguardo costernato di sua madre, che non smette di difenderla da questo amore malato, tanto da costituirsi parte civile. Le prove a carico del giovane sono pesantissime: è stato ripreso dalle telecamere di sorveglianza del distributore dove ha comprato la benzina che poi ha usato contro la ragazza, ma lei continua a difenderlo, eppure, ai soccorritori, all’amica che per prima la aiutò, alla madre, accusò proprio lui come aggressore. Dopo pochi giorni dall’aggressione avvenne la ritrattazione che oggi è avvenuta anche in uno sguardo di intesa lanciato al suo Alessio in Tribunale. Fragile ed insicura, con dei limiti emotivi, evolutivi, culturali che incidono ed influenzano Ylenia. Lucia Annibali, Jessica Notaro, donne che hanno insegnato la forza e la dignità di vivere, pur se per colpa di un uomo si sono trovate ad un passo dalla morte. Donne che hanno mostrato la forza di reagire e di combattere, ma prima di tutto la forza di denunciare, senza chiudersi in meschine parole d’amore o false protezioni. Ylenia, urla non solo il suo amore per Alessio, ad una madre preoccupata che la prossima volta possa ucciderla, ma anche alla società civile, alle sue coetanee, dicendo a tutti in un linguaggio colorito che sono “fatti suoi”. Ma, la sua storia non è solo sua, è di tutti noi, di chi ogni giorno lavora per aiutare le donne vittime di soprusi e violenze, di chi lavora con gli uomini per una società amante delle donne e non contraria. Non sono solo fatti di Ylenia, perché le sue bugie, sono false protezioni che danneggiano lei e tante altre vittime, pronte ad emularla, a pensare che “il troppo amore”- come lo definisce lei, possa portare a questo. C’è uno Stato che prova a tutelare le vittime, mentre, questo processo è ormai lungo, innescando anche la sua falsa testimonianza. Ma lo Stato è sinonimo di tutela, perché gli aggressori stanno in galera, evitando che restino liberi e impuniti dove magari a farsi giustizia è un parente. “Era tanto buono, non mi ha mai fatto nulla”, il problema non è solo di Ylenia o alla violenza che potrà rifarle. Un violento è un violento sempre, specialmente quando è protetto da una donna che crede e combatte per la sua assoluzione. Un violento che potrebbe sfogare la sua rabbia, il suo sessismo non solo su Ylenia che ha fatto una scelta, amarlo e “superare” un gesto che le poteva costarle vita, ma altre donne potrebbero non essere così fortunate. Non sono solo fatti di Ylenia, perché la sua storia è entrate nelle case della gente. Di parlarne. Figlia anche della televisione, forse peggiore, diventando la storia di tutti, perché ci si stropiccia gli occhi per credere a quello che si sta vendendo mentre si urla amore ad un gesto ignobile e che di amore ha ben poco. Donne, come Ylenia, protettrici dei loro aggressori, vittime anche di una violenza psicologia che le ha spinte a perdere la fiducia in se stesse e nelle proprie capacità. Deboli e succube di un amore che pensano sia tale, è solo ossessione, possessione, che di passione, sentimento, trasporto c’è ben poco. Arrivano a non concepire una vita senza il loro aggressore. Le donne difendono gli uomini violenti in una difesa inconscia, hanno paura di rimanere sole e li difendono nella speranza che cambino, ma un violento non cambia, se non aiutato nei luoghi e dalle persone competenti. Ci sono donne che vivono la violenza come normalità, esponendosi quasi ogni giorno per anni, perché magari provengono già da un vissuto familiare violento, alla morte o violenze fisiche e distruzione psicologica, sentendosi una nullità, una cattiva compagna, pensando che di quell’uomo ne avranno sempre bisogno: affettivamente, economicamente, come padre dei loro figli, senza mai pensare al dolore, alla sofferenza continua e all’infanzia negata che stanno dando ai loro figli. Una battaglia non solo contro gli uomini che non amano le donne, ma una battaglia per donne, a cui siamo chiamati tutti noi: dagli assistenti sociali, alle donne comuni, passando per gli insegnanti, un messaggio deve risuonare: risvegliare le coscienze delle donne che subiscono, dare voce e qui il ruolo importante lo gioca il famoso tubo catodico alle donne che hanno denunciato, che stanno vivendo il secondo tempo della loro vita, non ad Ylenia, mi dispiace per lei, che protegge e difende il suo aggressore.
(Articolo pubblicato per Pagine sociale il mio blog per ildenaro.it)
Schiaffi, insulti, in alcuni casi anche minacce di morte. Il tutto spesso ripreso in un video di umiliazione inflitte ad un proprio compagno, che poi viene postato sui social network. Si chiama bullismo, si legge violenza ai danni dei più deboli. Si abbassa lo sguardo, ci si sente sotto attacco. La voce, se ce la fa a uscire, è un pigolio. E’ questa la vittima perfetta del bullo. Ragazzi ma anche ragazze, perché il bullismo è traversale, anzi, quello femminile è più subdolo; di solito sono vittime di un gruppo, perché il rapporto tra vessato e vessatori è sempre impari. La postura della vittima testimonia l’angoscia terribile. Sono accartocciati, hanno ormai imparato ad accettare in silenzio le critiche più feroci, perché di solito sono persone molto ben educate, alle quali dare una brutta risposta sembra maleducato. Non è raro che i bullizzati sono figli unici: non hanno mai vissuto l’esperienza della lite tra fratelli, arrivano impreparati all’attacco. Diventano “freezing” dall’inglese, ovvero, congelamento, l’essere incapaci di dire o fare qualsiasi cosa a propria difesa. La scuola, a cui si delega la soluzione del problema del bullismo, a volta non dà la risposta giusta. Il famoso cancello delle medie o del liceo diventa quasi terra di nessuno, dove non esistono più responsabilità precise. I ragazzi si chiudono così in casa, la soluzione dei genitori è quella di cambiare istituto, ma è una decisione che contiene in sé il seme del fallimento ed il fenomeno resta taciuto, impunito e dilagante. Basti pensare che, secondo gli ultimi dati Istat diffusi a dicembre scorso e riferiti al 2014, un adolescente italiano su due è stato vittima di bullismo. Dai dati emerge che poco più del 50% degli 11-17enni ha subito qualche episodio offensivo, non rispettoso e/o violento da parte di altri ragazzi o ragazze nei 12 mesi precedenti. Il 19,8% è vittima assidua di una delle “tipiche” azioni di bullismo, cioè le subisce più volte al mese. Per il 9,1% gli atti di prepotenza si ripetono con cadenza settimanale. Tra i ragazzi utilizzatori di cellulare e/o internet, il 5,9% denuncia di avere subito ripetutamente azioni vessatorie tramite sms, e-mail, chat o sui social network. Le prepotenze più comuni, secondo i dati Istat, consistono in offese con brutti soprannomi, parolacce o insulti, derisione per l’aspetto fisico e/o il modo di parlare, diffamazione aggressioni con spintoni, botte, calci e pugni (3,8%). Stando ai dati Istat per alcuni di loro difendersi dai bulli chiede aiuto ai genitori, segue poi la richiesta agli insegnanti.