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Pagani, torna la Festa della Madonna delle Galline: storia, curiosità, aneddoti. (Gli elementi educativi della festa)

IMG_0217Nel sole tiepido di primavera, tra i fiori di pesco, nella città di Pagani (Salerno) spira il vento della tradizione, che sa di festa e di popolarità. Processioni, canti, balli e gastronomia, si sposano in un perfetto connubio che in un rito ormai consolidato ma mai noioso, si vive nell’ottava di Pasqua nella cittadina dell’agro nocerino sarnese, celebrando e vivendo un vero e proprio rito collettivo, che si tramanda di generazione in generazione, con semplicità e convivialità, lasciando di anno in anno nel solco della fede senza fiato i tanti fedeli: la festa della Madonna del Carmelo, detta delle Galline. Giorni magici scanditi da riti antichi e storici, ma mai banali, leggende che raccontano un popolo e la sua storia, odori e sapori che si riscoprono. Giorni intensi che iniziano il venerdì in albis con l’apertura suggestiva e sentita delle porte del Santuario, che sanciscono il legame di fede che la città del Santo Patrono Sant’Alfonso ha con la Vergine del Carmelo, per concludersi la domenica con la processione che abbraccia la città: dal centro alla periferia, sino a notte, mentre nell’aria l’odore dei carciofi si fa largo, ed il ritmo delle nacchere e delle tammorre accompagna la fede paganese. Da venerdì 06 aprile a domenica 08 aprile, a Pagani, si festeggerà l’edizione 2018 della tanto amata Festa della Madonna delle Galline ed il mio occhio da assistente sociale, cade sugli elementi sociali ed educativi che questa festa porta con sé. Le feste popolari hanno nel loro animo educazione ed importanza sociale rilevante ed è proprio su questo che vorrei soffermarmi. La conoscenza delle proprie radici culturali e del proprio territorio è ritenuto fondamentale in molti programmi di studio della provincia, un elemento importante per il processo formativo, che amplia le conoscenze e gli stimoli per confronti culturali e sociali oggi più che mai attuali. I festeggiamenti in onore della Vergine del Carmelo è una delle più alte rappresentazioni della cultura popolare, la festa può essere vissuta e raccontata in molti elementi naturali e antropologici, che coinvolgono i cinque sensi, con sensazioni e stati d’animo in continuo mutamento. I profumi del cibo accompagnano per ore ed i più piccoli si affascinano ai nuovi sapori, che conserveranno il ricordo dell’associazione odori-sapori sino all’anno successivo. Un insieme di colori: dal rosso del pomodoro, al giallo dei tagliolini, passando per il verde dei carciofi, che i bambini mescolano ed associano alla festa. La tammurriata, ballo popolare paganese viene tramandato da generazioni, accompagnato dal suono della tammorra, delle nacchere, del patipù e del triccheballacche. Il ritmo musicale è importante nella crescita di un individuo. Con la danza si ha una cooperazione organizzata delle facoltà mentali, emotivi e corporee che si traduce in azioni, la cui esperienza è della massima importanza per lo sviluppo della coordinazione, dell’armonia e anche della personalità. Il canto popolare si sviluppa in una melodia inizialmente imparata: passando di bocca in bocca questa può cambiare, mutando parole e anche melodia. Non un autore unico, ma una creazione collettiva, diventando popolare proprio perché condivisa nella sua modifica. In questo modo non esisterà un’unica versione originale ma tante varianti diverse. Avvicinare i più piccoli ed i ragazzi al linguaggio poetico popolare favorisce il confronto con il vissuto interiore e con le potenziali capacità fantastiche e creative che ogni persona possiede. Dal cibo alla musica, tutto è magia in onore della Vergine del Carmelo ed attrae i bambini che ne usciranno arricchiti ed entusiasti. Non resta che vivere questa festa con i più piccoli per rivivere insieme a loro la magia dell’incontro con il passato, che rivive nel presente ed è destinato al futuro donandogli un’aurea di gioiosa sacralità.

(Articolo pubblicato per il mio blog Pagine sociali per ildenaro.it)

 

 

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Caterina

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La bellezza della vita. Il sorriso giovane e innocente. L’ebrezza del tempo migliore. La vita di Caterina Socci, giovane studentessa ad un passo dalla tesi di laurea. La sua vita si ferma nel settembre del 2009, per un inespiegabile arresto cardiaco, che la porta in coma.

Tutto sembra perduto, resta solo la fede, il grido di preghiera che coinvolge come un mare le persone. E miracolosamente Caterina si risveglia dal coma. Ma la gioia che riempie i cuori e il sorriso di Caterina, per questo miracolo, viene messa alla prova dall’enormità di problemi che la ragazza si ritroverà ad affrontare. Prima su tutte la riabilitazione.

Caterina spende tutta l’energia che ha e intraprende il suo cammino verso la vita supportata dalla fede. Un cammino duro che travolgerà anche il padre, Antonio Socci, giornalista e scrittore, che scopre la bellezza di un mondo sconosciuto, eroico e affascinante, fatto perlopiù da giovani che non mollano, tenaci come non mai, tanto che l’autore parla della “meglio gioventù”.

Il dramma della giovane donna è raccontato da un uomo, un giornalista, uno scrittore, un padre, il suo. Antonio Socci, nel suo libro “Caterina.Diario di un padre nella tempesta”, descrive le tappe della tragedia che ha colpito sua figlia Caterina. Dalla sera dell’incidente alle prime faticosissime parole.
Caterina, nella sua agenda, al giorno 24 settembre, aveva scritto “LAUREA”, a caratteri cubitali con disegni festosi attorno. Dopo anni di studio, di sacrificio, il suo bel traguardo. Meritato. Poi l’inespiegabile arresto cardiaco che ferma la vita di Caterina e quella della sua famiglia.

Il cuore di Caterina si ferma, si irrigidisce. Poi il risveglio, quando le speranze erano vane per un cuore che si era fermato per troppo tempo. Un cuore che riprende a battere. Ne scaturisce una lunga lettera in cui Antonio Socci, cristiano controcorrente, scrive alla figlia per accompagnare la rinascita, ma anche per raccontare il miracolo che una giovinezza piena di fede può compiere.

“Abbiamo bisogno di uomini e donne indomiti” scrive Socci “che ci mostrano che non si deve aver paura del cammino della vita, delle sue fatiche e delle sue prove. Perché è questo brevissimo cammino che ci fa guadagnare la felicità per sempre.”

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Quel Papa venuto dalla fine del mondo.Destinato a stupire.

Papa-Francesco

La fumata divenne bianca. Le campane di San Pietro suonarono e dopo un’ora circa in una piovosa sera di Marzo il nuovo Pontefice mostrò il suo volto al mondo. L’annuncio di Tauran e il volto di Papa Francesco che alla loggia delle benedizioni, e con queste parole, conquistò da subito i cuori della gente:
“Fratelli e sorelle, buonasera. Sapete che il dovere del Conclave era quello di dare un nuovo Papa. I fratelli Cardinali sono andati a prenderlo alla fine del mondo. Prima di tutto voglio fare una preghiera per il nostro vescovo emerito Benedetto e poi, prima che il vescovo di Roma faccia la benedizione su di voi, in silenzio fate voi una preghiera e che la vostra benedizione scenda su di me”.

Un Papa venuto da lontano. Un Papa buono e semplice, pronto a riformare la Chiesa con gesti semplici e mai banali. Un Papa destinato ad esser ricordato. Stupisce da subito Papa Francesco: la decisione di un abito bianco, semplice, di un anello altrettanto semplice e non ricercato. Paga il conto della stanza in cui aveva alloggiato come cardinale. Benedice in Piazza San Pietro dalla sua papa mobile interamente scoperta, scende per benedire gli ammalati, gli anziani e i bambini, sempre cari al pontefice. Nel suo primo viaggio in Brasile durante la Giornata Mondiale della Gioventù, non appena arriva fa saltare il piano di sicurezza messo appunto dagli agenti. Scende dalla sua automobile. Stringe i fedeli, li abbraccia, li benedici, dona loro dei rosari, visiterà una favela.

Stupisce ancora Papa Francesco. Immaginate lo squillo del telefono di casa. Rispondete e dall’altra parte della cornetta c’è Papa Francesco, nessun stupore, nessuno scherzo.

Accade. E’ accaduto ad un giovane padovano, rimasto per qualche istante senza parole. Stefano Cabizza, studente 19 enne in ingegneria a Padova. Il giovane pochi giorni fa aveva consegnato a Castel Gandolfo una lettera al Santo Padre. Il Pontefice quella lettera l’ha aperta, l’ha letta ed ha preferito rispondergli a telefono addirittura chiedendogli di dargli del tu.

Papa Francesco non si smentisce, continua ad emozionare, a commuovere, a regalare gioia e sorrisi, nella sua semplicità e nella sua immensa fede. Un Papa che dimostra come la Chiesa sia semplice, umile e costruita sulla fede, l’unica chiave d’accesso.

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