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Assistente sociale, oltre una fiction

Un blog è anche uno spazio libero che poi si apre al confronto mediante i commenti in rete, ancor di più sui social network. In questo spazio di parole e riflessione, voglio affrontare una tematica legata ad una delle professioni più umane e profondamente empatiche, bistrattata il più delle volte, talvolta umiliata, sconfinata dai più: l’assistente sociale.  Professione che ricopro ogni giorno con scienze e coscienza, con trasporto ma anche con fatica qualche volta. La fiction Rai- “Mina Settembre”, nata dalla penna dello scrittore napoletano Maurizio De Giovanni, che ha dedicato al personaggio e al ruolo il libro da cui è tratta la fiction “dodici rose a Settembre”, ha portato alla ribalta del grande pubblico la professione di assistente sociale, occasione più unica che rara. I film e le fiction del piccolo e grande schermo hanno preso spunto dalle più disparate professioni, mai però quella dell’assistente sociale, quasi come a non voler toccare un tasto che talvolta rischia di essere dolente. Mina Settembre, è dinamica, gioiosa, solare, “fatina” in diverse situazioni, alle volte sorvolando alcune procedure, d’altra parte è pur sempre una fiction ed il romanzo è giusto che ci sia, eppure non tutti lo comprendono, perché a me è già capitato di sentirmi dire “ma nel film fa così perché “tu” non fai così?” E come glielo spieghi che è pur sempre un film e che non può entrare nel merito delle norme, delle procedure, delle tutele per sé, per l’Ente, e ancor prima della persona, che è al centro di tutto? L’assistente sociale Mina Settembre è un po’ casinista nella vita privata, e forse rispecchia molte noi assistenti sociali, che con la vocazione di aiutare gli altri, con spirito di altruismo e abnegazione, siamo perfetti costruttori dei puzzle di vita altrui ma non delle nostre, dove siamo casiniste, caotiche, confusionarie e anche impacciate, e spesso pecchiamo di presunzione: ciò che accade alle altre persone in carico pensiamo che non possa mai accadere a noi e alle nostre famiglie. Fare l’assistente sociale è un lavoro umanamente gratificante ma anche molto impegnativo, a volte estremamente stancante, le giornate sono scandite di incontri, di problemi che aspettano una risposta, di responsabilità da assumersi e che ti portano a mediare e pensare quale sia la cosa giusta nel momento sbagliato nella vita dell’altro. E’ un difficile ma strano mestiere. Intreccia ansie, preoccupazioni, decisioni, scienza e coscienza, vite che ti passano davanti e ti entrano dentro, che talvolta si affidano a te. E’ un viaggio continuo e spesso difficoltoso, dove ti porti dentro e a casa gioie ma anche tanti pensieri. E’ però un mestiere di empatia e di amore. Che se lo fai è perché lo ami e perché ci credi. Consumi il cervello, il cuore e le suole delle scarpe, poni l’orecchio a terra, corri, ti affanni, c’è chi ti segue, chi si perde, chi ti critica, chi ti giudica, chi racconterà la sua versione dei fatti perché sa che sei vincolata al segreto professionale e alla privacy ma torni a casa distrutta ma felice. Il sorriso di una persona che hai avuto in carico. Il sorriso ritrovato di bambini provenienti da contesti disfunzionali, ripaga e ricompensa. Eppure è un lavoro a rischio, non sono nuovi i casi di minaccia, ritorsione, aggressione ai danni degli assistenti sociali, privi di ogni tutela, che ogni giorno lavorano col rischio di essere minacciati o di subire aggressioni. Un lavoro in perenne precariato, inutile innamorarsi dell’assistente sociale che vedete seduta dietro una scrivania di un comune, sono la maggior parte a tempo determinato, appoggiati su fondi che servono a contrastare la povertà, alcuni di essi lavorano in regime di co.co.co. attraverso cooperative, spesso sottopagati o malpagati, molti diritti sono annullati o non del tutto riconosciuti. Bizzarro ma vero: gli assistenti sociali tutelano e si battono per i diritti altrui ma di fatto svolgono un lavoro dove i propri diritti, iniziando da un lavoro stabile ed in tutela, non esistono quasi. Ho incontrato in molti concorsi a cui ho partecipato colleghi di quaranta e oltre anni, eterni precari, con anni in cui hanno lavorato e anni in cui si sono ritrovati a casa, mettersi in gioco ancora e ancora, credendoci sempre. Questo imbarazza in un paese civile, scoraggia quanti pensano che ci siano realmente occasioni di lavoro in un settore fragile e bisognoso di professionalità.  Ci viene chiesto di aiutare gli altri quando invece gli eterni incerti del lavoro sono proprio gli assistenti sociali. Eppure ogni giorno c’è carenza d’organico, quelli che sono in servizio si affannano, faticano, ma non riescono a star dietro a tutto e a tutti; i bisogni cambiano, le famiglie necessitano oggi più che mai del sostegno e dell’operato sociale, impossibile riuscirci per tutti, manca il tempo e lo spazio mentale, il confine è labile, il rischio di burn out è dietro l’angolo e questo rischia di essere un boomerang con ripercussioni su tutto e su tutti. Eppure si arranca e  si va avanti. E allora cosa si aspetta? Dei bei proclami, delle speranze di leggi di bilancio, di assunzioni e concorsi ne abbiamo sentito e ne sentiamo, eppure sembra che ci sia sempre qualcosa che ostacoli, oggi forse si dirà “a causa dell’incertezza di governo”, e ieri cos’era? Ricordo ai più che sono passati vent’anni e quest’anno ventuno dall’entrata in vigore della 328/2000 la legge quadro sul sistema integrato di interventi e servizi sociali e oggi più che mai ci sono nuove esigenze spinte dalla crisi economica degli anni passati e oggi da una pandemia che ha cambiato il volto delle persone e delle famiglie. Ma si resta fermi ancora al palo dove ci sono assistenti sociali che aspettano risposte, certezze, sicurezze, aspettano anche sostegno. Le risposte ed i fatti concreti chissà a quando.  Nel frattempo c’è Mina Settembre in tv!

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine Sociali per ildenaro.it)

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Professione neomelodico

Il protagonista del video è Alfonso Manzella, in arte “Zuccherino”. Neomelodico dall’età di 11 anni, a 20 anni era già sui giornali per una rapina. Il suo genere gang- neomelodico. Nelle sue canzoni storie di camorra, che celebrano le gesta dei camorristi. Secondo i carabinieri che gli hanno stretto le manette ai polsi, “Zuccherino” avrebbe partecipato a una sparatoria svoltasi domenica notte in piazza Sant’Alfonso a Pagani, in provincia di Salerno, cittadina di cui il neomelodico è originario.

Canzonette che raccontano uno spaccato di vita, di esistenza. Basta digitare su youtube il nome di “Zuccherino” o di qualche altro neomelodico per aprirsi ad un mondo nuovo e neppure così lontano. Sottofondi di sirene, summit, pistole avvolte nei quotidiani e ritornelli talvolta inquietanti. Veri inni alla criminalità. Ciò che più inquieta sono il numero di visualizzazioni che superano e battono quelli dei miti della musica leggera italiana.

La musica neomelodica a Napoli è parte della tradizione popolare ed è anche un business da centinaia di milioni di euro l’anno. Una galassia di stelle della musica che spesso non superano i confini campani e talvolta del loro quartiere. Tra gli artisti anche gli aspiranti della canzone neomelodica, bambini dai 9 ai 14 anni.

Un vero circuito della musica neomelodica, in cui c’è un vero staff e numerose persone che lavorano. Manager, autori di testi, case discografiche, radio, tv private e tantissimi cantanti: tutto gestito rigorosamente senza mai uscire dai confini della Campania.

Essere cantanti neomelodici a Napoli e nell’interland significa trovare la propria foto sui muri di mezza città, avere centinaia di fan al proprio seguito. Vuol dire una fitta agenda di impegni e serate musicali che fanno invidia anche ad un’artista famoso. La nuova frontiera della musica neomelodica sono i bambini e gli adolescenti che in pochi mesi diventano pop-star acclamate e desiderate.

Le canzoni dei ragazzini parlano d’amore e primi baci, ma a impressionare è la mole di denaro che i piccoli artisti riescono a produrre. A otto anni sono gli idoli del quartiere, a dieci anni si esibiscono a feste patronali, matrimoni e in tv locali, a tredici anni alcuni di loro mantengono l’intera famiglia. Meno di un’ora di esibizione valgono dai 100 ai 300 euro, e di concerti i piccoli divi ne fanno anche 12 in un’intera giornata.

Spesso le carriere si fermano prima della maggiore età, per il ricambio generazionale o perché molti diventano vittime del denaro che hanno guadagnato negli anni. Ogni passo falso può corrispondere al declino, spesso anche a causa della mole di concorrenza.

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