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Maternità, quel concetto univoco che la società inculca ma è davvero così?

La maternità è oggi esibita, celebrata, pretesa e ampliata a ogni ambito dell’esistenza umana. Un canone quasi dovuto per una donna agli occhi dell’opinione pubblica raggiunta un’età, che somiglia molto ad un campanello che ricorda l’orologio biologico. Poco importano i desideri, le aspirazioni di una donna, il senso materno che una donna può o non può avvertire, i tempi e i modi diversi da una donna all’altra nell’avvertire il desiderio materno, che è intimo e personale. E’ più che una condizione fisiologica naturale: essere mamma oggi è per alcune, una sorta di affermazione sociale e personale senza eguali. Siamo reduci da un’estate di dolore materno, ribattezzata da alcune testate come “mostruosità materna”, la cronaca ha scosso l’opinione pubblica, lascandola incredula e sgomenta con l’omicidio della piccola Elena e della piccola Diana, vittime della follia criminale delle loro madri. Storie che hanno mostrato una maternità non materna, la piccola Diana è stata nascosta e negata ancor prima di nascere. Figli che diventano un ostacolo alla vita che si è sempre desiderato di vivere. Segno che l’esistenza dell’istinto materno non è scientificamente provata, ma non si può neppure prescindere anche da un’altra inconfutabile consapevolezza. Mettere al mondo un bambino crea sicuramente un legame indissolubile per chi lo ha sempre desiderato. Ma può turbare irrimediabilmente chi non vuole un figlio, ma si ritrova ad averlo. La mamma della piccola Diana, si è cucita addosso anche la professione di psicologa infantile, come a voler assumere un’etichetta sociale finalizzata ad attribuire credibilità al ruolo di madre, che in cuor suo sapeva di non essere in grado di adempiere. Dietro questi infanticidi, madri definite “strambe” dall’opinione pubblica, che nella vita di tutti i giorni si è girata dall’altra parte, divenute madri all’improvviso ed hanno anche un po’ improvvisato, e non si tratta solo di essere impacciate e impaurite per un essere piccolo che dipende totalmente dall’adulto, ma è dover accantonare i propri desideri per dare priorità ad una vita umana che a ritmi diversi da un adulto e che da solo non è in grado di fare nulla. Alla base degli infanticidi ci sono anche presunte patologie psichiatriche, ma portano ad una riflessione ampia sulla maternità oggi. L’opinione pubblica vuole che una donna sia pronta alla maternità, poco importano le aspirazioni di una donna ed i suoi desideri, sembra che sia un vestito che una donna debba indossare e farselo piacere, presentandosi pronta ad indossarla, pronta a rispecchiare le aspettative di tutti. Non siamo pronti e aperti a sentirci dire da una donna che non vuole figli, perché c’è sempre chi è pronto a tacciare di egoismo e di colpevole disamore per il futuro. Senza chiedersi, se dietro la reticenza a fare figli ci fosse un forte senso di responsabilità o di intime riflessioni. C’è anche da ammettere che la maternità non è sempre felice e che intorno alle donne serve una rete. In Italia è ancora un tabù dire che la maternità non sempre è un momento felice, e questo fa sì che non si attivino reti e servizi a sostegno delle donne che ne hanno bisogno. Ogni donna vive la maternità in modo differente, convivono una componente fisiologica e una psicologica. Spesso sono sottovalutati i campanelli d’allarme, per questo il ruolo dell’ostetrica, della ginecologa e del consultorio con le sue figure professionali, sono fondamentali per sostenere la donna. Lì dove però il consultorio è una realtà esistente e funzionante, perché c’è da ammetterlo che nonostante la legge abbia riconosciuto i consultori familiari in Italia, il flop è davvero palese. A questo si aggiunge l’immaginario comune che vuole le mamme perfette e pronte, ma la realtà è dura e difficile, ci si aspetta troppo da loro. I servizi sull’infanzia in Italia scarseggiano, mancano servizi adeguati che permettano di lavorare e conciliare la vita familiare in maniera serena e fluida. Manca ancora una cultura della maternità che sia vicina alle donne: bisogna potenziare i servizi materno-infantili, di prossimità e la rete di consultori. Sono i consultori che devono andare nelle scuole, e parlare di prevenzione, di gravidanze a rischio. Devono andare sui posti di lavoro. Bisogna creare negli ospedali un database dove viene comunicato il momento del parto di una donna al servizio sanitario. Infine, bisogna ripartire e lavorare con le nuove generazioni sul desiderio. E’ evidente che c’è la necessità di un cambiamento di prospettiva, che parta dall’infanzia. Il desiderio di maternità nelle ragazze è un’aspirazione generica, un desiderio vago. Si è perso il racconto della maternità. Non c’è più quel filo di continuità tra le generazioni, il racconto di mamme e nonne si è spero. I ragazzi di oggi spesso non hanno mai preso in braccio un neonato.

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine Sociali per ildenaro.it)

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Donna, la femminilità è un bene in estinzione?

Donna, stai perdendo la femminilità! Una frase, a volte pronunciata in tono d’accusa, risulta essere più grave di quanto si possa credere. L’ho sentita un po’ di tempo fa, ho pensato potesse essere una provocazione, invece, col tempo ne ho fatto una riflessione, che vorrei condividere con voi, lanciandovi la domanda titolo di questo articolo: la femminilità è un bene in estinzione?

Qualche settimana fa, ho ascoltato i discorsi di un uomo, che nonostante la sua posizione stimata all’interno della società e gli adagi della vita, parlava delle donne come di accendini che dimentichi chissà dove, come di un pacchetto di sigarette che finito smetti di fumare, come di un capriccio, ritenendo di poter avere ogni sera una donna diversa, che al suo “fischio” accorrevano, con la possibilità per lui di avere una donna diversa ogni sera. Certo, un discorso a senso unico, un discorso se vogliamo anche maschilista, superficiale, irrispettoso, lontano dal sentimento, dall’emozione della frequentazione, dello scoprirsi. Ma, il punto non è tanto lui, quanto la donna. Il problema non è solo degli uomini che con discorsi simili e con tali comportamenti, sminuiscono la donna, la offendono; con una concezione femminile un po’ irrispettosa, spesso, alcuni uomini dopo una frequentazione assumono atteggiamenti inspiegabili ed incomprensibili, con indifferenza e silenzio, che mortificano una donna. Ma non un discorso su un solo binario, ma a doppia velocità. La donna, con la sua caparbietà e determinazione, ha dimostrato di poter essere tutto ciò che vuole, di poter dispensare saggezza ma anche amore, di poter essere al vertice di un’azienda ma di poter essere anche madre, amante e complice del proprio partner. Lode a lei. Ma c’è anche un’altra immagine che troppo spesso emerge, dai social, dalle campagne pubblicitarie e dalle donne singole: il consenso, il cedere, qualche volta troppo presto, senza l’arte del corteggiamento, o per amore del consumismo. Scorro spesso le bacheche dei social, imbattendomi in donne che sfoggiano cene costose, regali, week end, elogiando uomini che spesso cambiano, come se il materialismo abbia preso il sopravvento sul rispetto di sé e sulle emozioni. Non una critica, ognuno è libero di scegliere, ma è mortificante quando l’immagine della femminilità viene sminuita e troppo spesso. La femminilità, è un dono, un privilegio, raro, come tutte le cose di valore. E non c’è niente di peggio che scambiarla per erotismo o nudità, per il solo fine del corpo. Che sono cose attraenti e naturali, ma distanti dall’originale come un sorriso rispetto ad una risata, un sussurro da un grido. Femmina si nasce. La femminilità è un’attitudine mentale, un modus di vita. Non si impara a scuola. Non ha a che fare con la seduttività, con la prosperità o con un fisico prorompente, non è civetteria. E’ fascino, eleganza ed intelligenza anche emotiva, è dolcezza. O forse è tutte queste cose insieme ed altro. La femminilità è uno status persistente, non si perde mai. E di femminilità, certo, ne parlava anche  Kant, nell’ “Antropologia”, quando ci disse che la donna ha la missione d’ingentilire l’umanità. Il fascino femminile, è ancora Kant a dirlo, determina una dinamica tra uomo e donna in cui il bel sesso esercita un potere reale sull’altro. Un fascino che poco ha a che vedere con la bellezza, visto che la donna leggiadra attrae, mentre una interiormente bella commuove. Un gusto fine che ha ancora un rapporto profondo col pudore, con un certo nascondersi e svelarsi poco a poco. Perché le bellezze spirituali avvincono di più se si manifestano man mano, lasciandone supporre altre. E altre ancora. Questa è la femminilità, una forza naturale così ricca da provocare continuamente la prospettiva di bellezze inesplorate e l’interesse vivo di chi ne gode.

E oggi, la femminilità è nascosta o è temuta? Forse, più per sembrare audaci e per amore di modernità. A voi, la parola.

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine Sociali per ildenaro.it)

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Assistente sociale, oltre una fiction

Un blog è anche uno spazio libero che poi si apre al confronto mediante i commenti in rete, ancor di più sui social network. In questo spazio di parole e riflessione, voglio affrontare una tematica legata ad una delle professioni più umane e profondamente empatiche, bistrattata il più delle volte, talvolta umiliata, sconfinata dai più: l’assistente sociale.  Professione che ricopro ogni giorno con scienze e coscienza, con trasporto ma anche con fatica qualche volta. La fiction Rai- “Mina Settembre”, nata dalla penna dello scrittore napoletano Maurizio De Giovanni, che ha dedicato al personaggio e al ruolo il libro da cui è tratta la fiction “dodici rose a Settembre”, ha portato alla ribalta del grande pubblico la professione di assistente sociale, occasione più unica che rara. I film e le fiction del piccolo e grande schermo hanno preso spunto dalle più disparate professioni, mai però quella dell’assistente sociale, quasi come a non voler toccare un tasto che talvolta rischia di essere dolente. Mina Settembre, è dinamica, gioiosa, solare, “fatina” in diverse situazioni, alle volte sorvolando alcune procedure, d’altra parte è pur sempre una fiction ed il romanzo è giusto che ci sia, eppure non tutti lo comprendono, perché a me è già capitato di sentirmi dire “ma nel film fa così perché “tu” non fai così?” E come glielo spieghi che è pur sempre un film e che non può entrare nel merito delle norme, delle procedure, delle tutele per sé, per l’Ente, e ancor prima della persona, che è al centro di tutto? L’assistente sociale Mina Settembre è un po’ casinista nella vita privata, e forse rispecchia molte noi assistenti sociali, che con la vocazione di aiutare gli altri, con spirito di altruismo e abnegazione, siamo perfetti costruttori dei puzzle di vita altrui ma non delle nostre, dove siamo casiniste, caotiche, confusionarie e anche impacciate, e spesso pecchiamo di presunzione: ciò che accade alle altre persone in carico pensiamo che non possa mai accadere a noi e alle nostre famiglie. Fare l’assistente sociale è un lavoro umanamente gratificante ma anche molto impegnativo, a volte estremamente stancante, le giornate sono scandite di incontri, di problemi che aspettano una risposta, di responsabilità da assumersi e che ti portano a mediare e pensare quale sia la cosa giusta nel momento sbagliato nella vita dell’altro. E’ un difficile ma strano mestiere. Intreccia ansie, preoccupazioni, decisioni, scienza e coscienza, vite che ti passano davanti e ti entrano dentro, che talvolta si affidano a te. E’ un viaggio continuo e spesso difficoltoso, dove ti porti dentro e a casa gioie ma anche tanti pensieri. E’ però un mestiere di empatia e di amore. Che se lo fai è perché lo ami e perché ci credi. Consumi il cervello, il cuore e le suole delle scarpe, poni l’orecchio a terra, corri, ti affanni, c’è chi ti segue, chi si perde, chi ti critica, chi ti giudica, chi racconterà la sua versione dei fatti perché sa che sei vincolata al segreto professionale e alla privacy ma torni a casa distrutta ma felice. Il sorriso di una persona che hai avuto in carico. Il sorriso ritrovato di bambini provenienti da contesti disfunzionali, ripaga e ricompensa. Eppure è un lavoro a rischio, non sono nuovi i casi di minaccia, ritorsione, aggressione ai danni degli assistenti sociali, privi di ogni tutela, che ogni giorno lavorano col rischio di essere minacciati o di subire aggressioni. Un lavoro in perenne precariato, inutile innamorarsi dell’assistente sociale che vedete seduta dietro una scrivania di un comune, sono la maggior parte a tempo determinato, appoggiati su fondi che servono a contrastare la povertà, alcuni di essi lavorano in regime di co.co.co. attraverso cooperative, spesso sottopagati o malpagati, molti diritti sono annullati o non del tutto riconosciuti. Bizzarro ma vero: gli assistenti sociali tutelano e si battono per i diritti altrui ma di fatto svolgono un lavoro dove i propri diritti, iniziando da un lavoro stabile ed in tutela, non esistono quasi. Ho incontrato in molti concorsi a cui ho partecipato colleghi di quaranta e oltre anni, eterni precari, con anni in cui hanno lavorato e anni in cui si sono ritrovati a casa, mettersi in gioco ancora e ancora, credendoci sempre. Questo imbarazza in un paese civile, scoraggia quanti pensano che ci siano realmente occasioni di lavoro in un settore fragile e bisognoso di professionalità.  Ci viene chiesto di aiutare gli altri quando invece gli eterni incerti del lavoro sono proprio gli assistenti sociali. Eppure ogni giorno c’è carenza d’organico, quelli che sono in servizio si affannano, faticano, ma non riescono a star dietro a tutto e a tutti; i bisogni cambiano, le famiglie necessitano oggi più che mai del sostegno e dell’operato sociale, impossibile riuscirci per tutti, manca il tempo e lo spazio mentale, il confine è labile, il rischio di burn out è dietro l’angolo e questo rischia di essere un boomerang con ripercussioni su tutto e su tutti. Eppure si arranca e  si va avanti. E allora cosa si aspetta? Dei bei proclami, delle speranze di leggi di bilancio, di assunzioni e concorsi ne abbiamo sentito e ne sentiamo, eppure sembra che ci sia sempre qualcosa che ostacoli, oggi forse si dirà “a causa dell’incertezza di governo”, e ieri cos’era? Ricordo ai più che sono passati vent’anni e quest’anno ventuno dall’entrata in vigore della 328/2000 la legge quadro sul sistema integrato di interventi e servizi sociali e oggi più che mai ci sono nuove esigenze spinte dalla crisi economica degli anni passati e oggi da una pandemia che ha cambiato il volto delle persone e delle famiglie. Ma si resta fermi ancora al palo dove ci sono assistenti sociali che aspettano risposte, certezze, sicurezze, aspettano anche sostegno. Le risposte ed i fatti concreti chissà a quando.  Nel frattempo c’è Mina Settembre in tv!

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine Sociali per ildenaro.it)

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Chi voglio essere durante questo periodo di Covid?

La zona rossa. Il nuovo lockdown. Le notizie sempre più allarmanti.
L’essere umano che si trova a vivere un tempo ed uno spazio nuovo, da rivedere e da ridisegnare.

Ansia e paura, solitamente prevalgono.

🎯 Ma siamo in grado di capovolgere queste emozioni e di trarne vantaggio a nostro favore?

Sta a noi scegliere quale atteggiamento adottare in questo periodo: di paura, di apprendimento o di crescita. L’opzione dipende da quale lezione stiamo traendo da questa emergenza globalizzata non solo sanitaria.

🎯 Dove siamo ma soprattutto dove scegliamo di andare in questo periodo in cui siamo chiusi in casa?

🎯 Chi voglio essere durante questo periodo di Covid?

Una mappa molto utile per interpretare questo momento storico.

assistentesociale #riflettiamoinsieme #chivoglioessere #unasoluzioneatutto #nessunosisalvadasolo

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#pensateci

Parliamone.
Queste settimane di emergenza che stanno paralizzando il mondo che non riesce più a vivere nella sua corsa affannosa, assistiamo in ordine sparso:

-alla pubblicazione e divulgazione del video di un paziente probabilmente affetto da covid che è stato ritrovato morto nel bagno dell’ospedale Cardarelli di Napoli.
Premesso che ogni essere umano ed ogni morte va rispettata, per cui c’è sempre un limite da porre all’informazione soprattutto rispettando la morte ed i familiari di quell’essere umano che ha trovato la morte improvvisamente, senza poter chiedere aiuto all’interno di un bagno dell’ospedale.
Questo non è giornalismo, me ne dissocio.
Il rispetto prima di ogni cosa.
Davanti a notizie ed immagini del genere bisogna solo provare “vergogna” da parte di chi ci governa e sa le reali condizioni sanitarie al Sud ed in Campania.
Dolore e preghiera da parte dell’opinione pubblica anziché farlo rimbalzare da una chat all’altra o da una bacheca all’altra. Silenzio e non commenti del tipo aveva o non aveva altre patologie. Ditelo.
Non è un gioco al massacro questa, si chiama Vita, eppure in questo momento surreale e tragico dovremmo ricordarcene.

-un ragazzo di 26 anni perde la vita in Italia a causa del covid, un titolo specifica che aveva già pregresse patologie e così i commenti dicono “finalmente lo dite che aveva pregresse patologie”, come se avere altre patologie giustificasse che si possa morire. Così come quelli che giustificano la morte degli anziani “tanto era anziano”, ma perché scusatemi chi è anziano, chi ha altre patologie può o deve morire secondo voi?

-un governatore della regione posta un tweet dove dice che nella sua regione per covid muoiono gli anziani che non sono più produttivi al tessuto economico. Ecco un rappresentante istituzionale che con un post che suona tanto come pacca sulla spalla legittima la morte degli anziani per covid, tanto alla fine -suo messaggio sublime- che ce ne facciamo? Ma ci rendiamo conto che parliamo di esseri umani, di persone che hanno prodotto in questo Paese, di persone che sono patrimonio umano?

-l’Italia viene divisa in colori, i contributi arrivano solo per alcune regioni, chi è reduce dal primo lockdown aspetta ancora gli aiuti pregressi. Infondo basta pubblicare un decreto e dire “facciamo. Ci siamo”. Ma dove siete quando la gente non può mettere il piatto a tavola?

-gli ospedali sono in affanno eppure però c’è chi dice “ci atteniamo ai dati”. Ma perché ci vogliono i numeri anziché vedere barelle qua e là nei corridoi, gente che viene soccorsa in auto, gente che muore nell’attesa fila di accesso al Pronto Soccorso. Poi ci voleva il genio della lampada per prevederlo? Non si sapeva che sarebbero andati in affanno totale, specie dove la sanità è sempre stata commissariata o finanziata continuamente?

-ci siamo dimenticati che non ci si ammala solo di covid, ma anche di altro, che si possa aver bisogno di un ospedale per altre problematiche?

-vogliamo parlare del senso civico quasi inesistente? La gente viola la quarantena, chi è in isolamento ed asintomatico, si sente libero di poter uscire. Di gente che non indossa la mascherina o la porta come accessorio scalda collo. Di esercizi commerciali che ancora non fanno rispettare le regole perché uno è amico, perché non vogliono discussioni, perché dobbiamo campare anche noi.

Ci siamo riempiti la bocca e le bacheche che saremmo diventati persone diverse, migliori, che saremmo tornati ad una quotidianità cambiata con consapevolezza ed accortezza. Siete sicuri? No, perché io francamente mi sembra che siamo diventati peggio, del tipo: ognuno per sé e dio per tutti; del “io speriamo che me la cavi”; “morte tua vita mea”; del “tanto a me il virus non mi tocca”. Infondo ora la cosa più importante è se possiamo fare il cenone a Natale e Conte sta vagliando in che modo possiamo farlo per accontentare quelli che dobbiamo essere “sett ott e nuje”.
Alla fine di questa malvagia giostra fermiamoci a farci un esame di coscienza.

#pensateci

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La speranza in questa ennesima campagna elettorale

Non è mio costume scrivere post politici, ho taciuto a lungo e continuerò a farlo ma una cosa sento di dirla in questa campagna elettorale che vede protagonista Pagani per l’ennesima volta. Sento il bisogno di farlo da cittadina, da comune cittadina che ogni giorno lavora su questo territorio, lo ascolta nelle sue sofferenze e nei suoi dolori, nelle sue difficoltà, da figlia di questo territorio martoriato, umiliato, bistrattato, schiaffeggiato da molti, da tanti.
Questo paese è un cane sciolto e di conseguenza i cittadini si sentono padroni di poter assumere atteggiamenti e comportamenti di qualunque genere. Infondo non hanno un indirizzo, una guida, un’autorità di controllo.
Non entro nel merito del voto non è nel mio essere, inoltre il voto è personale. Sono candidati molti amici e persone che stimo molto, che ci hanno messo la faccia e la volontà, alcuni di loro li ho visti amministrare e davvero con grande partecipazione ed abnegazione, spero possano bastare a questo paese che ha tanto bisogno di normalità amministrativa. Ma delle cose vorrei farmele spiegare:
-questa mattina la macchina pubblicizzante un candidato sindaco lanciava volontani lungo tutto il percorso, l’ho seguito perché andavo a lavoro e francamente non credevo ai miei occhi. Allora mi chiedo: se il candidato fa lanciare i suoi volantini/bigliettini a terra è ovvio che la gente si senta libera di sporcare di ogni cosa le strade. E soprattutto perché io cittadina dovrei votare questa persona?
-ci sono candidati che nel corso della mia vita ho conosciuto e senza scrupoli hanno optato per dei diritti che forse era meglio lasciare a chi aveva più bisogno, oggi, battono la mano sul petto al motto “la scelta giusta”. Qual è la scelta giusta al giorno d’oggi?
Cos’è oggi amministrare per i cittadini?
Una cosa forse abbiamo dimenticato noi cittadini della città di Sant’Alfonso: l’ordinaria amministrazione. Se spazzano la strada di casa mia dopo mesi sembra che abbiano fatto chissà quale grande cosa. Se accendono una lampadina, dico una, non i lampioni di un’intera strada di periferia, gioiscono i cittadini e ringraziano a gran voce, perché qui l’ordinario ed essenziale è diventato un dono raro. Francamente da cittadina che in questo paese investe e ci paga le tasse come tutti del resto questa cosa proprio non mi sta bene.
Credo che i cittadini di questo paese meritino un sindaco, non un robin hood sia chiaro, non un mago, ma una persona che con onestà, caparbietà e capacità umane e professionali ricostruisca l’essenziale. Questo paese ha bisogno -e lo merita- anche di ordinarietà ma anche di controllo vigile.
Fatela la campagna elettorale è giusta e lecita, fatela nel rispetto del covid, sui social, ovunque, ma fatela con coerenza e senso di partecipazione ma fatela perché a crederci siete i primi, perché io sento di camminare su un paese di macerie.

Il mio post è solo una riflessione ad alta voce e non è un post per dirvi che non voterò, lo farò perché sono una donna e le mie antenate hanno lottato per questo diritto sacrosanto, lo farò perché sono figlia di questa terra e ci credo ancora che il vento fresco possa soffiare su questa città…

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Autismo, non siamo un paese razzista

cropped-cropped-foto-per-copertina-blog.jpgAutismo Vs opinione pubblica.

E’ questo il dibattito che da giorni tiene banco sui media nazionali, dopo diversi casi di bambini autistici estromessi dalla gita scolastica. Ultimo in ordine di tempo quello della ragazzina autistica che nessuno dei ragazzi voleva in camera, durante la gita a Mathausen.

Clamore mediatico e la gita viene annullata. Clamore mediatico= discutere, riflettere. Il mondo della disabilità è ancora sconosciuto ai più e sicuramente molto può la tv. Sono la prima che per costume ed educazione personale, per i valori che mi legano alla professione che spero di poter fare un giorno, innalzo la bandiera dell’integrazione scolastica, del “mettersi nei panni degli altri”.

Ecco proprio perché mi “metto nei panni degli altri”, stavolta non critico o accuso i ragazzi o i loro genitori-che a dire di molti sono ignoranti e acidi- perché bisogna scovare infondo: l’autismo ha varie forme, tutte senza dubbio problematiche e gravi , ma alcuni stadi possono essere pericolosi, specie quando si tratta di ragazzi più grandi.

Per la cronaca bisogna ricordare il caso del giovane autistico Daniele Potenzoni, di 36 anni, che giunto in pellegrinaggio a Roma è scomparso, tutt’ora continuano le sue ricerche.

Non siamo un Paese sempre e per forza razzista e contro l’integrazione, ma guardiamo anche agli aspetti, entriamo dentro le decisioni, prima di sparare sentenze contro genitori e ragazzi: sono preoccupati delle reazioni di un ragazzo autistico in gita, preoccupati di dormirci nel caso possa avere reazioni violente, non a caso la stessa insegnante di sostegno si è sottratta a questa responsabilità.
Ecco allora facciamoci qualche domanda, rendiamoci più informati, e poi parliamo di integrazione. Il problema non è la gita: perché i genitori dei ragazzi autistici potrebbero andarci e rendere tutti più sereni, il problema è che spesso si vuole creare clamore mediatico, anche per consolazione personale, ma signori miei è sbagliato.

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L’8 Marzo che vorrei….

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Svegliati. Il giorno ti chiama
alla tua vita: il tuo dovere.
A nient’altro che a vivere.
Strappa ormai alla notte
negatrice e all’ombra
che lo celava, quel corpo
di cui è in attesa, sommessa,
la luce nell’alba.
In piedi, afferma la retta
volontà semplice d’essere
pura vergine verticale.
Senti il tuo corpo.
Freddo, caldo? Lo dirà
il tuo sangue contro la neve
da dietro la finestra;
lo dirà
il colore sulle tue guance.
E guardi il mondo. E riposa
senz’altro impegno che aggiungere
la tua perfezione ad un altro giorno.
Il tuo compito
è sollevare la tua vita,
giocare con lei, lanciarla
come voce alle nubi,
a riafferrare le luci
che ci hanno lasciato.
Questo è il tuo destino: viverti.
Non devi fare nulla.
La tua opera sei tu, niente altro.

E’ una poesia di Pedro Salinas, tratta da “La voce a te dovuta”, 1993.

La donna che nasce, che vive. La donna che nasce da una costola. La donna che ha un giorno dedicato a sé per essere festeggiata, ricordata. Ma la “giornata internazionale della donna” o “festa della donna” è stata fissata per ricordare le conquiste economiche, politiche e sociali delle donne, ma anche le discriminazioni e le violenze che subiscono ancora in molte parti del mondo.

Le donne un universo da esplorare, da scoprire, da capire. Le donne che nel nostro paese sono ancora poche, nulle. In questi giorni c’è un dibattito sulle quote rosa, ma c’è bisogno di parlarne, c’è bisogno di inserirle per forza come un oggetto che tutti hanno e che l’Italia ancora non ha nel mondo del lavoro, nel mondo politico, sociale, economico?

L’8 marzo che vorrei non è fatto di ingressi gratuiti ai musei, di taxi da prendere senza pagare, di pacchetti benessere che vengono regalati, di mimose distribuite. Né vorrei analisi, discorsi, omaggi che si esauriscono dopo un giorno.

L’8 marzo che vorrei deve guardare avanti, oltre. Di progetti che non devono esaurirsi in poche ore, perché concentrarsi sull’istante è un atto di egoismo.

L’8 marzo che festeggiamo quest’anno cade in un momento in cui il mondo politico e intellettuale si spacca sulla parità di genere nella legge elettorale: non mi sorprende, ci sono scuole di pensiero e le accetto, è importante che ci siano opinioni diverse e che siano rispettate, ma che la discussione non porti alla spaccatura di femminismi, altrimenti ci saranno battutine argute, battutine contro le donne o donne da sostituire quando lo si ritiene opportuno.

Il dibattito che in questi giorni tiene banco dimostra che la questione delle pari opportunità non è mai stato affrontato, non almeno seriamente. La si è osservata dall’esterno, tollerata, utilizzata quando ne era opportuno. Ma mai fatta propria.

Ma ci tocca vedere un 8 marzo di disuguaglianze, di lotte, di donne che vengono uccise, di violenze inaudite.

L’8 marzo che vorrei è quello che ci impone a guardare oltre il preconcetto di una bella donna, magari ben vestita che forse ha ottenuto il lavoro solo per la sua bellezza o perché ha portato a letto il capo.

L’8 marzo che vorrei è quello in cui si spengano i microfoni ad un giornalista che avvicina una giovane ministra e gli chiede com’è la sua vita sessuale. La donna non è solo sesso ma è intelligenza, potere, classe, forza ed energia. Lo ha dimostrato tante volte.

L’8 marzo che vorrei è quello dove si pensa alle bambine, alle ragazzine delle piccole realtà del sud, dove ci sono mentalità forti e radicate. Dove se non sei fidanzata hai un marchio, dove devi pensare al matrimonio ed ai figli, perché la donna è vista anche-purtroppo-come una macchina che sforna figli e da confinare in casa.

L’8 marzo che vorrei…

E buon 8 marzo o a tutte e tutti, nonostante tutto e forse proprio per questo.

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