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Maternità, quel concetto univoco che la società inculca ma è davvero così?

La maternità è oggi esibita, celebrata, pretesa e ampliata a ogni ambito dell’esistenza umana. Un canone quasi dovuto per una donna agli occhi dell’opinione pubblica raggiunta un’età, che somiglia molto ad un campanello che ricorda l’orologio biologico. Poco importano i desideri, le aspirazioni di una donna, il senso materno che una donna può o non può avvertire, i tempi e i modi diversi da una donna all’altra nell’avvertire il desiderio materno, che è intimo e personale. E’ più che una condizione fisiologica naturale: essere mamma oggi è per alcune, una sorta di affermazione sociale e personale senza eguali. Siamo reduci da un’estate di dolore materno, ribattezzata da alcune testate come “mostruosità materna”, la cronaca ha scosso l’opinione pubblica, lascandola incredula e sgomenta con l’omicidio della piccola Elena e della piccola Diana, vittime della follia criminale delle loro madri. Storie che hanno mostrato una maternità non materna, la piccola Diana è stata nascosta e negata ancor prima di nascere. Figli che diventano un ostacolo alla vita che si è sempre desiderato di vivere. Segno che l’esistenza dell’istinto materno non è scientificamente provata, ma non si può neppure prescindere anche da un’altra inconfutabile consapevolezza. Mettere al mondo un bambino crea sicuramente un legame indissolubile per chi lo ha sempre desiderato. Ma può turbare irrimediabilmente chi non vuole un figlio, ma si ritrova ad averlo. La mamma della piccola Diana, si è cucita addosso anche la professione di psicologa infantile, come a voler assumere un’etichetta sociale finalizzata ad attribuire credibilità al ruolo di madre, che in cuor suo sapeva di non essere in grado di adempiere. Dietro questi infanticidi, madri definite “strambe” dall’opinione pubblica, che nella vita di tutti i giorni si è girata dall’altra parte, divenute madri all’improvviso ed hanno anche un po’ improvvisato, e non si tratta solo di essere impacciate e impaurite per un essere piccolo che dipende totalmente dall’adulto, ma è dover accantonare i propri desideri per dare priorità ad una vita umana che a ritmi diversi da un adulto e che da solo non è in grado di fare nulla. Alla base degli infanticidi ci sono anche presunte patologie psichiatriche, ma portano ad una riflessione ampia sulla maternità oggi. L’opinione pubblica vuole che una donna sia pronta alla maternità, poco importano le aspirazioni di una donna ed i suoi desideri, sembra che sia un vestito che una donna debba indossare e farselo piacere, presentandosi pronta ad indossarla, pronta a rispecchiare le aspettative di tutti. Non siamo pronti e aperti a sentirci dire da una donna che non vuole figli, perché c’è sempre chi è pronto a tacciare di egoismo e di colpevole disamore per il futuro. Senza chiedersi, se dietro la reticenza a fare figli ci fosse un forte senso di responsabilità o di intime riflessioni. C’è anche da ammettere che la maternità non è sempre felice e che intorno alle donne serve una rete. In Italia è ancora un tabù dire che la maternità non sempre è un momento felice, e questo fa sì che non si attivino reti e servizi a sostegno delle donne che ne hanno bisogno. Ogni donna vive la maternità in modo differente, convivono una componente fisiologica e una psicologica. Spesso sono sottovalutati i campanelli d’allarme, per questo il ruolo dell’ostetrica, della ginecologa e del consultorio con le sue figure professionali, sono fondamentali per sostenere la donna. Lì dove però il consultorio è una realtà esistente e funzionante, perché c’è da ammetterlo che nonostante la legge abbia riconosciuto i consultori familiari in Italia, il flop è davvero palese. A questo si aggiunge l’immaginario comune che vuole le mamme perfette e pronte, ma la realtà è dura e difficile, ci si aspetta troppo da loro. I servizi sull’infanzia in Italia scarseggiano, mancano servizi adeguati che permettano di lavorare e conciliare la vita familiare in maniera serena e fluida. Manca ancora una cultura della maternità che sia vicina alle donne: bisogna potenziare i servizi materno-infantili, di prossimità e la rete di consultori. Sono i consultori che devono andare nelle scuole, e parlare di prevenzione, di gravidanze a rischio. Devono andare sui posti di lavoro. Bisogna creare negli ospedali un database dove viene comunicato il momento del parto di una donna al servizio sanitario. Infine, bisogna ripartire e lavorare con le nuove generazioni sul desiderio. E’ evidente che c’è la necessità di un cambiamento di prospettiva, che parta dall’infanzia. Il desiderio di maternità nelle ragazze è un’aspirazione generica, un desiderio vago. Si è perso il racconto della maternità. Non c’è più quel filo di continuità tra le generazioni, il racconto di mamme e nonne si è spero. I ragazzi di oggi spesso non hanno mai preso in braccio un neonato.

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine Sociali per ildenaro.it)

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L’opinione. La terra va in fumo

img_0217La terra brucia in Campania.
Quei fazzoletti di verde polmone d’aria e segno delle braccia e della fatica dell’uomo, che dà lavoro e frutti, va in fumo. L’aria è irrespirabile, il cielo assume un colore giallastro misto al nero. Il vento forte aggrava il soffocamento. L’aria è calda, bollente, il fuoco si mischia all’aria. I mezzi di soccorso sono insufficienti, nel napoletano ospedali, negozi e case sono stati evacuati.
Sembra un bollettino da guerra col risultato che si resta fermi a guardare la lenta morte della natura ormai persa, come perso il lavoro, la bellezza paesaggistica e anche l’aria che respiriamo: tra un pò leggeremo di nuovi casi di tumori, di come ci si ammala facilmente al Sud: la seconda terra dei fuochi. Eppure, anche questi criminali respirano la nostra stessa aria, non avvelenano solo noi ma si avvelenano anche loro.
Qualcuno lo dica. Se ne parli.

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L’opinione. Il mondo nella morsa del terrore 

Un filo sottilissimo, quasi invisibile unisce Torino a Londra, si chiama paura, si legge terrore, panico, paura e si sigilla con la morte di innocenti. A Torino una piazza che voleva gioire, urlare ha incontrato la fuga, il terrore di un falso allarme. La colpa è tanto di chi insinua false notizie quanto anche di chi in un clima di terrore europeo ha portato in quella piazza bambini piccoli. I cori da stadio, il tifo, gli eventuali festeggiamenti coi bambini forse vanno fatti a casa. Io da zia mio nipote in mezzo ad una piazza gremita, col terrore che condiziona le nostre vite e l’Europa non lo avrei portato.

Londra sapeva che ben presto sarebbe stata colpita e di nuovo, ben presto un furgone ha seminato il panico di nuovo, riaccendendo la paura ma anche l’impotenza che anche chi governa ha sui terroristi. Ahimè, ahinoi, non esistono misure così forti tali da poter cercare di arginare o evitare attacchi terroristici.

Così siamo paralizzati, se andiamo in una città più grande ci guardiamo intorno, ci guardiamo le spalle, ma sappiamo che viviamo in tensione continua e costante perché qualcuno ha interpretato la sua religione in odio e morte.

Quando finirà? Quando potremmo ritornare a viaggiare, a vivere, a visitare o a lavorare e vivere in capitali come Londra, o a festeggiare in piazza senza la paura di saltare in aria? Quando ogni religione sarà vissuta con amore e Fede autentici senza interpretazioni distorte?

Sta forse cambiando l’Europa e il mondo? Siamo destinati a vivere così per il futuro moderno?

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