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Parto anonimo, per la Cassazione il figlio può cercare la madre

6834932-strumenti-moderni-giornalista-computer-portatile-bianco-taccuino-e-una-penna-profondit-di-campo-messCon la maggiore età, il figlio di una madre che ha voluto partorire in totale anonimato ha il diritto di andare a cercarla. Lo ha stabilito di recente la Corte di Cassazione. I giudici sono intervenuti su un argomento al quanto delicato, sulla quale si sta discutendo da quattro anni, da quando la Corte Costituzionale nel 2013, aveva dichiarato illegittime le norme che impediscono, per motivi di privacy di risalire ed interpellare la mamma biologica. E’ da allora che si aspetta l’intervento del legislatore. I lavori sono iniziati dopo che alla procura della Cassazione era arrivata una richiesta di chiarimento dell’Associazione dei magistrati per minorenni e la famiglia, il primo presidente Giovanni Canzio aveva chiesto un pronunciamento alle Sezioni Unite, vista la particolare rilevanza della questione. Prima della pronuncia della Cassazione, i tribunali avevano deciso in modi del tutto diversi, in molti tribunali era stata respinta la richiesta di interpello perché in attesa dell’intervento del legislatore per dare corso alla richiesta del figlio, che il giudice interpelli in via riservata la madre naturale facendole presente la sua volontà di non essere nominata. In tribunali come Trieste, Piemonte e Valle d’Aosta è stata concessa la possibilità di interpello riservato anche senza la legge in forza dei principi dettati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e per effetto della sentenza di illegittimità costituzionale de 2013. La sentenza di Cassazione sgombra il campo da tante ipotesi e scelte diverse, infatti, si legge che, nonostante “il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa”, c’è “la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione.” Stando i dati forniti nello scorso anno dal tribunale per i minori di Roma, su quindici istanze presentate prima della pronuncia della Cassazione, di figli che hanno chiesto alle madri di rimuovere l’anonimato, tredici donne hanno accettato e due hanno detto di no. Libertà di scelta. Il verdetto colma il vuoto normativo ma colma anche il desiderio di tanti bambini, oggi uomini e donne che nonostante una famiglia adottiva solida e amorevole, nonostante la loro età adulta ed il percorso di vita, sentono un vuoto che risale alle loro origini, un vuoto fatto di domande che cercano una risposta, un vuoto che vuole ricercare il volto di quella mamma che li ha messi al mondo. Una sentenza che fa gioire anche tante “mamme anonime”, che finalmente potranno far cadere quel velo segreto, felici di poter ritrovare i figli abbandonati, mentre, altre mamme decideranno di rimanere “mamme segrete”, preferendo il ricordo della nascita ed il dolore, nella maggior parte dei casi, dell’abbandono, facendo sì che molte buste, con i dati del dramma dell’abbandono, restino di nuovo blindate. Per sempre. Nei cassetti di un tribunale.

 

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Consulta, scelta storica: al via per il nascituro il cognome della madre

img_0217Sentenze sempre più storiche, destinate ad adattarsi ad una società sempre più moderna, che sconvolge canoni e valori, che si adatta ai corsi e ricorsi storici. Dopo la sentenza storica, che ha decretato la bigenitorialità, arrivando a condannare qualche settimana fa una mamma romana, che negli anni aveva allontanato il proprio figlio dal papà, sentenziando così il diritto – dovere di entrambi i genitori di tutelare il rapporto con i figli e di intervenire nella loro educazione, anche in caso di separazione o divorzio. Una nuova sentenza arriva pronta a entrare nel guiness storico: via libera al cognome della madre per i figli. La Corte ha dichiarato illegittima “l’automatica attribuzione” di quello paterno in presenza di una diversa volontà dei genitori. Una vittoria femminile e soprattutto delle madri. Ora i figli potranno portare il cognome materno accanto a quello del padre dal giorno in cui vengono al mondo. Senza pratiche burocratiche, attese. Sempre se tutti e due i genitori lo vogliono. A sancirlo la Corte d’Appello di Genova che ha accolto la questione di legittimità costituzionale sollevata sul cognome del figlio e ha dichiarato illegittima la norma che prevede l’automatica attribuzione del cognome paterno, in presenza di una diversa volontà dei genitori. In caso di mancato accordo tra i neo genitori sembra che il bambino terrà il cognome paterno. La questione non è tutt’ora normata per legge, esiste, però, una proposta di legge, approvata dalla Camera nel 2014, sepolta però da due anni al Senato. La sentenza della Consulta, arriva dopo anni in cui l’Europa tirava le orecchie all’Italia e forse questa sentenza spingerà sui tempi di approvazione della legge in Senato. La legge, infatti, andrà a normare tra le diverse vedute dei genitori: nel caso di mancanza di identità di vedute tra i neo genitori, o di battaglia per quale cognome mettere per primo, questa legge, prevede l’ordine alfabetico. Ancora una volta è un tribunale prima e la Consulta poi a tracciare la strada, un varco, delineando il cambiamento e riconoscendo le richieste che provengono dalla società.

Fino ad oggi come funzionava? Sino ad oggi per il doppio cognome si faceva ricorso alla Prefettura, così come avviene quando il proprio cognome è ridicolo o offensivo. Ma la concessione è a discrezione. Nel caso di alcune coppie conviventi, hanno scelto di far riconoscere il piccolo prima alla madre e poi in secondo momento al padre in modo che potesse portare entrambi i cognomi.

Non è la prima volta. Storico il momento, storica la sentenza. Non è infatti la prima volta che una coppia si rivolge alla Consulta chiedendo di poter attribuire il doppio cognome al figlio. Già nel 2006 la Consulta aveva trattato un caso simile, in cui si chiedeva di sostituire il cognome materno a quello paterno: in quell’occasione i giudici pur definendo l’attribuzione automatica del cognome del papà “un retaggio di una concezione patriarcale della famiglia” , dichiarò inammissibile la questione sottolineando che spettava al legislatore trovare la strada risolutiva. Legge che ancora giace in Senato.

Dunque, oggi, se vogliono e per fortuna anche le madri possono dare al figlio il proprio cognome. Che è quello del proprio padre. Tanto per dire.

 

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“Mamma non parlare male di papà”, sentenza storica dal Tribunale di Roma

img_0217Contesi, usati come “arma di ricatto”, costretti a subire insulti, frecciatine che un genitore inferocito rivolge all’altro. Spesso sono i minori le vere vittime delle separazioni, e sono loro i primi che dovrebbero essere tutelati e difesi. La conferma arriva dal Tribunale civile di Roma con una sentenza che ha condannato a 30 mila euro di multa una mamma che parlava male al figlio dell’ex coniuge, padre del piccolo. Per i giudici non ci sono dubbi o giustificazioni: il coniuge separato, in presenza di figli, è prima di ogni cosa genitore e deve salvaguardare la serenità e il diritto alla bigenitorialità del proprio figlio. E’ diritto-dovere di tutelare il rapporto con i figli e di intervenire nella loro educazione, anche in caso di separazione o divorzio. Per la prima volta, con la sua sentenza il Tribunale ascolta quelle imprecazioni silenziose dei bambini che magari sottovoce sussurrano alla mamma inferocita contro l’ex: “mamma non parlare male di papà”. Oggi è sentenza. Se parli male di suo padre a tuo figlio pagherai una multa pari a trentamila euro, un anno abbondante di stipendio medio, e se non cambierai registro ti verrà revocato l’affido.

Nel caso specifico, il Tribunale civile di Roma, ha accertato che il genitore in questione – la madre che aveva l’affidamento del minore – non ha cercato di riavvicinare il figlio al padre “risanandone il rapporto nella direzione di un sano e doveroso recupero necessario per la crescita equilibrata del minore, ma al contrario ha continuato a palesare la sua disapprovazione in termini screditanti nei confronti del marito”.

Una condotta scorretta e da condannare. Compito della madre, si legge nella sentenza, è quello di lavorare al fine di consentire il giusto recupero del ruolo paterno da parte del figlio, soprattutto nella sua posizione di genitore collocatario, quello con cui il bambino vive quotidianamente.

Una sentenza storica, 18799/2016, che punisce un comportamento del genere con una sanzione consistente ma soprattutto riporta ad un tema centrale: i figli appartengono ad entrambi i genitori, che hanno eguali diritti e doveri. Diritto dei figli, dovere dei genitori, tutelato anche dall’Unione Europea. Un precedente che farà strada e creerà giurisprudenza.

 

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