Ossessione maschile.

Femminicidio. Un’ignobile guerra contro le donne. Una guerra inarrestabile, forte, dolorosa. Dettata dall’ossessione, dall’amore malato verso le donne. Risale a poche ore fa l’ultima vittima per mano di un uomo, Cristina Biagi, uccisa dopo una denuncia per stalking dall’ex marito, Marco Loiola, dopo che lo stesso ha quasi ucciso il nuovo compagno di lei, per poi sparsi in bocca. Due bambini di 3 e 10 anni si ritrovano a piangere la morte della loro mamma e del loro papà. Orfani, segnati da un destino terribile: vivere per sempre sapendo che la mamma è stata uccisa dal loro papà. Un omicidio in una movimentata domenica estiva, sul lungo mare di Ostia, non uno scrupolo, né vergogna. L’ennesimo, tragico clichè: lei innamorata, madre di due figli che ha senza dubbio tentato di ricucire un rapporto ormai sgretolatosi, ha accettato le botte, subito in silenzio. Si è illusa che lui fosse la persona di sempre, quell’uomo di cui lei stessa si era innamorata. Poi il sogno si è frantumato di fronte alla realtà. Un uomo probabilmente ossessivo, geloso, violento. Così la decisione dolorosa, la separazione. La speranza di tutte le donne è che quell’uomo che hai amato che in un attimo è diventato un orco, un uomo così diverso da com’era, possa capire, ragionare, lasciarti in pace. Invece, inizia un tormento, un calvario fatto di minacce, persecuzioni, telefonate. La vita di una donna si paralizza, si cristallizza. Inizia a temere per se stessa, per i propri figli e per la propria famiglia. A poco serve se annullerà la sua vita sociale, il suo essere donna, la cercherà e troverà ovunque. Così le donne trovano il coraggio, tra la paura e la solitudine di denunciare, sperando nell’aiuto delle forze dell’ordine, delle istituzioni, della legge-soprattutto-. La Procura, come in questo caso, aveva già avviato le indagini, ma Marco Loiola è stato più veloce. E l’epilogo tragico lo conosciamo tutti, l’abbiamo già sentito, letto e visto tante, troppe volte. La domanda che ci si pone senza insistenza, ogni volta, è come si poteva fare per evitare questo delitto? E’ stato sottovalutato il rischio? A cosa servono gli appelli, gli approfondimenti tv che invitano le donne a reagire, a denunciare? Le donne hanno bisogno di sentirsi tutelate, protette dalla legge e dalle istituzioni. Eppure oggi una nuova donna riempie le cronache italiane. Una donna che aveva denunciato per stalking il suo assassino. Non ci stupiamo se poi familiari, amici, parenti, vicini ci diranno “era una morte annunciata”.

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Quando la violenza viene pubblicata su facebook!

Un infelice gioco di parole, così si potrebbero definire gli autoscatti pubblicati sulla pagina face book di Anna Laura Millacci, visual artist e compagna da tredici anni del cantante Massimo Di Cataldo, con cui ha avuto una bambina. Sono un autentico, sconvolgente pugno in faccia alle donne. Foto che rappresentano un volto tumefatto, il naso che cola sangue, gli occhi violacei ed un scatto scioccante, forte, agghiacciante, che lascia senza parole: un grumo di sangue, forse riconducibile ad un feto, che galleggia all’interno dell’acqua. Anna Laura, una donna, l’ennesima, che si ritrova a raccontare una storia che troppe volte abbiamo già sentito. Una storia fatta di violenza domestica che andrebbe avanti da tredici anni, sfociata in uno sfogo, a quanto pare, più violento del solito e terminato tragicamente, come lei stessa racconta sul noto social network, con un aborto.
“Queste foto che ho postato sono di venti giorni fa. Ho pensato a lungo se farlo o meno. Ma credo nella dignità e nel rispetto delle donne. Ci sono donne che ogni giorno subiscono violenze e continuano a perdonare. Io il signor di Cataldo, faccia d’angelo e aspetto da bravo ragazzo l’ho perdonato tante volte. Anche quando ero incinta mi ha picchiata e Rosalù é un miracolo sia nata. Questa volta le botte me le ha date al punto da farmi abortire il figlio che portavo in grembo. Io non ho un carattere facile e le liti possono accadere. Ma mai nessun uomo potrà mai più farmi questo a me e alla vita. E spero che questo outing e sputtanamento pubblico sia utile a tutte quelle donne che subiscono uomini che sembrano angeli e poi ci riducono così . Continuando la loro vita sorridenti e divertiti …come se nulla fosse accaduto. Di Cataldo se proprio devi continuare a fare musica,se hai un po’ di dignità non nominare mai più le donne. Perché le hai sempre e solo menate. È questo lo sa bene pure la tua ex moglie Jorgelina”. Le parole di Anna Laura suonano forti e chiare e sono indirizzate all’ex compagno e cantante. Lo sfogo va avanti: “Non avrei mai voluto arrivare a dire pubblicamente che uomo sei, e a pubblicare queste foto così terribili. Tu che ci tieni così tanto alla tua faccina angelica…Dopo 13 anni di un grande amore ma anche grandi sofferenze ho pensato di farti un regalo. L’ultimo degli infiniti che ti ho fatto in questi anni. Il più prezioso: forse ora prenderai coscienza …visto che sembri sempre inconsapevole delle tue azioni come farebbe un bimbo di 3 anni. Forse stavolta ti sto aiutando davvero. Ti regalo la possibilità di fare un upgrade. Quello di diventare finalmente un Uomo. E non lo faccio per rabbia ma per la nostra piccola Rosalù, che ha bisogno di un padre e non di un fratellino piccolo e violento. Buona vita Massimino…”. Una storia terribile, tanto. La denuncia di Anna Laura, in fatto di violenze domestiche, non ha precedenti per la crudezza e per l’efficacia delle immagini. Una denuncia che parte dal web, come monito, come segno, per colpire, per far riflettere. Dopo qualche ora anche Di Cataldo ha usato Facebook per dire la sua sulla vicenda. “Solo poco fa ho appreso da facebook cosa sta succedendo e sono sconvolto. Come può una donna, madre di mia figlia, arrivare a tanto, alterando la realtà, solo perché una storia finisce? Farò di tutto per tutelarmi, prima come uomo e poi come artista”, ha commentato il cantante. Poi a Marina di Carrara dove si trova per un premio, parla con voce rotta dall’emozione. “Non capisco – dice – è la madre di mia figlia, io la amo tutt’ora. Non capisco, mi vuole diffamare. Magari ha le sue aspirazioni che non riesco a capire. Ma non riesco a parlare male di lei”. Intanto sulle immagini cruente indaga la Squadra Mobile di Roma che ha avviato un indagine sulla denuncia pubblica della donna. Gli agenti cercheranno di fare luce sul racconto della donna e sull’autenticità delle foto. Mi riesce difficile pensare che questa donna che ha amato quest’uomo, protetto, scusato per anni, padre di sua figlia, voglia rovinarlo in questo modo, inventandosi tutto. Saranno le indagine a fare luce, ma questa donna ha avuto il coraggio di denunciare e di farlo pubblicamente per se stessa, per sua figlia e per tutte le donne.

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Professione genitore!

Professione genitore. Il mestiere più antico del mondo e il più difficile di tutti. A poche ore dall’arrivo del Royal baby inglese preferisco parlare dell’essere genitori, un compito non semplice e carico di energia e adrenalina.
Genitori non si nasce, genitori si diventa, a volte per scelta, a volte per caso. Comunque la verità è una sola: genitori si impara ad “esserlo”. I genitori sono prima di tutto una coppia. I figli arrivano dopo, ma senza genitori tranquilli e appagati non ci sono figli felici. Dopo la nascita dei figli, nonostante le fatiche del parto e la nuova realtà in cui si è catapultati, le energie che circolano tra le parti sono davvero molto positive. Proteggersi e ricaricarsi, basta non dimenticarlo, basta non impigrirsi, basta semplicemente desiderarlo. Essere genitori è un compito difficile. Un genitore ha il compito di proteggere, nutrire, coccolare, istruire e soprattutto educare. Educare significa aiutare un individuo a crescere e a sviluppare le sue potenzialità che gli permetteranno di diventare autonomo e indipendente. I genitori non forniscono istruzioni di vita, trasmettono un esempio concreto, un modello esistenziale che rappresenterà una fondamentale base di partenza per la vita dei figli. Per questo, spesso, il genitore sente il bisogno di un sostegno che lo aiuti nel mai semplice ruolo educativo. Ma attenzione a come e a cosa si cerca. Le risposte non sempre funzionano se si ottengono da fonti di informazione che generalizzano. Gli enunciati pedagogici sono quasi sempre aulici e molto piacevoli da ascoltare, ma la realtà della famiglia è molto particolare e le esigenze ad essa correllate sono uniche che richiedono risposte contesuali tarate proprio su quella specificità. La famiglia è tuttavia un contenitore di energie. In un momento di crisi la famiglia ha un ruolo importante, di protezione e ricarica. E’ quindi importante conferirle il giusto valore e assicurarsi che tutti i componenti ne siano consapevoli. Incontrarsi intorno alla tavola almeno una volta al giorno o cercare un momento durante la settimana per fare il punto sulle reciproche vite, scambiandosi notizie sulla scuola, lo sport, gli amici, gli impegni, i gossip, i pettegolezzi sono i benvenuti ed hanno lo scopo di parlare, di parlarsi.
Il genitore talvolta è modello. Alla sera, dopo il bacino della buonanotte. Ma un genitore deve porsi delle domande:
-Sono sufficientemente presente nella vita di mio figlio? Ricordate che la quantità del tempo è importante ma la qualità lo è ancor di più.
-Riesco ad essere in ascolto? Ascoltare è una condizione emotiva. Per connettervi con i vostri figli è necessario andare oltre le parole, osservarne i comportamenti.
-Posso accettare le sue scelte? Il modo in cui è organizzata la sua vita non sempre corrisponde alle proizioni dei vostri desideri, ma è la sua vita..
-Quando incide la mia presenza sulle sue scelte? Quanto di vostro c’è nell’organizzazione della sua vita ma che non necessariamente gli appartiene.
-Mio figlio è felice?
Un figlio ha bisogno dei suoi spazi, della sua libertà. Ha bisogno di cadere per imparare dai suoi errori. Accettare l’errore del proprio figlio è un passo in avanti, seppur difficile. Solo così si avranno figli responsabili ed adulti, grazie anche all’aiuto dei genitori.

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Handicap.Il diritto di esistere

Prendere un mezzo pubblico, andare in edicola, entrare in libreria, in farmacia. Azioni banali della vita quotidiana, che diventano troppo spesso un percorso ad ostacoli per una persona disabile. Da Nord a Sud dell’Italia la scena che si ripete è sempre la stessa. Una persona in carrozzina alla fermata dell’autobus, o pronto ad attraversare le strisce pedonali. Si vede tra i passeggeri in attesa. Eppure, molti autisti fanno finta che non esista. E tirano dritto, magari accellerando. A poco servono i loghi ai lati delle portiere centrali del bus, che indicano la dotazione di ausiliari per disabili. Dovrebbe esserci una pedana, che all’occorenza scenda giù dalla porta centrale, per consentire l’accesso a carrozzine e passeggini. Spesso, troppe volte non c’è. E quando c’è non funziona. Ed il passeggero, rimane a terra. Barriere continue. Ogni passo un ostacolo, un impedimento. Dai luoghi di culto ai luoghi pubblici. Per andare in un negozio qualunque per acquistare anche il più banale degli oggetti. Dal centro alle periferie delle nostre città, barriere ovunque. Diritti negati, violati, cancellati. Eppure svolgere azioni semplici fa parte della quotidianità di ognuno, nessuno escluso. Davanti alle innumerevoli barriere architettoniche che si trovano ovunque dalle gallerie, agli scivoli, passando per i semafori, dovrebbe assalirci un senso di impotenza e di indignazione. Non è possibile che in molti debbano guardare i gradi delle metro o di un museo come ad un’impresa eroica. Un’emozione prende il posto di un’altra. Anzicché l’impotenza è arrivata la rabbia. Siamo un paese civile e talvolta ci dimentichiamo dei diritti quelli semplici e banali che sono diritti di tutti, nessuno escluso. Non dimentichiamoci il diritto di esistere, di una vita fatti di ostacoli.

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Vita nei lager

 

Un inferno per la vita. Veri e propri lager seppur l’era sia ormai finita da un pezzo eppure sembrano esser ritornati, come una storia brutale che si insedia, si impone. Trentasette disabili segregati, ospitati nel più assoluto degrado. E’ l’ennesima casa lager, l’ennesimo caso scoperto dai Nas in una residenza socio sanitaria a Meta di Sorrento. Le accuse sono di sequestro di persona, maltrattamenti e abbandono di persona incapace, questi i reati contestati. In manette è finito l’incaricato del servizio notturno e due persone sono state denunciate. Un inferno in cui i disabili da una vita già fortemente toccata e a tratti difficili venivano denudati e chiusi in bagno. Una donna disabile era addirittura chiusa in bagno a chiave, al buio. Lasciata da sola, nell’abbandono e nella solitudine, nella sua sofferenza, nel suo dolore. All’interno della struttura che aveva un valore di circa 2 milioni di euro, sono stati ritrovati anche numerose confezioni di farmaci scaduti. Una casa degli orrori dove il rispetto è annullato, dove la sofferenza non esiste. Dov’è la coscienza? Possibile che nessuno non abbia visto o sentito mai nulla nel tempo? E’ solo l’ennesimo caso. Pochi giorni fa una casa lager in cui erano ospiti gli anziani, maltrattati e derisi, oggi alla cronaca tocca di ospitare l’ennesima casa lager dove questa volta ospiti erano i disabili. Possibile che in un Paese civile non si abbia rispetto per chi ha bisogno, per chi urla in silenzio il suo dolore, il suo disagio, la sua sofferenza? Possibile che le coscienze non si smuovano. Eppure dietro queste case riposo, case socio sanitarie, si nascondono orrori e iene, che ogni giorno maltrattano e umiliano anziani e disabili, indifesi, che andrebbero tutelati ancor di più. Eppure si nascondono rette di tutto rispetto ma nessun rispetto per chi ha bisogno di aiuto. Eppure basterebbero più controlli. Basterebbe seguire un po’ di più queste case, selezionare il personale, sottoporlo a controlli ogni sei mesi, un anno. Sono stufa di queste immagini forti e cruenti e di diretti lesi, ignorati. Stufa di leggere sul volto di chi soffre una doppia sofferenza e mi indigno. Non so voi!

 

 

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Umiliati e offesi.Quando l’anzianità diventa un inferno

Umiliati e offesi. Quando l’anzianità diventa un inferno
La chiamano terza età, l’aspettano in tanti per godersi il riposo,la pace, la serenità, per guardarsi dentro dopo una vita di fatiche e di sofferenze. Eppure spesso l’anzianità diventa un inferno, al quale si vorrebbe sfuggire ma non si hanno né i mezzi né le forze per farlo. E’ dell’altro giorno la notizia dell’ennesimo scandalo in una Casa di Riposo di Terni. Oserei chiamarla una casa lager, piuttosto che di riposo. Anziani, umiliati, offesi, presi a calci e morsi, sottoposti ad angherie di ogni genere e denunciati soltanto perché in qualcuno di loro la coscienza si è risvegliata e i sensi di colpa pesavano troppo per quegli atti cruenti e disumani. Le telecamere nascoste hanno filmato tutto, senza sconti e la struttura è finita sotto sequestro. Le immagini forti che toccano il cuore, mostrano anziani insultati e maltrattati, percossi con strattoni, schiaffi e morsi. Come si vive senza avere dei rimorsi? Anziani deboli e stanchi di una vita fatta di sofferenze e di sacrifici sottoposti a maltrattamenti di ogni tipo senza neanche avere la possibilità di parlare con qualcuno e finire l’esistenza nel dolore e nell’abbandono, senza il conforto e l’affetto di nessuno. Anziani che spesso vengono rinchiusi nelle case di riposo e lasciati soli, abbandonati al loro destino, senza speranze e amore, affetto. Troppo anziani per tenerli in casa, troppo anziani per curarli, amarli. Ma che senso ha poi rimpiangerli, lasciar posto alle lacrime? Eppure nelle case lager, non sono curati nell’igiene. In molti casi le morti sono sospette. Deboli ed indifesi tra le iene. Eppure le rette sono altissime. Certo è più facile pagare una retta per “scaricarsi la coscienza”, ma a quell’ anziano solo e indifeso nessuno ci pensa? Sono episodi di inaudita gravità. Eppure è un tema che spesso ricorre tra l’opinione pubblica e rimbalza in tivù e sui giornali. Come si può chiamare “Casa di riposo”, delle celle ancor peggio delle prigioni, dove non esistono diritti, umanità, ma solo avidità e profitto? Dopo una vita dedicata ai figli, alla vita, meritano i sorrisi e la spensieratezza di un attimo, di un momento, prima del distacco. I genitori li trattiamo come un pacco. Nell’anima mi resta una ferita. Mentre la nostra società preferisce l’indifferenza.

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Femminicidio: Un’ignobile guerra contro le donne

Femminicidio: Un’ignobile guerra contro le donne
Donne uccise, violentate, malmenate. Un omicidio ogni sette nel Mondo è commesso fra le mura di casa e per mano del partner. L’amore che diventa ossessione. L’amore che si traduce in uomini possessivi. Un’ignobile guerra contro le donne. Spulciando la lista i nomi sono tanti, Gabriella, Lucia, Eléna, Zineb, Rosy –solo l’ultima di una lunga lista. Avevano 50, 40, 36, 22 anni. Erano italiane, moldave. Erano madri, non avevano figli. Erano single, erano sposate. Le loro storie non esistono si annullano, si cancellano. Storie di vita che vengono cancellate, incone lugubri ripetute all’infinito. Spesso un trafiletto su un giornale, se il delitto non è stato particolarmente efferato. Ma sono donne, morte ammazzate da mariti, fidanzati, amanti e conviventi. Uomini da amare, in cui si nutriva una fiducia che non ha eguali che si trasformano in killer che vengono protetti da alibi concettuali, linguistici. Giustificati da una perizia psichiatrica o da una “banale” scusa. “Ha ucciso dopo un raptus, ha ucciso per gelosia, ha ucciso perché aveva paura di essere lasciato”. La vittima non esiste mai, cancellata, annullata, dimenticata. Il maschio assassino, ancora una volta è il protagonista, lui l’unico e solo. Novantadue le vitte in Italia dall’inizio dell’anno. Numeri da guerra. Numeri che rabbrividiscono. Ultima, solo in ordine di tempo è la storia di Rosy Bonanno, venticinque anni, uccisa forse davanti agli occhi del suo bimbo di due anni, dall’uomo che ha denunciato per ben sei volte per molestie. Per stalking. Eppure nessuna l’ha protetta, aiutata, supportata. Ha subito, ha avuto paura per sé e per il suo bambino. Ha combattuto contro l’ossessione, l’amore malato, la paura, fino ad incontrare la morte per mano dell’uomo che amava. In un paese civile come l’Italia si muore ancora per mano di uomo senza che nessuno reagisca, tuteli. E allora la tanto invocata e raggiunta legge sullo stalking viene sottovalutata? Così un’altra donna, Rosy Bonanno, muore sotto le coltellate dell’uomo che amava di 36 anni e sotto gli occhi del suo bambino, che speriamo non ricordi le immagini efferate dell’assassinio di sua madre. Quasi ogni giorno muore una donna per mano dell’uomo che amavano, ogni giorno un bollettino da guerra. Non bastano i proclami, le belle parole, le campagne di sensibilizzazione. Bisogna agire e subito per fermare questa guerra. Non è accettabile l’indifferenza nei confronti della denuncia. Le donne vanno protette. Servono pene certe e sicure. Non a caso Beccaria parlava di “probabilismo”, sostenendo la necessità della prevedibilità e della certezza della legge, essendo l’unico modo per garantire sicurezza personale ai cittadini. Sicurezza che oggi non è garantita, soprattutto alle donne. Iniziamo a creare dei centri antiviolenza. Attiviamo campagne di sensibilizzazione partendo dalle scuole, insegniamo ai bambini ad amare sin da piccoli le donne, a coccolarle, ad amarle, ad accudirle e non ad odiarle, a possederle. Portiamo nelle scuole il monologo di Luciano Littizzetto, declamato durante l’ultimo festival della canzone italiana. Non aspettiamo un’altra vittima, non è possibile, tuteliamo la vita, la nostra. “Ne abbiamo una sola e non sette come i gatti.”

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E’ la vita,bellezza

giusy01Una storia di vita: Giusy Versace
Giusy Versace, un cognome imponente e forte, che rappresenta una delle famiglie più importanti italiane. Una famiglia importante, affermata, ma la vita è imprevedibile e gioca brutti scherzi. La vita non è solo bellezza ma anche dolore, dramma, talvolta tragedia. Giusy è ragazza giovane, bella come il sole del Mediterraneo e calabrese doc, perde le gambe in un incidente d’auto nel 2005. Giusy non era ancora la campionessa di oggi (malgrado avesse già conquistato il titolo regionale), ma il suo carattere era quello che l’ha poi portata ad affrontare tutto con grinta e determinazione: forte, pulita, coraggiosa, testarda. Una donna da una grande forza d’animo. Da quell’incidente nasce una donna ancora più forte e grintosa, determinata a vincere nella vita. Diventa una campionessa, Giusy, detiene il record italiano sui 200 metri (31”21) e, malgrado due stop forzati per motivi di salute, continua a migliorare i suoi tempi, allenandosi con impegno e passione. Ha una famiglia splendida, che la sostiene e la ama. Sono stata attratta dalla sua storia immediatamente, dalla forza con cui l’ha affrontata, dalla sincerità del racconto. Una persona forte e appassionata della vita, che non si è arresa neanche in un momento delicato e talvolta drammatico della sua vita, che non nasconde le proprie debolezze, ma le vive e le trasforma con la consapevolezza che siano la parte migliore del suo percorso. Una grande forza d’animo che l’ha portata a realizzare grandi cose, non solo in ambito sportivo, ma anche in quello del volontariato (http://www.disabilinolimits.org/). Dalla sua storia è nata una campionessa della vita, dal sorriso semplice e forte, un esempio di vita, ma ne è nato anche un libro “Con la testa e con il cuore si va ovunque”. Un libro intenso, da un grande impatto emotivo, che lascia spazio alle lacrime, ma anche ai sorrisi, proprio come Giusy, che nel suo libro racconta le situazioni buffe, fa sentire l’energia vitale che ci rende degni di essere definiti esseri umani. Ho voluto raccontare la storia di Giusy Versace, una donna che nell’immaginario comune tendiamo a pensare che non sia come noi, perché di un rango superiore, di buona famiglia, ma soprattutto immaginiamo che nelle grandi famiglie non ci siano tragedie e drammi, eppure ci sono, stile “anche i ricchi piangono”. Giusy Versace, è una donna, una ragazza come tante altre né più né meno, ha trovato solo in se stessa la forza e la grinta per ricominciare una vita ancora più grintosa, per raggiungere traguardi importi, per dimostrare a se stessa e agli altri che nella vita si corre sempre e comunque. Ho raccontato la storia di Giusy Versace, per dare forza ma anche con immensa ammirazione per questa grande donna e vi invito a leggere il suo libro tutto d’un fiato, per emozionarsi e sentire un brivido lungo la schiena, per capire la vita e il dono che tutti noi abbiamo.

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Perchè un blog?

Un blog sono pagine bianche, vuote e nulle che vanno riempite di parole,di informazioni,storie e racconti.Una finestra sul mondo vuole essere una finestra sull’attualità,sui fatti del giorno e del momento,vuole approfondire tematiche e fatti.

Da qui una nuova avventura … In questa prima stazione, un binario lunghissimo per un treno dai paesaggi variopinti,con sfumature dai colori più strani. Navigare, o comunque viaggiare, sperimentare, vivere, raccontare, provare… provarci. Questo è il principio di un percorso, ogni strada, ogni vita. Ogni sguardo guarderà tra di noi come da dietro a un immaginario vetro proiettato verso il futuro in un ricordo vivo del passato che rimane. Questa nuova avventura divisa tra il passato e il presente che guarda tra i nostri occhi e il calore della nostra anima. Questa è la prima stazione, altre ne arriveranno, con le soste, con le letture, con le lettere da scrivere e da inviare.

Un po’ per volta, come si usava molti anni fa, quando tutto si svolgeva più lentamente, con il sapore della serenità. Benvenuti in questo viaggio! Ogni qualvolta che vorrete, potrete scendere o salire a curiosare su questo strano treno di parole per osservare le tappe, le fermate e i sogni, che ho percorso,che mai… voglio smettere di percorrere. 

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