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Social freezing, Bianca Balti e non solo: molte donne decidono di congelare gli ovuli per essere madri

L’input mediatico e direi anche informativo alle donne lo ha lanciato la bellissima modella Bianca Balti, che in una sua ultima newsletter ha deciso di raccontare il suo percorso di caduta e rinascita: la fine di una relazione tossica che l’aveva privata dell’amore per se stessa e la decisione di riprendere in mano la sua vita, cominciando dalla scelta di congelare gli ovuli per rimandare un’eventuale maternità. “Ho deciso di non limitare la mia possibilità di diventare ancora madre alla presenza di quell’uomo e in generale di una relazione”, ha scritto. Il racconto della Balti arriva dritto a molte donne che si ritrovano nel vortice di una relazione tossica che spegne e annienta la femminilità e l’autostima di molte. Le sue affermazioni sanciscono il coraggio di affermare la propria indipendenza anche nel dire che non bisogna avere una relazione a tutti i costi. Informazione anzitutto per le donne affinché siano libere di scegliere oltre che essere padrone sempre del proprio corpo ma anche padrone della propria emotività, della loro psiche e del loro tempo nell’avere una relazione. Un pensiero quello della Balti che ci fa vedere la maternità sotto occhi nuovi e possibili, che con coraggio –direi- finalmente scardina un argomento tabù e che impone quasi sempre un solo e unico punto di vista animato spesso da stereotipi. Le affermazioni della Balti finalmente aprono le porte al social freezing, congelamento degli ovociti, tecnica per preservare la fertilità, garantendo alla donna la possibilità di avere figli anche quando, col passare degli anni, i suoi ovociti cominciano a diminuire. Una pratica medica ancora poco conosciuta e possibile, che in Italia è a pagamento, ad oggi il Sistema Sanitario Nazionale copre i costi solo in caso di crioconservazione per ragioni mediche. Secondo quanto spiegano i ginecologi,  gli ovuli nelle donne dopo i 35 anni non solo iniziano a diminuire ma cominciano anche a perdere di qualità. Per questo, prima di quell’età, le donne possono decidere di scegliere la crioconservazione degli ovociti, regalandosi la possibilità di non perdere il proprio potenziale riproduttivo e “fermando” il processo di invecchiamento degli ovuli. Una tecnica quella del social freezing scelta da molte donne in Italia, soprattutto giovani, che magari non hanno trovato il partner giusto oppure hanno per il momento altre priorità, ma non vogliono per questo precludersi la maternità. E’ senza dubbio una possibilità futura per le donne di vivere la maternità, che in molte donne scatta col tempo e con gli anni, forse anche quando non si ha un lavoro o un partner, e a malincuore si accantona un desiderio naturale e se vogliamo biologico. Perché mai se esiste una tecnica medica? Certo, bisogna informare, bisogna che arrivi alle donne e bisogna parlarne anche per sensibilizzare il sistema scientifico sui costi, che non essendo coperti dal sistema pubblico, rischiano di non essere alla portata di tutte. Ma, forse un piccolo passo grazie anche alla testimonianza della Balti è stato compiuto. Certo è, che non sono mancati i punti di vista differenti e le critiche, di chi vede in questo modo una maternità posticipata secondo i desideri ed i tempi della donna, o chi vede il social freezing come l’ennesima tappa dell’emancipazione femminile che vuole tagliare fuori dall’immaginario la figura maschile, senza comprendere che la maternità non è un ritmo serrato e obbligato, dove la donna deve piegarsi ad una relazione sbagliata o tossica, al momento e all’età giusta per diventare madre, quando è possibile farlo quando si è pronti anche se l’età biologica non lo consente, ma lo consentono gli ovuli congelati preventivamente. Pensateci.

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine Sociali per ildenaro.it)

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Non si ferma la piaga della violenza sulle donne, ancora troppe le falle nel sistema di tutela

Uccise in casa e fatte a pezzi, strangolate, violentate, pugnalate e massacrate di botte fino alla morte. Femminicidi vittime dei loro compagni, mariti, o di uomini che conoscevano appena. Umiliate, sottomesse, annientate da uomini maschilisti che confondono l’amore col possesso, vittime silenziose della violenza domestica, l’altra forma della violenza sulle donne: violenza psicologica che si fonde anche alla violenza fisica da parte di uomini che ogni giorno colpiscono psicologicamente la donna da amare e talvolta si scagliano fisicamente contro di loro, picchiandole e colpendole. Tra le mura domestiche di famiglie apparentemente felici e sane si nasconde terrore e violenza, anche quella assistita dai propri figli, che ogni giorno vivono di paura e d’angoscia, compromettendo la loro salute psico-fisica. Non è raro che molti bambini soffrono di disturbi del linguaggio, disturbi psico motori e del sonno. Crescita che rischia di minare la loro vita da adulti e le loro relazioni sentimentali. Il modello rischia di ripetersi: violenza su violenza, o subire la violenza perché quello è l’unico modello che hanno conosciuto. Violenza che diventa trasversale, quando l’uomo uccide un figlio per colpire la donna. E’ risaputo che l’unico amore indissolubile per una donna è quello per un figlio ed è proprio quelle creature che colpiscono gli uomini violenti per creare un dolore immenso alla donna. Ci sono donne che purtroppo sono vittime perché nelle loro famiglie la violenza è l’unica forma d’amore che hanno conosciuto. Nella mente la donna giustifica l’aggressore “se si arrabbia e mi picchia vuol dire che ci tiene”, o “era solo uno schiaffo ma non mi fa mancare nulla”. Il problema nasce nella relazione di coppia, la dinamica a due: in queste relazioni accade che la donna cerca di curare il suo partner giustificando gli atteggiamenti violenti quando è lei stessa che necessita di cure. A sua volta il compagno non cambia e aumenta l’escaletion di aggressività fino ad arrivare in alcuni casi anche ad ucciderla. Gli strumenti sociali e legislativi per aiutare le donne ci sono, ma spesso non bastano. Le leggi nascono in Parlamento e non a contatto con la realtà. La vittima viene supportata dai CAV – Centri Antiviolenza o in alcuni casi collocata insieme ai figli in una casa rifugio, un posto segreto, sentendosi quasi reclusa, costretta a nascondersi come se avesse commesso lei il reato mentre l’uomo è libero di vivere la sua vita sociale. In alcune realtà la donna non viene immediatamente supportata psicologicamente, rischiando di venire meno alla protezione, ritornando con i loro aguzzini. E’ un meccanismo arrugginito che spesso avviene nelle piccole realtà di provincia dove si è ancorati alle tradizioni e dove la violenza da parte degli uomini viene spesso giustificata. E’ importante che anche la mentalità cambi, abbandonando la logica del subire come avveniva nel passato, attivando percorsi di sostegno e supporto psicologico e morale a favore delle donne, lavorando nella ri-costruzione del sé fortemente indebolito dalla violenza nonché nel rafforzare le reti di supporto, iniziando dalla famiglia. Spesso le donne vittime di violenza si ritrovano totalmente isolate dai propri cari e dalle amicizie, l’uomo violento l’ha allontanata dagli affetti e dalle persone a lei care, è importante aiutarla a rinforzare queste reti. Nel frattempo l’Italia arranca in un fenomeno in continua crescita e che spaventa ogni giorno. Un mondo sommerso che rischia di non venire mai a galla. Nel mentre l’Italia ha dato vita al nuovo Piano antiviolenza, ispirato alle linee guida della Convenzione di Instabul. “3P”: prevenire la violenza, proteggere le vittime e perseguire i crimini. Presentato dalla ministra per le Pari opportunità, Elena Bonetti, che lo ha definito una bozza di intenti, nel quale ha aggiunto che andranno individuati “livelli di responsabilità, delle risorse occorrenti e della relativa tempistica. Vale a dire: ci vorrà tempo, frase che un po’ destabilizza. Il nuovo piano dovrebbe rafforzare le falle del precedente, perché vi esisteva un vecchio piano antiviolenza, e  dunque su pilastri: prevenzione, protezione e sostegno delle vittime, punizione dei colpevoli e assistenza e promozione. Tra le novità, c’è senz’altro, un’attenzione maggiore sul contrasto alla violenza economica attraverso l’educazione finanziariadelle donne con tirocini retribuiti e norme per favorire l’inserimento lavorativo al fine di realizzare l’obiettivo più generale dell’empowerment delle donne. Tra le priorità individuate dal piano c’è anche quella di aumentare il livello di consapevolezza nella pubblica opinione e nel sistema educativo e formativo sulle radici strutturali, sulle cause e sulle conseguenze della violenza maschile sulle donne e promuovere la destrutturazione degli stereotipi alla base della violenza. Perché una cosa è certa, senza dubbio bisogna intervenire ma bisogna anche prevenire lavorando sulle nuove generazioni insegnando loro il rispetto per sé e per gli altri senza distinzione di genere. Trasmettendogli il valore che la relazione a due deve essere un motivo di crescita, di confronto e di accettazione, non di possesso o vista come una violazione di confine.

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Non si ferma la piaga della violenza sulle donne, ancora troppe le falle nel sistema di tutela

Uccise in casa e fatte a pezzi, strangolate, violentate, pugnalate e massacrate di botte fino alla morte. Femminicidi vittime dei loro compagni, mariti, o di uomini che conoscevano appena. Umiliate, sottomesse, annientate da uomini maschilisti che confondono l’amore col possesso, vittime silenziose della violenza domestica, l’altra forma della violenza sulle donne: violenza psicologica che si fonde anche alla violenza fisica da parte di uomini che ogni giorno colpiscono psicologicamente la donna da amare e talvolta si scagliano fisicamente contro di loro, picchiandole e colpendole. Tra le mura domestiche di famiglie apparentemente felici e sane si nasconde terrore e violenza, anche quella assistita dai propri figli, che ogni giorno vivono di paura e d’angoscia, compromettendo la loro salute psico-fisica. Non è raro che molti bambini soffrono di disturbi del linguaggio, disturbi psico motori e del sonno. Crescita che rischia di minare la loro vita da adulti e le loro relazioni sentimentali. Il modello rischia di ripetersi: violenza su violenza, o subire la violenza perché quello è l’unico modello che hanno conosciuto. Violenza che diventa trasversale, quando l’uomo uccide un figlio per colpire la donna. E’ risaputo che l’unico amore indissolubile per una donna è quello per un figlio ed è proprio quelle creature che colpiscono gli uomini violenti per creare un dolore immenso alla donna. Ci sono donne che purtroppo sono vittime perché nelle loro famiglie la violenza è l’unica forma d’amore che hanno conosciuto. Nella mente la donna giustifica l’aggressore “se si arrabbia e mi picchia vuol dire che ci tiene”, o “era solo uno schiaffo ma non mi fa mancare nulla”. Il problema nasce nella relazione di coppia, la dinamica a due: in queste relazioni accade che la donna cerca di curare il suo partner giustificando gli atteggiamenti violenti quando è lei stessa che necessita di cure. A sua volta il compagno non cambia e aumenta l’escaletion di aggressività fino ad arrivare in alcuni casi anche ad ucciderla. Gli strumenti sociali e legislativi per aiutare le donne ci sono, ma spesso non bastano. Le leggi nascono in Parlamento e non a contatto con la realtà. La vittima viene supportata dai CAV – Centri Antiviolenza o in alcuni casi collocata insieme ai figli in una casa rifugio, un posto segreto, sentendosi quasi reclusa, costretta a nascondersi come se avesse commesso lei il reato mentre l’uomo è libero di vivere la sua vita sociale. In alcune realtà la donna non viene immediatamente supportata psicologicamente, rischiando di venire meno alla protezione, ritornando con i loro aguzzini. E’ un meccanismo arrugginito che spesso avviene nelle piccole realtà di provincia dove si è ancorati alle tradizioni e dove la violenza da parte degli uomini viene spesso giustificata. E’ importante che anche la mentalità cambi, abbandonando la logica del subire come avveniva nel passato, attivando percorsi di sostegno e supporto psicologico e morale a favore delle donne, lavorando nella ri-costruzione del sé fortemente indebolito dalla violenza nonché nel rafforzare le reti di supporto, iniziando dalla famiglia. Spesso le donne vittime di violenza si ritrovano totalmente isolate dai propri cari e dalle amicizie, l’uomo violento l’ha allontanata dagli affetti e dalle persone a lei care, è importante aiutarla a rinforzare queste reti. Nel frattempo l’Italia arranca in un fenomeno in continua crescita e che spaventa ogni giorno. Un mondo sommerso che rischia di non venire mai a galla. Nel mentre l’Italia ha dato vita al nuovo Piano antiviolenza, ispirato alle linee guida della Convenzione di Instabul. “3P”: prevenire la violenza, proteggere le vittime e perseguire i crimini. Presentato dalla ministra per le Pari opportunità, Elena Bonetti, che lo ha definito una bozza di intenti, nel quale ha aggiunto che andranno individuati “livelli di responsabilità, delle risorse occorrenti e della relativa tempistica. Vale a dire: ci vorrà tempo, frase che un po’ destabilizza. Il nuovo piano dovrebbe rafforzare le falle del precedente, perché vi esisteva un vecchio piano antiviolenza, e  dunque su pilastri: prevenzione, protezione e sostegno delle vittime, punizione dei colpevoli e assistenza e promozione. Tra le novità, c’è senz’altro, un’attenzione maggiore sul contrasto alla violenza economica attraverso l’educazione finanziariadelle donne con tirocini retribuiti e norme per favorire l’inserimento lavorativo al fine di realizzare l’obiettivo più generale dell’empowerment delle donne. Tra le priorità individuate dal piano c’è anche quella di aumentare il livello di consapevolezza nella pubblica opinione e nel sistema educativo e formativo sulle radici strutturali, sulle cause e sulle conseguenze della violenza maschile sulle donne e promuovere la destrutturazione degli stereotipi alla base della violenza. Perché una cosa è certa, senza dubbio bisogna intervenire ma bisogna anche prevenire lavorando sulle nuove generazioni insegnando loro il rispetto per sé e per gli altri senza distinzione di genere. Trasmettendogli il valore che la relazione a due deve essere un motivo di crescita, di confronto e di accettazione, non di possesso o vista come una violazione di confine.

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Condomini contro le case rifugio per donne vittime di violenza. Siamo davvero dediti al sociale?

Il claim risuona forte e spregiante: “via da qui, ci deprezzate le case”. I residenti di case di pregio della Roma Nord hanno manifestato tutto il loro dissenso per una casa rifugio per donne umiliate e vittime di soprusi della violenza maschile, che dovrebbe sorgere vicino alle loro case. Stando a quanto riporta nel suo virgolettato “Repubblica”, i residenti hanno affermato “noi in quel palazzo non le vogliamo: ci deprezzano il valore del bene, non sia mai che un giorno i nostri figli dovessero trovarsi in classe con i bambini di quelle donne, ci sono pure molti studi di professionisti in zona, ne risentirebbero anche loro”. Nulla è ancora deciso. Ma il putiferio è scaturito durante un sopralluogo della presidente di “Telefono Rosa” in uno degli immobili messo a bando dal comune di Roma per scopi sociali. E non è la prima volta. Un episodio analogo solo pochi giorni fa ai Parioli – zona di Roma- in una casa rifugio aperta in un appartamento-bene confiscato alle mafie. Episodi non isolati, già durante il lockdown un servizio del tg1 accendeva i riflettori sui condomini che rifiutavano le case rifugio per donne vittime di violenza. Storie di ingiustizia sociale che aggiunge violenza alla violenza, quella fisica e psicologica subita da donne e bambini tra le mura domestiche ora sotto protezione, si somma quella morale, donne disprezzate e umiliate da alcuni residenti che non le vogliono nel loro condominio. Fatti che offendono le donne a cui non viene riconosciuto il sopruso e la sofferenza, mortificandole ancora una volta senza ritegno e rispetto, ma si insulta anche il duro lavoro degli operatori e delle associazioni che con molta fatica ed energia lavorano ogni giorno per tutelare donne e bambini vittime di violenza, cercando di garantire loro un’alternativa alla loro difficile e segnata vita. La violenza sulle donne e di riflesso quella che subiscono i minori perché ne assistono o subiscono in prima persona, in Italia  i numeri sono spaventosi, a questi si aggiungono le donne del femminicidio. Il lockdown poi ha acuito molte forme di violenza domestica. Sono molte le donne che denunciano e lì dove non è possibile trovare una rete familiare dedita all’accoglienza per lei e per i suoi figli si attiva dopo la denuncia per maltrattamenti familiari il ricovero in case-rifugio, luoghi dediti all’accoglienza e che garantiscono un tetto ed una quotidianità alle vittime e ai loro bambini, un ricovero che può durare anche dei mesi; basato su un progetto che individua assistenza legale, psicologica e anche un percorso di reinserimento sociale. Secondo il dato raccolto da ActionAid il numero di donne che decidono di denunciare una violenza è in costante crescita. Un atto di coraggio, per decenni impensabile per tantissime donne, che probabilmente meriterebbero più rispetto e considerazione. Negatogli dall’uomo che avrebbe dovuto amarle, rispettarle e proteggerle, ma negatogli anche dalla società civile, che da sempre si è detta dalla parte delle donne, che si è detta società civile e sociale, ma che mostra tutt’altro che civiltà. Sembra un passo retrogrado. Queste donne per una parte di questi condomini sembra siano un ingombro, un disagio per chi non è disposto all’accoglienza, un comprensorio dedito al benestare che sbarra la porta alle donne che si vedono il rifiuto ad essere accolte in una nuova casa e in una nuova dimensione di vita. E’ una questione culturale e ancor di più di mentalità: queste donne per loro non fanno parte del loro mondo. Ma è un dispiacere enorme sentire alle soglie del 2021 queste offese in una società che si è detta aperta, in cui l’integrazione sembrava realtà. Ma troppi dubbi e troppe ingiustizie regnano per chi dalla vita ne ha subite già molte. Sono donne e bambini- spesso neonati o piccoli di pochi anni, che colpa ne hanno? Quale potrà esse il suo futuro? Nessuna colpa, se non quella dell’ignoranza e di una società che di civile e altruistico non ha dimostrato ancora nulla.

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine Sociali per ildenaro.it)

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