Umiliate, sminuite, picchiate, maltrattate, uccise. Un’ignobile guerra degli uomini contro le donne. Violenze ed omicidi che si consumano tra le mura domestiche e per mano dell’uomo che si è scelti in nome di un sentimento nobile: l’amore. Uomini che lasciano posto all’ossessione per la donna che professano di amare, diventando gelosi, aggressivi e violenti. L’uomo che diventa orco, un tormento, un calvario fatto di minacce, persecuzioni, telefonate, che cristallizzano le donne nella paura, che molto spesso subiscono in silenzio e la cronaca ci racconta l’epilogo, spesso, tragico. E’ un pugno dritto allo stomaco il mucchio selvaggio di foto di mariti, fidanzati, conventi e padri che hanno ammazzato la “loro” compagna di vita. Bacheche zeppe di madri, figlie, fidanzate, amanti assassinate, e da anni ci imbattiamo. Molti uomini divenuti assassini li abbiamo visti in salotti televisivi recitare un “copione” ben definito. Lacrime e parole amorevoli, inviti alle loro consorti, mentre, ormai erano già morte e per mano loro. Una carrellata di assassini. Facce normali. Facce semplici. Facce pulite. Facce serene e rassicuranti. Eppure covavano una ferocia in un’esistenza apparentemente anonima. L’amore e la passione non c’entrano nulla, né i “raptus” di follia. Gli omicidi di donne sono una vera e propria esclation di violenza, fino ad uccidere. Sono morti annunciate. Morte che camminano. Sono omicidi premeditati. Si resta sconcertati dinanzi alle storie e alle morti delle tanti, troppe donne mentre sembra inarrestabile questa guerra contro le donne da parte degli uomini. Troppo spesso al sospetto o alla certezza di un maltrattamento subito da una donna che conosciamo può suscitare sentimenti di rabbia o peggio, incredulità. Fare i conti con la violenza domestica significa mettere in gioco i propri sentimenti e pensieri, confrontarsi con i preconcetti e prendere una posizione. Questo non è sempre facile, soprattutto se si conosce la vittima e chi esercita violenza, perché, credere e denunciare, significa schierarsi dalla parte delle donne che subiscono violenza. Va detto che esistono dei campanelli d’allarme che possono essere facilmente riconosciuti e che possono aiutare a comprendere se una donna sta subendo violenza. Sono diversi gli indicatori: da un aspetto psicologico: stati d’ansia, stress, attacchi di panico, auto colpevolizzazione; ad uno stato comportamentale insolito e che non le appartiene: ritardi o assenze a lavoro, agitazione per l’assenza da casa, racconti incongruenti sulle ferite; infine, l’indicatore fisico: contusioni, bruciature, lividi. Bisogna aprire una strada verso il dialogo, anche se non siamo professionisti, mostrandoci attenti, pronti all’ascolto ed evitando le interruzioni: quando una donna si apre che sia l’amica o una conoscente con la quale ha rotto il muro del silenzio, è importante lasciarle tempo e spazio per esprimersi, improntando un dialogo di confronto con serenità, calma e tranquillità, ciò ci consentirà di capire meglio se chi conosciamo è vittima di una qualche forma di maltrattamento. E’ importante rapportarci a lei con l’intenzione reale di volerla aiutare prima di offrirle il nostro aiuto. Non si è mai conoscitori della violenza domestica ed è per questo motivo che è bene informarsi, documentandosi o confrontandosi con un centro antiviolenza. Non lasciamoci prendere da soluzioni rapide, definitive e semplici; spesso istintive e naturali. Mostrarsi partecipi e soprattutto crederle dimostrandoglielo e dicendoglielo è molto importante. Non stupirsi del fatto che il racconto può far emergere sentimenti incongruenti nei confronti del compagno nonostante il suo racconto di violenza. Ci sono donne che provano compassione, amore, ma anche odio e paura nei confronti del loro compagno. Si tratta di donne che tendono a giustificare la violenza da parte degli uomini o a colpevolizzarsi in prima persona, per cui bisogna aiutarla a farle capire che la violenza, qualsiasi essa sia non ha alcun motivo per esistere. Donne umiliate nell’animo, si sentono indebolite, fallite, nulle, ma bisogna farle capire che ogni donna è artefice della propria vita, della propria felicità e che ha un potenziale nel riemergere più forte di prima, più forte della violenza. Man mano che il discorso scorre è bene cercare di capire il clima casalingo, specie se vi sono armi in casa, servirà per chiarire la pericolosità della situazione che sta vivendo. E’ bene, se non siamo professionisti evitare di dare giudizi o consigli ma supportarla nel chiedere aiuto alle autorità ed ai professionisti competenti. Il nostro supporto, la nostra vicinanza diventano essenziali non solo per il clima di fiducia creatosi piuttosto perché si tratta di una donna che lentamente si è dissociata dalle amicizie, dal rapporto con l’esterno, isolandosi. Una delle minacce usate più frequentemente dal maltrattatore per ricattare la donna vittima delle sue violenze è quella di dirle che perderà i figli in caso di tentativo di abbandono o denuncia. Spesso è per questo motivo che la donna non denuncia, ma farle capire che la tutela dei suoi figli passa prima di tutto da un clima sereno in famiglia e che è e resterà una buona madre e di coraggio anche nel momento in cui denuncerà, è fondamentale per lei e per i suoi figli, che spesso assistono inermi alle violenze che le madri subiscono tra le mura domestiche. Propri i figli, nella maggior parte dei casi, sono la tenacia che manca alle donne per denunciare. Tutelarli e “farlo per loro” spesso diventa la spinta decisiva. Chiunque si avvicini ad una donna maltratta estraneo all’aspetto professionale dovrà essere consapevole che la donna potrà assumere qualsiasi decisione e questo esporrà chi è al suo fianco a qualunque rischio, per cui se la si vuole davvero aiutare, si deve cercare di essere pazienti e avere rispetto per le sue decisioni. Il supporto che si darà a chi vorremmo aiutare, unito a quello dei professionisti a cui la donna si rivolgerà sarà il percorso di rinascita di una donna che per troppo tempo ha vissuto in un clima di paure, incertezze, delusioni e maltrattamenti. Affiancarci ad una donna sola, vittima di una relazione malata, sarà l’atto più umano e più ricco della vita di ognuno, perché nessuno si salva da solo.
(Pubblicato sul mio blog Pagine Sociali per ildenaro.it)

Violenze, abusi, insulti. Ma, anche denutrizione, disabilità, danni psicologi permanenti: è il calvario delle piccole vittime dei casi di maltrattamento o abuso che ogni giorno, in silenzio si consuma nel nostro paese. Secondo una recente indagine realizzata da Telefono Azzurro in collaborazione con Doxa Kids, le violenze sui bambini e gli adolescenti sono sempre più diffuse. Accentuate dai rischi legati all’uso delle nuove tecnologie e dalla crisi economica, non vengono quasi mai denunciate. Nel 70% dei casi l’abuso si consuma fra le mura domestiche. Secondo l’OMS, l’Italia ha un indice di prevalenza di abusi e maltrattamenti del 9,5 per mille. Sono centomila i casi veri, presi in carico dai Servizi sociali. Non stime. Come prendere una grande città e riempirla di piccoli, e d’orrore. I casi maggiori al Sud Italia dove si registrano circa 273 casi di maltrattamento ogni mille minori, sui 155 del Nord. E dove, per via della difficoltà economica delle amministrazioni, i servizi sociali garantiscono sostegno alla metà dei bambini presi in carico dalle regioni settentrionali. Tra le violenze che colpiscono i piccoli la più frequente e all’apparenza la più innocua è la “trascuratezza”. È l’Organizzazione mondiale della sanità ad avere chiamato così l’assoluta incapacità da parte dei genitori di prendersi cura, materialmente e affettivamente, dei propri figli. E la trascuratezza è il mostro che nel 47% dei casi, nel nostro Paese, fa arrivare davanti ai giudici dei tribunali dei minori, e agli psicologi delle comunità protette, bimbi denutriti, con disabilità o ritardi acquisiti (fisici, linguistici, emotivi), incapaci di relazionarsi con gli altri. Scabroso quanto deprimente, il fenomeno del maltrattamento o dell’abuso sui più piccoli ha radici storiche, in passato i bambini venivano sacrificati agli dei, o vi era l’uccisione di bambini deformi o non desiderati ed era una pratica comunemente accettata e praticata. E’ nel ‘900 che si sviluppa la “cultura dell’infanzia” e si guarda alle violenze e negligenze ai danni dai minori. Si pose così attenzione alla famiglia maltrattante e abusante, alle sue caratteristiche e ai fattori di rischio, come ai fattori di protezione, al danno psicologico e fisico del bambino ed il modo meno traumatico per poterlo denunciare. E’ così che in ambito giudiziario vie ne accettata come prova il disegno, da sempre attività preferita dal bambino, ed è l’unico modo per far sì che il bambino esterni la violenza subita senza riviverla una seconda volta, evitando ulteriori traumi. Così viene introdotto in ambito giudiziario il reato di maltrattamento e abuso. Il codice penale italiano riconosce con la legge 66/1996 le “norme contro la violenza sessuale”, con tre ipotesi di reato: violenza sessuale, atti sessuali con minorenni, corruzione di minorenne. Un fenomeno in crescita, che spaventa, che dilaga. Un mondo sommerso che purtroppo non emerge, lo ha definito così il Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza della Regione Campania, Cesare Romano, qualche giorno fa, nell’ambito di una tavola rotonda dedicata al tema del maltrattamento e abuso sui minori. Il Garante ha esposto i dati di una ricerca condotta in vari comuni dalla Campania, Asl e ambiti territoriali, dove è emerso che ci sono duecento casi conclamati di abuso – “ma che in una proiezione statistica visto che era soltanto il 12% del campione arrivano facilmente a 300” – ha aggiunto. La tavola rotonda ha visto la partecipazione del pediatra, figura chiave e di congiunzione con le famiglie e Romano ha sottolineato l’importanza della formazione sui nuovi studenti di medicina ma anche la creazione di una rete di professionisti. Aspetto importante per Romano è quello sociale: “la formazione – ha detto -si fa nelle zone dove maggiormente emerge questo fenomeno, sicuramente si fa con un sostegno alla famiglia, si fa con interventi per i bambini e per le famiglie disagiate e nelle zone degradate”. Secondo la legge 184/83 tutti i Pubblici Ufficiali e gli operatori incaricati di Pubblico Servizio, sono tenuti a segnalare all’Autorità giudiziaria minorile le situazioni di pregiudizio, di disagio e di abbandono morale o materiale a carico dei minori. Assumono la qualifica di pubblici ufficiali: gli assistenti sociali, i medici, gli insegnati, gli psicologici, i quali, nel caso di ritardo od omissione di segnalazione o di denuncia all’autorità giudiziaria, si renderebbero responsabili, dei reati di “omissione di denuncia”. Ma in una logica di tutela del minore bisognerebbe andare oltre la denuncia, bisognerebbe attivare sin da subito tutte le misure atte alla protezione del bambino, già dalla presa in carico dai Servizi Sociale, spesso ciò non avviene, sia perché l’intervento degli assistenti sociali avviene dopo molto tempo dalla segnalazione, causato di assistenti sociali che non riescono a fronteggiare le segnalazioni ed il lavoro quotidiano, sia perché i comuni spesso non hanno la possibilità economica di collocare al di fuori della famiglia dove avvengono gli episodi di maltrattamento e abuso, i bambini. Per cui il fenomeno si scontra con la mancanza di personale e di servizi, questo non fa nascere attorno al minore vittima una rete di persone familiari e professionali ma anche di servizi atti a supportarlo e ad aiutarlo a rielaborare quanto subito per creare un adulto più sereno e meno problematico.