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Donne impronta della vita e del sociale

foto per copertina blogL’otto marzo, Festa della Donna in tutte le sue sfumature, torna dalla scena politica, a quella culturale, passando per la scena artistica. La festa profumata di mimose è diventata, complice di movimenti di empowerment femminile per rafforzare il ruolo della donna nella società, una realtà uniforme ma ricca di significati. La scienza dice che altro che parità, l’8 marzo sarebbe il caso di festeggiare il primato femminile in diversi campi e settori della vita sociale e lavorativa: secondo la scienza le donne sono multitasking, sorridono di più e sanno degustare meglio il vino. Non solo: felicemente solitari e orgogliosamente nerd, sono almeno dieci i settori che vedono le donne primeggiare. Se la scienza motiva il nostro genere, la ricorrenza ci riporta alla realtà della disuguaglianza e della violenza di genere. E c’è chi in 70 cortei scenderà in piazza contro la precarietà e le discriminazioni. Contro i ruoli imposti nella società fin da piccole, contro i ricatti sul lavoro che generano molestie e violenze, per un reddito di autodeterminazione, un salario minimo europeo e un welfare universale. Dalle virago in carriera anni ’80 alle moderne mamme “pancine”, dalle edoniste alle rivoluzionarie, che combattono l’Isis ed il consumismo, dalle spregiudicate single metropolitane alle tante spose e figlie prigioniere dei vincoli familiari: e così dalle nobildonne alle single metropolitane, negli anni, la storia ha costruito modelli per le donne. Ma ogni giorno le donne giocano una sfida, ed una di queste avviene nel sociale, mostrando il volto di un’Italia in cui le donne non sono costrette alle quote rosa ma sono parte integrante e dirigente di aziende e cooperative sociali. Da Nord a Sud, disegnando il volto di un Paese che si è “disabituato a volere”. Si unisce così il Nord con la tradizione delle cooperative sociali e il coraggio dell’impresa rosa del Sud, specie nel napoletano, con la determinazione dei centri antiviolenza. Un popolo femminile operoso e silenzioso che tesse la rete del welfare italiano. Femminile plurale per la nuova economica e così si tesse la tela della cooperazione sociale nelle mani delle donne. Un mondo esattamente contrario a quello che siamo abituati a vedere tutti i giorni. Non è solo quello del 50% di disoccupazione femminile, non è solo quello costretto alle quote rosa per ottenere un minimo di rappresentanza, non è solo quello della condizione salariale discriminante né quello – vergognoso – del 9% nei ruoli dirigenti in rosa. E’ un paese in cui il lavoro si coniuga con i tempi e i diritti di genere: nelle cooperative sociali c’è il 70% di occupazione femminile e il 50% di donne nei consigli di amministrazione, senza dimenticare che per “Legacoopsociali” sono le donne presidente e vicepresidente nazionali. Una pagina femminile e sociale che si coniuga perfettamente con l’esempio di decine di donne che hanno fatto la storia del lavoro sociale. Da Maria Gaetana Agnesi a Gisela Konopka passando per il premio nobel Jane Addams. Donne che hanno scritto pagine importanti nel settore del welfare a livello nazionale ed internazionale seguendo sempre un’ideale di giustizia, rispetto e uguaglianza. Esempio che non possono restare un bel proclama e la storia moderna ci mostra l’esempio di cooperative divenute “ascensore sociale” per le donne, creando una rete femminile in grado di superare le difficoltà e generare nuove opportunità di lavoro e ricchezza, non solo nel nostro paese ma anche in molti paesi in via di sviluppo. Confcooperative in prossimità dell’8 marzo ha snocciolato alcuni numeri relativi all’occupazione femminile che registra nel settore il 61% degli occupati nelle sue imprese, dove la governance femminile si attesta al 26%. I dati mostrano come in Italia le cooperative sono uno dei pochissimi ascensori sociali per le donne ed i giovani. Sguardo puntato anche sulle cooperative nelle zone in via di sviluppo che sono impegnate a trasferire knowhow dei modelli produttivi per innescare sviluppo sul territorio, rendendo protagoniste le donne delle comunità locali. L’obiettivo è raggiungere l’uguaglianza di genere e favorire l’empowerment di ragazze e donne come previsto da Agenda 2030, perché non rappresenta solo un diritto umano fondamentale, ma la condizione necessaria per un modello di sviluppo di cui tutti potranno beneficiare e le donne, specialmente in contesti di povertà, sono quelle che conferiscono la maggior parte della forza lavoro, sono le più affidabili nelle restituzioni dei crediti e sono quelle che giocano un ruolo chiave nei processi di inclusone e di integrazione nei territori. Insomma, un potere femminile infinito anche in un campo come il sociale che ha bisogno di sorrisi, energia e tenacia, che sembrerebbe provenire proprio dalle donne.

(Articolo pubblicato per il mio blog Pagine sociali per ildenaro.it)

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Quando la terra trema c’è anche l’assistente sociale. Il lavoro di emergenza tra le macerie

IMG_0217Una notte come tante, quella di martedì 25 agosto 2016, una notte che segnerà e colpirà, creando una ferita nel cuore e nelle vite di molti italiani. Interminabili minuti di paura, che sconvolgono e distruggono gran parte del Centro Italia. Il terremoto nella sua furia spazza via case, interi paesi, cancellando borghi, storie e talvolta vite. Quel che resta è il silenzio del dolore, la desolazione e cumoli di macerie che tracciano una ferita in più nella vita degli italiani. Le immagini che le televisioni ci propongono sono forti, spaventano, eppure mostrano un popolo composto che sa fondere paura e razionalità, nonostante il tragico momento, in cui il bilancio delle vittime sale di ora in ora, di giorno in giorno. Ci sono momenti così, nella storia degli uomini, dove si reagisce con l’emozione oltre che con la razionalità, perché l’emozione sveglia, incita a stare all’erta. Quell’emozione che smuove quanti per lavoro o semplicemente per impeto agiscono, accorrono nelle zone terremotate per dare il loro contributo, per fornire il loro personale aiuto. Sono i volontari o più comunemente “angeli”, che sfidano la paura, l’angoscia, il senso di smarrimento per aiutare chi nel terremoto ha perso tutto o chi farà i conti con la terra che trema ogni notte. A condividere per mesi il dramma della perdita della quotidianità, la fatica e le delusioni della ricostruzione, lo sforzo di tornare ad una normalità di vita dopo un evento destabilizzante, destrutturante come un terremoto, ci sono anche gli assistenti sociali, che ricoprono un duplice ruolo: curare le ferite piscologiche, con l’ascolto, la comprensione, l’empatia; ed i bisogni sociali, legati ai sussidi economici, alle richieste di assistenza, supporto agli anziani, ai minori. Un “pronto intervento sociale”, in cui il servizio sociale interviene come connettore di rete in grado di raccogliere i diversi bisogni portati dai cittadini colpiti dall’emergenza per attuare interventi idonei ad aiutare la popolazione ad affrontare meglio il momento di crisi. Assistenti sociali che arrivano sul luogo del terremoto quando i riflettori si spengono, quando il ricordo inizia a svanire nelle menti degli altri. L’assistente sociale arriva nei luoghi terremotati dopo le prime 72 ore. All’inizio la cosa più importante è non fare danni ma lasciare fare: persone competenti affinché facciano il proprio lavoro, ovvero, salvare vite. Passate le prime emergenze, inizia il lavoro dell’assistente sociale, che per codice deontologico è chiamata a mettersi a disposizione in queste situazioni. Il vantaggio di intervenire in questi momenti è conoscere d’anticipo la popolazione per il quale si lavorerà: si conoscono già le situazioni di fragilità, anziani soli, minori rimasti soli per il quale bisogna avviare una procedura d’affido. L’obiettivo principale è evitare l’acuirsi di disagi già presenti, cosa non sempre facile, perché si parla di zone ormai orfane di ogni via di comunicazione, di ogni tipo di struttura. L’assistente sociale arriva e lavora, quando le tende dei volontari si smontano e restano le problematiche: pensate a persone in misura alternativa al carcere o a ragazzi minorenni rimasti senza famiglia. Aiutare le famiglie a guardare avanti. Dunque, supporto, prospettiva e counselling sono le parole chiavi della professione di fronte ad un contesto crollato, ad un ambiente rotto, a delle relazioni rotte, perché prima di tutto è necessario ascoltare, capire, interpretare gesti, movenze, disegni dei più piccoli, che nascondono paure, fragilità, speranze nel futuro. Il ruolo dell’assistente sociale è un lavoro chiave specie in queste situazioni, in quanto può riportare un equilibrio, ristabilire il funzionamento sociale delle persone, ma per ognuna servono strumenti adeguati e bisogna individuarli, per farlo però c’è bisogno di ascolto, di comprensione, di un setting, ovvero, di un ambiente idoneo, improntato alla dignità, all’intimità e alla riservatezza. Un lavoro che non è solo, ma anello di un ingranaggio perfetto, di un lavoro di rete, in collaborazione con i medici di base, psicologi, neuropsichiatri, insegnati ed educatori. E’ importante che si cerchi di creare soprattutto per i più piccoli una normalità, fatta anche dalla scuola, quindi più che mai è importante il lavoro di rete con gli insegnanti, che dovranno anche fungere da supporto psicologico per i più piccoli. Non solo piccoli ma anche adulti, ed è anche a loro che l’assistente sociale porta il suo supporto, accogliendo le paure, le angosce del futuro, cercando di essere tramite con la parte amministrativa e politica, anche perché un’unica certezza accomuna chi è sopravvissuto al terremoto: non abbandonare il proprio paese. In effetti, le persone non vanno allontanate da quello che rimane delle loro vite e del loro passato. Un’esigenza che anche i politici devono abbracciare. La soluzione più economica non sempre è ottimale nel lungo periodo: le risorse vanno utilizzate con criterio ed intelligenza. Bisogna ricostruire e non creare marginalità. Arginare difficoltà non fa che crearne delle altre, talvolta più complesse.

Pubblicato su “ildenaro.it”

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Click e Rec…intervistando

Qualche mia intervista per Medianews24

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