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Adolescenti: perché mettono in gioco la loro vita?

Spaesati, disorientati, con uno stop forzato alle loro passioni, il futuro una grande incognita, questa la vita degli adolescenti di oggi, che tra covid, precarietà e socialità virtuale, vivono i loro anni. I social i loro fedeli amici, oggi più che ieri, in questo tempo sospeso e distanziato, i social e le amicizie virtuali sono diventati la loro realtà di vita, il pericolo è però dietro l’angolo, li attira e talvolta li affascina. Due ragazzini che si tagliano la faccia per assomigliare a Joker. Bande di teenager che si azzuffano in piazza, da Gallarate a Roma, senza neppure un motivo. E poi la droga che torna ad essere un tema e un pericolo dopo la serie “SanPa” su Netflix. Sono circa venti i bambini – come ha riportato anche di recente “il mattino” di Napoli- che dal mese di ottobre ad oggi in concomitanza con la seconda ondata di pandemia sono giunti al Santobono di Napoli in preda a gravi disturbi psichiatrici. Stesso allarme lanciato anche dall’Ospedale Bambin Gesù di Roma che registra un’impennata di psicopatologie collegate, drammaticamente, anche ad alcuni tentativi di suicidio. Poi il fenomeno “TikTok”, un social in cui vengono lanciate “challenge”, balletti, giochi e cose del genere: un influencer di spicco o un utente molto seguita lancia una sfida e tanti suoi follower (seguaci) parteciperanno. Ma dilagano sfide molto più pericolose, come la black out challenge, che è una sorta di gara di apnea fino a svenire: in periodo pandemico, per la noia, i più giovani possono essere ancora più vulnerabili. La rete un mondo vasto, affascinante, trainante, iperstimolante ed ipereccitante. Un territorio senza specifiche difese che diventa rischio e può davvero fare molto male. Appare preoccupante nonché diffuso il fenomeno tra i giovanissimi di mettersi in mostra con azioni audaci, che a volte hanno esiti tragici. L’assunzione di comportamenti a rischio in adolescenza è un fenomeno sempre esistito, oggi alla ribalta per i pericoli connessi all’uso delle tecnologie e per i recenti casi di cronaca nera. Un tempo vi erano le corse in motorino o film dell’orrore, per “regalarsi” il brivido della paura. Questa ricerca della paura è un tentativo anche inconsapevole di avere un controllo attivo sulla morte. Non si tratta di trasgressione ma di tollerare le delusioni. Le nuove generazioni crescono con l’ideale incurcatogli di avere tanti amici, di essere popolari e di essere sempre primi, e quando diventano adolescenti non si sentono mai abbastanza popolari e belli. I figli vanno educati all’autorevolezza dei genitori ma non a 13 anni, troppo tardi! Bisogna crescerli da bambini nelle regole, nei confini, limitare il loro uso alla tecnologia che va controllato sempre da un adulto. E con l’adolescenza bisogna vedere una nuova nascita del proprio figlio. Il cervello dell’adolescente è come se scaricasse nuovi programmi. Fondamentale è l’ascolto dei genitori, senza mai confrontarsi con il loro tempo d’adolescenza. Non essere mai giudicanti. Ascoltare talvolta la loro musica anche se non si condividono i loro gusti musicali. Bisogna avere il coraggio di non chiudere un occhio quando si ha il sentore o la certezza che il proprio figlio abbia una dipendenza da sostanze stupefacenti. Se la situazione è fuori dal controllo dell’adolescente, bisogna intervenire, accettando anche il conflitto. Tossicodipendenza, alcool, atti di autolesionismo, sono tante le forme di dipendenza ai nostri giorni, una guerra per alcuni genitori, ma si può vincerla. I genitori devono tornare ad avere il controllo della vita dei loro figli, porre dei paletti, anche se questo costa fatica e conflitto generazionale, affidarsi ai professionisti quando la situazione peggiora e necessita di aiuto esterno, che aiuterà i genitori a partecipare alla cura dei figli. I ragazzi non devono pensare di essere soli nella crescita ma seguiti con attenzione e amore. Genitori e figli dovrebbero dedicarsi tempo, tempo vero fatto di cose da fare insieme, da vivere insieme, cenando anche insieme, abitudini e tempo che ormai sembra lontano alle famiglie di ieri e che forse andrebbe ritrovato e vissuto.  

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine Sociali per ildenaro.it)

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“L’uomo nero” fa paura. Cresce in Italia l’insofferenza per lo straniero

untitledBambini stranieri esclusi dalla mensa scolastica e dallo scuolabus, frutto di nuovi adempimenti burocratici introdotti dalla sindaca di Lodi, Sara Casanova, ora al vaglio del Tribunale per incostituzionalità. In un men che si dica la macchina della solidarietà si è messa in moto contro la fredda burocrazia, raccogliendo 60 mila euro in pochi giorni, consentendo ai bambini stranieri obbligati dal provvedimento a non potersi sedere a mensa con i compagni italiani, di potersi integrare anche durante il pasto ai loro compagni di scuola. Il paese è il subbuglio, scenderà in piazza, perché nonostante le rassicurazioni dei due vicepremier, il provvedimento non è stato ancora ritirato. Il provvedimento, richiede alle famiglie extracomunitarie un documento reddituale rilasciato dal loro paese d’origine, una sorta di dichiarazione dei redditi rilasciato dallo Stato di provenienza. Qualora si è impossibilitati al recupero in Patria, i genitori dei piccoli saranno costretti a pagare la mensa in fascia massima altrimenti per il pranzo dovranno riportare i figli a casa o optare per il pasto a sacco che i piccoli consumeranno in un’altra aula, lontano dai loro compagni. Per ottenere il contributo regionale sull’acquisto dei testi scolastici in Veneto, i cittadini non comunitari devono presentare, oltre alla certificazione Isee, un certificato sul possesso di immobili o percezione di redditi all’estero rilasciato dalle autorità del Paese di provenienza. E’ quanto riportato sulle “istruzioni per il richiedente” pubblicato sul sito della Regione. I certificati dovranno essere presentati entro questa settimana. Non una norma anti immigrati, ci tengono a sottolineare dalla regione Veneto, che precisa di applicare solo la legislazione nazionale in materia di erogazioni e contribuiti e chiede ai comuni di rispettarla. A Firenze, una circolare diramata della Prefettura dispone il rientro dei profughi nei centri di accoglienza entro le venti e l’apertura dei pacchi postali destinati agli ospiti immigrati alla presenza degli operatori. Insorgono le opposizioni, sui social spopola l’indignazione, ma nel frattempo cresce un clima di insofferenza verso lo straniero: dalle politiche più restrittive sino all’atteggiamento repressivo degli italiani. Secondo i più recenti rapporti dell’ Ecri (European Commission Against Racism and Intollerance), in tutta Europa aumentano gli episodi di razzismo. Ma cosa c’è alla base di questo risveglio di paura, odio e risentimento contro gli immigrati che arrivano nel nostro Paese? E’ solo insostenibilità dei bilanci economici e del welfare? Per rispondere alle domande si può ipotizzare che tale stato d’animo nasca da un difficile rapporto, di alcune fasce della popolazione, con l’alterità, e la crescente capacità di presa di discorsi pubblici che apparentemente riconoscono le differenze, ma che in realtà finiscono per gerarchizzarle e radicalizzarle. Si tratta di una nuova forma di razzismo che non ha più come bersaglio una “razza biologica connotata” ma le differenze in quanto tali e il diritto ad esercitarle nello stesso panorama sociale. L’immigrazione, in quanto generatrice di differenze, è diventata così il fulcro del discorso razzista del nostro tempo. Su tutto continua a pesare, probabilmente, l’incompleta elaborazione del passato recente dell’Italia ovvero delle esperienze coloniali, delle leggi razziali e della collaborazione col nazionalsocialismo. Pesa anche la distorsione con cui si parla oggi di immigrazione, ormai diventata un fatto prevalentemente mediatico. L’immigrato diventa così un facile bersaglio perché appartenente ad un’altra cultura, proviene da un’altra nazione, è portatore di una condizione economica povera, arriva da aree del mondo lontane e svantaggiate, è percepito come un “pericolo”, un “concorrente” anche quando lavora e svolge lavori dequalificati. Eppure in un passato non poco lontano anche gli italiani sono stati immigrati, forse la “colpa” dello straniero è quella di ricordare un passato che a lui accomuna e che si preferisce rimuovere perché costringerebbe a mettersi in discussione. Il percorso dell’Italia multiculturale non è facile ma è indispensabile iniziare a costruirlo rielaborando questi aspetti dell’immaginario collettivo e sostenendo una coraggiosa idea di convivenza civile che dovrà attuarsi in una società sempre più differenziata. L’immigrazione è un’opportunità, non è solo un problema. Ma va gestita. C’è da chiedersi se è più facile pianificare gli ingressi così da poter negoziare con l’Europa o è più facile rendersi insofferenti e individuare misure che rendano difficile l’integrazione e la pacifica convivenza in una società multiculturale. Che il tempo, ci dia una risposta.

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine Sociali per ildenaro.it)

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