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Napoli, un mare di design al Nauticsud 2017

20170219_165139.jpgIn uno dei luoghi più suggestivi della Campania, Napoli, la città più grande d’Italia, nonché una delle più famose del Mediterraneo. Sede di un grande e prestigioso porto commerciale, conosciuta per le scogliere e le spiagge della riviera di Chiaia e Mergellina, per gli storici lidi di Posillipo, per la grande spiaggia di Coroglio- Bagnoli, Napoli, rilancia il salone Nauticsud. Dopo una sospensione durata quattro anni, la fiera storica dell’ente partenopeo riparte e con grande successo di pubblico: nel primo week end, oltre 14 mila persone hanno fatto tappa alla Mostra d’Oltremare di Napoli. La nautica si lascia alle spalle la tempesta ed il Nauticsud rilancia il settore. Dall’acquascooter agli yatch, passando per i nuovi gommoni ad alta tecnologia, sposando design ed eleganza.

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C’è tutto il meglio della nautica italiana alla quarantaquattresima edizione del Nauticsud 2017, che alla Mostra d’Oltremare partenopea è pronta ad accogliere tra professionalità e brand di successo appassionati ed esperti del settore fino al 26 febbraio: 400 le imbarcazioni in esposizione in un’area di circa 300 mila metri quadrati, in cui c’è tutto l’indotto, dagli accessori agli arrendi, per un settore che certo non è di nicchia, perché i dati confermano una ripresa del comparto del circa 1,7% del Pil nazionale e registra circa 3 miliardi di euro di fatturato, di cui il 67% ottenuto sui mercati esteri. Cresce la cantieristica, migliora il mercato interno, tirano un sospiro di sollievo gli armatori: per la prima volta aumentano i contratti di leasing. Napoli, dunque, si conferma madrina del mare e della nautica, diventando capitale europea del settore nautico, trovando nello storico marchio della Mostra d’Oltremare la sua migliore vetrina. In pochi giorni di esposizione il Nauticsud ha riconquistato una dimensione nazionale di primo piano. Molte le novità in esposizione per l’edizione 2017. Il cantiere “Salpa” che presenta la doppia versione del 23 piedi fuoribordo ed entro bordo per il campeggio nautico, mentre, “Gagliotta” , presenta il gioiello di casa: la nuova linea Lobster, dal 35 ai 42 e 48 già in fase di realizzazione. Presente anche il brand “Fiart” con gli ultimi modelli di ritorno dalle fiere estere, mente, “Italiamarine” presenta in anteprima nazionale Sanremo24, presentato già a Parigi con grande successo. Per i gommonauti c’è la partecipazione in grande stile, di MV Marine, che presenta gommoni tecnologicamente innovatici, più veloci e con meno consumi. Al Nauticsud presenta una gamma evolutiva di battelli pneumatici: Mito 31, Vesevus 35 e Mito 45. Le unità pesano il 30% in meno della media, riducendo consumi ed emissioni a vantaggio del costo di esercizio e dell’ambiente. Sobrio ed elegante il design, i materiali impiegati sono di alta qualità, le carene sono apprezzate per la navigazione sempre morbida ed asciutta. Studio e sperimentazione in collaborazione con la facoltà di ingegneria navale dell’università Federico II di Napoli, hanno permesso in sintonia ai raid estremi, alla leggerezza dei manufatti, di garantire dei gommoni tra i migliori in termini di consumi. MV Marine si conferma anche per gli ottimi materiali, per la qualità costruttiva e per l’uso degli accessori utilizzati di risparmiare nel tempo sui costi di manutenzione. Caratteristiche che hanno permesso a MV Marine di conquistare il mercato europeo ed americano. Il Centro Nautico Marinelli  esporrà in anteprima assoluta il nuovo modello di gommoni Luxury 5,80, Performance Mare i marchi Yamaha con tutta la gamma, tra cui i nuovi F100F e F25G Aquabat. Non manca l’indotto tra cui la “Soft Marine”, leader nelle tappezzerie, oggi leader del settore dei superyatch. Per gli amanti degli yatch c’è “Rio Yacht” che torna nella città di Napoli con i suoi tre gioielli Espera, Paranà e Colorado. Tornato nella fascia alta del mercato, Rio, si è specializzato nella produzione di barche di lunghezza compresa tra i 10 ed i 20 metri, creando scafi contemporanei, innovativi nel design e nei contenuti. Uno dei gioielli da sogno è “Colorado 44”, 14 metri, un soffitto scorrevole in cristallo, con una motorizzazione in linea d’asse con motori Cummins QSB 6.7 che permettono velocità brillanti e consumi moderati. Eccellenze, brand di successo, professionalità, competenza, ampia scelta tra barche, gommoni, yatch, il Nauticsud sposa la tecnologia moderna, nuovi sistemi per la gestione delle fonti energetiche di bordo, comprese quelle rinnovabili, con progetti che abbinano l’elettronica e la potenza. Insomma, una risalita del settore nautico che fa ben sperare per il futuro, con una sensazione di rinascita per la nautica.

Articolo pubblicato su “il denaro” versione in Pdf. 16997790_1864340503855142_8679133938714517936_n20170219_195706.jpg

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Parto anonimo, per la Cassazione il figlio può cercare la madre

6834932-strumenti-moderni-giornalista-computer-portatile-bianco-taccuino-e-una-penna-profondit-di-campo-messCon la maggiore età, il figlio di una madre che ha voluto partorire in totale anonimato ha il diritto di andare a cercarla. Lo ha stabilito di recente la Corte di Cassazione. I giudici sono intervenuti su un argomento al quanto delicato, sulla quale si sta discutendo da quattro anni, da quando la Corte Costituzionale nel 2013, aveva dichiarato illegittime le norme che impediscono, per motivi di privacy di risalire ed interpellare la mamma biologica. E’ da allora che si aspetta l’intervento del legislatore. I lavori sono iniziati dopo che alla procura della Cassazione era arrivata una richiesta di chiarimento dell’Associazione dei magistrati per minorenni e la famiglia, il primo presidente Giovanni Canzio aveva chiesto un pronunciamento alle Sezioni Unite, vista la particolare rilevanza della questione. Prima della pronuncia della Cassazione, i tribunali avevano deciso in modi del tutto diversi, in molti tribunali era stata respinta la richiesta di interpello perché in attesa dell’intervento del legislatore per dare corso alla richiesta del figlio, che il giudice interpelli in via riservata la madre naturale facendole presente la sua volontà di non essere nominata. In tribunali come Trieste, Piemonte e Valle d’Aosta è stata concessa la possibilità di interpello riservato anche senza la legge in forza dei principi dettati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e per effetto della sentenza di illegittimità costituzionale de 2013. La sentenza di Cassazione sgombra il campo da tante ipotesi e scelte diverse, infatti, si legge che, nonostante “il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa”, c’è “la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione.” Stando i dati forniti nello scorso anno dal tribunale per i minori di Roma, su quindici istanze presentate prima della pronuncia della Cassazione, di figli che hanno chiesto alle madri di rimuovere l’anonimato, tredici donne hanno accettato e due hanno detto di no. Libertà di scelta. Il verdetto colma il vuoto normativo ma colma anche il desiderio di tanti bambini, oggi uomini e donne che nonostante una famiglia adottiva solida e amorevole, nonostante la loro età adulta ed il percorso di vita, sentono un vuoto che risale alle loro origini, un vuoto fatto di domande che cercano una risposta, un vuoto che vuole ricercare il volto di quella mamma che li ha messi al mondo. Una sentenza che fa gioire anche tante “mamme anonime”, che finalmente potranno far cadere quel velo segreto, felici di poter ritrovare i figli abbandonati, mentre, altre mamme decideranno di rimanere “mamme segrete”, preferendo il ricordo della nascita ed il dolore, nella maggior parte dei casi, dell’abbandono, facendo sì che molte buste, con i dati del dramma dell’abbandono, restino di nuovo blindate. Per sempre. Nei cassetti di un tribunale.

 

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L’Italia, il paese dei comuni sciolti per mafia. La metà si trova in Campania

IMG_0217Poche righe: tre per l’esattezza nel comunicato stampa di resoconto della seduta venerdì mattina (27/01/2017) del Consiglio dei Ministri. Poche parole che sanciscono l’epilogo della lunga vicenda giudiziaria e dell’esperienza politica di Pasquale Aliberti, sindaco di Scafati. Il Consiglio dei Ministri ha deciso di sciogliere per infiltrazioni mafiose il consiglio comunale di Scafati. Il provvedimento che da Roma approda nella cittadina salernitana è solo l’ennesimo che sancisce un’Italia sciolta per mafia. Un paese dai Comuni sciolti per collusione con la criminalità organizzata. Dal 1991 anno in cui fu approvata dal Parlamento italiano la legge 221, sono 258 i comuni sciolti per mafia, per una media di uno ogni mese. Da circa un quarto di secolo ogni mese un municipio viene commissariato per infiltrazioni della criminalità organizzata, è questa la fotografia dei comuni italiani dal 1991, anno in cui è stata introdotta la speciale legge che prevede il commissariamento per i comuni in cui viene accertata l’infiltrazione della criminalità. Spulciando l’elenco dei comuni sciolti per mafia, si passa dai piccoli municipi ai comuni come Reggio Calabria, che detiene il triste record. La legge sullo scioglimento delle amministrazioni “a rischio infiltrazioni mafiose” non ha fatto sconti, e dal 1991 al 2014, nella sola Calabria, tra giunte e consigli mandati a casa su richiesta delle prefetture calabresi sono state 79. La Calabria si pone al secondo posto tre le regioni italiane nella quale la legge è stata applicata, con una situazione leggermente migliore in Campania e leggermente peggiore della Sicilia. L’ultimo caso in ordine di tempo è quello di Platì, comunità dell’entroterra della locride, dove nessuno vuole fare più il sindaco convinto che il comune sarebbe comunque sciolto per mafia a causa della nomea dovuta all’elevata densità mafiosa o delle parentele scomode. Di fatti, a Platì, tranne qualche piccola parentesi, dal 2003 non c’è un’amministrazione, a poco sono servite le elezioni della scorsa primavera. Nessuna lista si è presentata alla competizione elettorale. Con dati alla mano, si nota, come dall’entrata in vigore della legge sono oltre 4 mila gli scioglimenti “ordinari” , municipi che per vari motivi hanno interrotto la loro attività in via ordinaria, per dimissioni dei consiglieri, mozioni di sfiducia, o tutto ciò che prevede l’articolo 141 del testo unico sugli enti locali. Ma tornando alla legge, il risultato della sua applicazione è impressionante: 175 enti sciolti ogni anno, vale a dire un comune commissariato ogni due giorni. Ma nella lista dei comuni sciolti per infiltrazioni, la metà si trova nella sola Campania. Gli ultimi in ordine di tempo sono Boscoreale e Brusciano, per sospette infiltrazioni e condizionamenti della criminalità organizzata. Dal 1991 anno dopo anno, decreto dopo decreto, la Campania ha iniziato a collezionare il triste primato del maggior numero di amministrazioni colpite da questa nuova arma nella lotta alla criminalità organizzata. Dal 1991 circa la metà, 44,3% dei provvedimenti di scioglimento adottati in Italia, hanno interessato enti campani, cinquantanove in tutto, dodici dei quali nel corso degli anni sono stati sciolti ben due volte. Località essenzialmente concentrate sono tra la provincia di Napoli e Caserta. Quasi mezzo milione di abitanti, risiede nel territorio di comuni campani attualmente commissariati.

 

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Il dramma dei bimbi del Rigopiano: cosa succede ora ai piccoli orfani

6834932-strumenti-moderni-giornalista-computer-portatile-bianco-taccuino-e-una-penna-profondit-di-campo-messErano lì coi loro genitori per qualche giorno di vacanza, guardavano la neve bianca candida e ai loro occhi era lo spettacolo della natura, il freddo era l’occasione imperdibile per vederne scendere più e più, morbida e avvolgente. Edoardo, Samuel e i fratellini Parete, Gianfilippo e Ludovica: sono questi i nomi dei bambini dell’hotel Rigopiano. Per loro si è rinnovato il miracolo della vita, seppur resta difficile parlare di miracolo, se non altro considerati tutti i dispersi e il bilancio delle vittime, per loro questo è un vero miracolo. Nei loro occhi restano le immagini della tragedia, la loro vita resterà accumunata a questa tragedia: sono rimasti intrappolati tra la neve e le macerie, il loro rifugio è stata la bolla d’aria che li ha protetti sino all’arrivo dei soccorritori, che con tenacia ed esperienza hanno lavorato contro ogni avversità climatica, aiutando i piccoli dell’hotel Rigopiano a “rinascere”, passando attraverso un buco scavato dal ghiaccio. Le braccia dei soccorritori hanno ricordato ai bambini le braccia di mamma e papà con un’immensa voglia di abbracciare i loro genitori. Drammaticamente non a tutti i bambini dell’hotel Rigopiano è toccata la fortuna di riabbracciare i loro genitori. La famiglia Parete si è riunita in ospedale, nella stessa stanza. Mentre, il piccolo Edoardo ha dovuto fare i conti con la tragica notizia della morte dei suoi genitori. Dopo la battaglia contro la morte, il piccolo dovrà ora combattere contro la solitudine, il ricordo, il rimpianto di essere rimasto solo improvvisamente. Rimasto solo dopo la vacanza anche il piccolo Samuel, i suoi genitori dapprima dispersi sono stati ritrovati senza vita in quel cumolo di macerie e neve. Oggi i piccoli dell’hotel Rigopiano stanno fisicamente bene, hanno superato quella leggera ipotermia, ma sono psicologicamente provati. Difficilmente i bambini piccoli riescono ad inquadrare e a metabolizzare velocemente un evento tanto traumatico, nella disperazione iniziale, sopraffatti dalla paura, potrebbero crearsi un mondo tutto loro in cui trovare conforto. Dimenticare per loro sarà difficile. Per loro comincia ora il momento più difficile, supportati da un’equipe di psicologi che accompagneranno i bambini nell’elaborazione del lutto e del dolore, cercando di accantonare i ricordi del buio e delle macerie miste alla neve e al gelo. Sarà, invece, compito degli assistenti sociali, supportati dai psicologi trovare una famiglia ai piccoli, si cercherà tra i familiari più stretti: i nonni o si opterà per gli zii, in base alla disponibilità e al legame affettivo esistenti prima della tragedia. Si cercherà di poter assicurare a questi bambini la continuità affettiva, l’appoggio emotivo e la stabilità di una famiglia che dia loro un indirizzo ed un insegnamento, ma che li aiuti ad elaborare il lutto, esternandolo anche: aiutati dalle famiglie e dagli esperti del settore. Un’assistenza che deve prolungarsi nel tempo, affinché eviti lo sviluppo di disturbi da stress post traumatico che potrebbero portare, ad esempio per i bambini rimasti orfani ad un isolamento sociale. Il primo approccio servirà ad evitare la cronicizzazione degli effetti del trauma, cercando di bypassare lo stress post traumatico. Ovviamente c’è già un’equipe di psicologi a lavoro sull’effetto immediato, il problema sarà il post, il non lasciarli soli a distanza di tempo dall’evento. Nel caso dei bimbi rimasti soli ed orfani, l’assistenza post evento diventa alquanto importante e necessaria, un’assistenza anche per chi si prenderà cura di loro, un sostegno alle funzioni genitoriali, supportati dagli assistenti sociali. Il supporto ai bambini dell’hotel Rigopiano è alquanto complesso, non ci sono solo bambini che hanno perso i genitori, ma i piccoli di Rigopiano hanno vissuto per giorni in un cunicolo al buio e al freddo. L’intervento e le possibili conseguenze dipendono dall’ambiente che verrà costruito intorno a loro, il rischio è che diventino anaffettivi, che abbiano difficoltà ad esprimere affetto, tendendo a isolarsi. C’è da dire che i bambini hanno una grande capacità di recupero. Per i sopravvissuti, c’è anche il rischio di vivere un vero e proprio senso di colpa, di essere sopravvissuto a discapito di persone che invece non ce l’hanno fatta, che nasce dal pensiero di non aver fatto di tutto per poter salvare quelle persone, per poterle aiutare. Anche in questo caso il sostegno psicologico deve essere mirato e sostenuto nel tempo.

(Articolo pubblicato su “ildenaro.it”)

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Fondo non autosufficienze, il Governo investe 500 milioni per incrementarlo

img_0217Un incremento di 50 milioni per il fondo non autosufficienza, che arriva così a 500 milioni: è l’ultima buona e inaspettata notizia del 2016 per le persone affette da grave disabilità, contenuta nel decreto legge firmato dal Consiglio dei ministri il 23 dicembre. Il decreto di somma urgenza, contiene misure volte ad affrontare situazioni di criticità, col Sud in testa, si prevedono infatti ammortizzatori sociali a tutela dei lavoratori dell’Ilva, 70 milioni per le strutture sanitarie dell’area di Taranto, un piano di misure di carattere assistenziale e sociale per le famiglie disagiate dell’area di Taranto, da 30 milioni di euro su 3 anni. Il decreto aumenta complessivamente il fondo per la non autosufficienza rispetto allo scorso anno di 100 milioni.

 Che cos’è? Il fondo nazionale per la non autosufficienza è una forma di finanziamento ripartita a livello nazionale che permette di erogare annualmente risorse economiche alle Regioni, per garantire alle persone non autosufficienti, che necessitano dell’aiuto di altre persone o a persone affette da grave disabilità, i livelli essenziali di assistenza, senza sostituire le prestazioni sanitarie.

Chi ne usufruisce? In Italia sono 2.615.000 le persone non autosufficienti. Si tratta di uomini e donne che presentano una totale mancanza di autonomia per almeno una delle normali funzioni che consentono di condurre una vita quotidiana normale. Perché, se si considerano anche le persone che hanno bisogno di aiuto, anche in parte, per svolgere attività essenziali come alzarsi da un letto o da una sedia, lavarsi o vestirsi il numero sale di molto fino a quasi sette milioni, circa il 13 per cento dell’intera popolazione. Osservando il campione in dettaglio, si scopre che gli anziani disabili di età superiore ai 65 anni rappresentano il 18,7 per cento, mentre sale il numero degli over 80: 44,5 per cento suddiviso tra il 35,8 per cento di uomini e 48,9 per cento di donne. Secondo i dati forniti dall’ Istat.  È a questa fetta di popolazione che le Regioni erogano gli aiuti finanziati dal Fondo.

Come ottenerlo? Per usufruirne è necessario che la persona non autosufficiente certifichi la sua condizione di invalidità totale o l’handicap grave ed il suo reddito. Quest’ultimo viene calcolato dal modello ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente), che consente non solo di considerare il reddito della persona richiedente ma anche la ricchezza derivata dall’aiuto familiare che potrebbe nascere nelle situazioni di difficoltà.

Dove richiederlo? Il modulo di domanda può essere ritirato presso gli sportelli dei Distretti Socio Sanitari o scaricati dai siti delle Asl, alla domanda và allegato: La domanda deve avere in allegato:

  • certificazione di handicap di cui alla legge 104/92 art. 3 comma 3, copia del verbale di accertamento di invalidità civile al 100% e indennità di accompagnamento,
  • se trattasi di persone gravi, in alternativa alla legge 104/92 è possibile presentare certificazione rilasciata da strutture ospedaliere o ASL,
  • certificazione ISEE,
  • copia del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, nel caso di cittadino extracomunitario.

La domanda và riconsegnata al Distretto Sanitario sarà poi l’Unità di Valutazione Multidisciplinare (UVM) del Distretto Socio Sanitario accerta il grado di non autosufficienza del richiedente e lo inserisce in graduatorie differenziate per persone anziane e persone disabili, in relazione al valore ISEE, alla gravità della non autosufficienza ed alla situazione sociale, dando priorità a coloro che non fruiscono di altre risposte assistenziali o socio-sanitarie.

L’erogazione della misura è subordinata alla disponibilità dei fondi assegnati dalla Regione  ai Distretti Socio Sanitari.

(Articolo pubblicato su “ildenaro.it)

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Il sociale nel 2016, tris di leggi per la disabilità

6834932-strumenti-moderni-giornalista-computer-portatile-bianco-taccuino-e-una-penna-profondit-di-campo-messDal “dopo di noi” al fondo per le non autosufficienze, passando per i nuovi Lea, il 2016 si conferma l’anno delle leggi per la disabilità. Leggi importanti, molto attese da famiglie ed associazioni e arrivate in porto dopo un lungo e travagliato lavoro anche di confronto. Un terno di leggi sociali per la disabilità, in ordine di tempo, la prima ad essere stata approvata è stata quella del “Dopo di noi” seguita dal decreto sui nuovi Lea e sul finire dell’anno è stato incrementato il fondo per la non autosufficienza. Con la legge n.122 del 22 giugno 2016 è nato il “Dopo di noi”, la legge stabilisce la creazione di un fondo per l’assistenza e il sostegno ai disabili privi dell’aiuto della famiglia e agevolazioni per privati, enti e associazioni che decidono di stanziare risorse a loro tutela. Sgravi fiscali, esenzioni e incentivi per la stipula di polizze assicurative, trust e su trasferimenti di beni e diritti post-mortem. Ogni anno, poi, entro il 30 giugno il ministero del Lavoro e delle politiche sociali ha l’obbligo di presentare una relazione per verificare lo stato di attuazione della legge. Spetterà, inoltre, al Governo produrre sul tema adeguate campagne di informazione. Il fondo, stando a quanto riporta la legge è compartecipato da regioni, enti locali e organismi del terzo settore. Avrà una dotazione triennale di 90 milioni di euro per il 2016, 38,3 milioni per il 2017 e 56,1 milioni dal 2018. Promessi e mai definiti, sul finire dell’anno dal Ministero della Salute, sono nati i nuovi Lea (Livelli Essenziali di Assistenza), che con sé hanno portato anche la definizione del nuovo Nomenclatore delle protesi. I Livelli Essenziali di Assistenza vengono definiti in tre ambiti: “prevenzione collettiva”, “assistenza distrettuale” e “assistenza ospedaliera”. Altra novità è stato il nuovo nomenclatore sull’assistenza protesica, insieme all’aggiornamento degli elenchi delle malattie croniche e delle patologie rare. Una novità importante visto dal 2001, data a cui risale il vigente decreto ad oggi, sono stati tanti i progressi in ambito protesico-tecnologico, medico e scientifico. Il decreto però è stato criticato aspramente e bocciato dalle principali associazioni per la disabilità, che ritengono che il testo sia largamente insoddisfacente.

Gli ultimi giorni del 2016 hanno accompagnato una novità giuridica: l’aumento del Fondo per la non autosufficienza, il decreto legge che contiene misure urgenti volte ad affrontare situazioni di criticità. Il fondo passa così da 450 a 500 milioni, come il ministro Poletti aveva promesso il 30 novembre durante il Tavolo straordinario con associazioni e sindacati, convocato per scongiurare nuove proteste del Comitato 16 novembre. Soddisfazione solo parziale, però: “I 50 milioni sono un contentino, scaturito dall’ennesimo nostro presidio di protesta, che ha messo alle strette il governo, il quale ci avrebbe altrimenti liquidato con 450 milioni – commenta Mariangela Lamanna, vicepresidente del Comitato 16 Novembre – Ma il Fondo è ancora insufficiente, 500 milioni non bastano e lo sappiamo tutti – rilancia Lamanna – Bisogna lavorare, anche il prossimo anno, per aumentarlo, come il governo si era impegnato a fare, promettendo 200 milioni in più per il 2017 e ulteriori 200 per il 2018”. La richiesta per il nuovo anno è quindi che “il fondo arrivi, nel corso del 2017, a 600 milioni, anche con interventi straordinari. Come sempre, vigileremo affinché questo accada”.

Insomma, un anno di leggi per il sociale, che se da un lato potenzia gli aiuti ed il sostegno alla disabilità, dall’altra parte si trova a fare i conti con le leggi dimenticate anche nel 2016, sono infatti fermi al Senato il ddl di riforma della legge 91/92 e la legge sui minori non accompagnati. Italiani senza cittadinanza. Un nulla di fatto per due attesi provvedimenti. 

(Articolo pubblicato su “ildenaro.it”)

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Dulcis in Fundo, quando il cioccolato è questione di legalità

img_0217Siamo a Casal di Principe, in provincia di Caserta, dove in un bene confiscato alla camorra, che prima apparteneva ad un boss, è nata la cioccolateria sociale “Dulcis in Fundo”, i cui cioccolatai sono persone molto speciali, sei giovani affetti da disabilità. Il progetto ha la firma della cooperativa “Davar” , che gestisce la cioccolateria dallo scorso Ottobre. L’esperienza di “Davar Onlus” nata nel 2003. La cooperativa sociale ha preso vita grazie all’incontro di alcuni ragazzi dell’Azione Cattolica della Parrocchia di San Nicola di Casal di Principe, la chiesa di Don Peppe Diana, il sacerdote assassinato il 19 marzo 1994, giorno del suo onomastico, nella sacrestia della sua chiesa mentre si apprestava a celebrare la santa messa. Un camorrista lo affrontò con una pistola e cinque proiettili vanno a segno: due alla testa, uno al volto, uno alla mano ed una al collo. Don Peppe Diana morì all’istante, lasciando ai giovani un testimone: credere nella legalità. Così i giovani della cooperativa sociale “Davar” hanno lanciato questa gustosa iniziativa con lo scopo di promuovere l’inserimento di ragazzi disabili nel mondo del lavoro, favorendo non solo il ritorno all’artigianato ma soprattutto utilizzare la cucina come strumento terapeutico, che consente di stimolare i sensi e la sperimentazione, così i ragazzi riescono a fare dei progressi e a migliorare soprattutto le loro condizioni sotto l’aspetto psicologico. Non solo inserimento lavorativo, ma grazie a questa cooperativa sociale, un bene confiscato alla camorra riesce a vedere la luce, diventando simbolo di legalità, di riscatto, grazie anche alla regione Campania, che ha finanziato i lavori di ristrutturazione, con l’aiuto anche di “Fondazione con il Sud” nell’ambito del progetto “La res” rete economica sociale, che ha provveduto al cofinanziamento delle attrezzature. Sei giovani con disabilità e difficoltà diverse ogni giorno, specie nei giorni prenatalizi lavorano a pieno regime, tra cioccolato e pasticcini d’ogni genere: qualcuno è paraplegico, qualcuno ha qualche ritardo psichico, qualcuno un ritardo nello sviluppo, ognuno di loro ha una storia dura e dolorosa alle spalle, per loro questa non è solo un’occasione di lavoro ma è sinonimo di autonomia ed indipendenza. Lasciando fuori dalle mura del laboratorio i pregiudizi, producendo solo speranza. Prima del grande passo in laboratorio i ragazzi hanno seguito un corso di formazione, di tre mesi, con un maestro cioccolataio, perché in “Dulcis in fundo” si lavora solo cioccolato puro: al latte, bianco e fondente, solo un prodotto di qualità. Manca ancora un passaggio: i ragazzi non sono assunti, percepiscono solo un rimborso spese, al momento sono tante le spese ed il cioccolato non può essere ancora venduto, se non in qualche mercato comunale e le persone che riescono il valore del cioccolato prodotto da “Dulcis in fundo” si recano direttamente in laboratorio lasciando un’offerta a loro piacimento. Servirebbe una rete commerciale, una rete di punti vendita che supporti e venda nei propri negozi questo cioccolato prodotto in un laboratorio dove l’unica sindrome di cui è affetto è quello della golosità.

 

Articolo pubblicato su: “ildenaro.it”

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Scuole insicure, da Nord a Sud scuole inagibili

img_0217Doppi turni a scuola, come nel Dopoguerra. Succede a Pagani, in provincia di Salerno, dove dall’inizio del mese di ottobre, quando è stata riscontrata una instabilità nel solaio della scuola materna-elementare “A. Manzoni”, circa 1200 bambini sono stati trasferiti e “ammassati” in un unico plesso, la succursale “G. Rodari” . I doppi turni non sono però bastati a garantire le aule per tutti, così ai genitori della scuola dell’infanzia è stato chiesto di portare i bambini solo in giorni alterni, “tanto non c’è l’obbligo di frequenza”è stato detto loro. Inutile sottolineare le conseguenze sull’equilibrio psico-fisico dei bambini in primis e per i genitori in secundis. Di fatti i bambini hanno perso di vista la continuità didattica, mentre, la dirigente minaccia denunce a chi non manderà i figli a scuola. I genitori così si sono rivolti al Garante per l’Infanzia. Da palazzo di città si lavora da settimane per una soluzione alternativa, attraverso anche una serie di tavoli di concertazione con i genitori, da settimane però la soluzione è difficile da trovarsi, seppur sembra fattibile uno spostamento dei bambini in vari altri plessi scolastici della città. Intanto in 300 hanno già chiesto il nullaosta per il trasferimento dei propri figli. Eppure a poche ore dal suono della prima campanella per il nuovo anno scolastico il governo aveva pubblicizzato investimenti sull’edilizia scolastica, parlando di successi delle nuove scuole, assicurando agli studenti e ai docenti, scuole nuove e belle, ma la cronaca racconta tutta un’altra realtà. Da Nord a Sud dell’Italia si registrano nei soli primi tre mesi di scuola crolli e disagi. Nel bresciano nelle scorse settimane quindici bambini e due maestre sono state ricoverati in ospedale a causa dei miasmi. Ad Enna gli allievi di un liceo di scienze umane sono costretti a frequentare le lezioni al liceo classico, con i turni pomeridiani, dopo l’inagibilità dichiarata dai vigili del fuoco. A Palermo, gli studenti sono costretti a seguire le lezioni all’interno di uno scantinato, un seminterrato della parrocchia. Crolli anche in una scuola in provincia di Torino e di Venezia, dove sono crollati i soffitti, a poche settimane già dall’inizio della scuola. Dal Sud al profondo Nord la musica non cambia, le scuole sono inagibili ed insicure, eppure nelle settimane che precedono l’inizio dell’anno scolastico, dai comuni ci sono i controlli di routine da parte dei tecnici, mentre si verificano crolli ed instabilità. Situazioni di pericolo, che spingono i sindaci a decretare la chiusura degli istituti scolastici delle loro città, così si allunga la lista dei crolli e delle ordinanze, secondo i dati recenti raccolti da “Cittadinanzattiva” nel rapporto sulla sicurezza, la qualità e l’accessibilità a scuola negli ultimi tre anni si sono registrati 112 crolli con 18 feriti. Le regioni più coinvolte sono la Lombardina con 16 incidenti, segue il Veneto (12), la Sicilia (11) e la Toscana (10). Solo nello scorso anno si contano 31 crolli di solai, tetti, controsoffitti, distacchi di intonaco, caduta di cancelli e ventilatori: episodi che uniscono il Nord ed il Sud Italia, i piccoli comuni così come le città. Le scuole restano insicure e gli investimenti sulla sicurezza degli edifici scolastici restano al palo o in attesa, mentre negli occhi e nella mente abbiamo le immagini del crollo della scuola di San Giuliano di Puglia o anche il crollo della scuola che doveva essere antisismica ad Amatrice, solo un caso fortuito ha evitato la tragedia.

Articolo pubblicato su: “ildenaro.it”

 

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Neonati abbandonati alla nascita, la nuova emergenza italiana

img_0217Rifiutati alla nascita e consegnati al loro destino, nel bagno di un fast food o nel cassonetto dell’immondizia, come è accaduto pochi giorni fa a Napoli, dove gli agenti della polizia insospettiti dalle macchie di sangue, hanno bloccato la donna che stava per sbarazzarsi del bambino appena partorito nella spezzatura, mettendo in salvo la piccola creatura. Bambini abbandonati, meno spesso, purtroppo, lasciati nelle culle della vita, le moderne “ruote degli esposti”, una quarantina ad oggi in Italia tra ospedali, parrocchie e centri di assistenza. Sono circa 3000, secondo un’indagine della Società italiana di neonatologia, i neonati abbandonati ogni anno nel nostro Paese. Il 73% è figlio di italiane, il 27 di donne immigrate, in gran parte tra i 20 ed i 40 anni, mentre le minorenni rappresentano il 6 per cento. Gli abbandonati in ospedale sono 400. Bilancio in linea con i recenti fatti: Maria Sole è una delle ultime neonate abbandonate, è stata ritrovata la mattina del 30 novembre scorso a Villa Literno, avvolta in una coperta, abbandonata in una scatola, fuori da un negozio di frutta e verdura. Aveva fra le 48 e le 72 ore di vita. Dietro i casi “da nera” tante storie simili, segnate da disagio, disperazione, solitudine, con conseguenze a volte irreparabili. Perché dall’angoscia di non poter accudire ed amare il figlio indesiderato all’infanticidio: il passo è terribilmente breve. La “culla della vita” per gli abbandonati, se la propria creatura la si affida al mondo, diventa l’unica scelta. In Italia ne esistono diverse: a Varese, Milano, Firenze, nate da un progetto pilota del Policlinico Calino di Roma. La “culla della vita” richiama alla “ruota degli esposti” posta al di fuori dei conventi, aveva una forma a bussola girevole, di solito costruita in legno, divisa in due parti chiuse per protezione da uno sportello: una verso l’interno ed un’altra verso l’esterno che, combaciando con un’apertura su un muro, permettesse di collocare, senza essere visti dall’interno i bambini indesiderati. Facendo girare la ruota, la parte con l’infante veniva immessa nell’interno dove, aperto lo sportello si poteva prendere il neonato per dargli le prime cure. Spesso vicino alla ruota vi era una campanella, per avvertire chi di dovere di raccogliere il neonato, ed anche una feritoia al muro, per imbucare lettere, offerte e sostenere chi si prendeva cura degli esposti. La prima ruota nasce in Francia, nell’ospedale dei Canonici di Marsiglia nel 1188. In Italia arrivarono intorno al 1806 col napoleonico regno italico, fu chiamata “rota proiecti” venne ufficialmente istituita anche nei comuni dell’Italia Meridionale per la tutela pubblica dell’infanzia abbandonata. Una ruota degli esposti era in realtà già presente a Napoli: quella della Santa Casa dell’Annunziata, di cui esistono documenti d’immissione risalenti al 1601. L’abolizione delle ruote avvenne intorno al 1800, si discusse molto in quegli anni visto anche l’aumento demografico e le “ruote” pesavano non poco sulle casse pubbliche, poiché spesso venivano affidati all’assistenza pubblica anche i figli legittimi. Oggi, tornano più che mai attuali e se ne sente sempre più l’esigenza per evitare abbandoni drammatici e per sostenere il diritto alla vita delle creature. La culla per la vita è un segno di speranza, è scegliere la vita anche nell’abbandono, un segno per dire che c’è una possibilità di far vivere quel bambino, anche nella scelta dolorosa dell’abbandono. Questo è il primo compito delle culle, che poi offrono un servizio concreto. Una mappa completa delle culle per la vita in Italia non c’è, sono circa 50 stando ai numeri forniti dal Movimento per la Vita. Ad oggi si richiedono più culle per la vita e anche come chiesto giorni fa da Marco Griffini, presidente di AiBi, ma Griffini chiede anche una legge che abolisca il reato di abbandono del minore, perché ad oggi una madre può essere ricercata ed accusata di abbandono del proprio figlio. I recenti casi di abbandoni ci spingono però a riflettere quanto la crisi economica e dei valori abbia preso il sopravvento tanto da minacciare e spaventare uno degli eventi più belli e significativi di una donna: dare al mondo un figlio.

Articolo pubblicato su: “ildenaro.it”

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Consulta, scelta storica: al via per il nascituro il cognome della madre

img_0217Sentenze sempre più storiche, destinate ad adattarsi ad una società sempre più moderna, che sconvolge canoni e valori, che si adatta ai corsi e ricorsi storici. Dopo la sentenza storica, che ha decretato la bigenitorialità, arrivando a condannare qualche settimana fa una mamma romana, che negli anni aveva allontanato il proprio figlio dal papà, sentenziando così il diritto – dovere di entrambi i genitori di tutelare il rapporto con i figli e di intervenire nella loro educazione, anche in caso di separazione o divorzio. Una nuova sentenza arriva pronta a entrare nel guiness storico: via libera al cognome della madre per i figli. La Corte ha dichiarato illegittima “l’automatica attribuzione” di quello paterno in presenza di una diversa volontà dei genitori. Una vittoria femminile e soprattutto delle madri. Ora i figli potranno portare il cognome materno accanto a quello del padre dal giorno in cui vengono al mondo. Senza pratiche burocratiche, attese. Sempre se tutti e due i genitori lo vogliono. A sancirlo la Corte d’Appello di Genova che ha accolto la questione di legittimità costituzionale sollevata sul cognome del figlio e ha dichiarato illegittima la norma che prevede l’automatica attribuzione del cognome paterno, in presenza di una diversa volontà dei genitori. In caso di mancato accordo tra i neo genitori sembra che il bambino terrà il cognome paterno. La questione non è tutt’ora normata per legge, esiste, però, una proposta di legge, approvata dalla Camera nel 2014, sepolta però da due anni al Senato. La sentenza della Consulta, arriva dopo anni in cui l’Europa tirava le orecchie all’Italia e forse questa sentenza spingerà sui tempi di approvazione della legge in Senato. La legge, infatti, andrà a normare tra le diverse vedute dei genitori: nel caso di mancanza di identità di vedute tra i neo genitori, o di battaglia per quale cognome mettere per primo, questa legge, prevede l’ordine alfabetico. Ancora una volta è un tribunale prima e la Consulta poi a tracciare la strada, un varco, delineando il cambiamento e riconoscendo le richieste che provengono dalla società.

Fino ad oggi come funzionava? Sino ad oggi per il doppio cognome si faceva ricorso alla Prefettura, così come avviene quando il proprio cognome è ridicolo o offensivo. Ma la concessione è a discrezione. Nel caso di alcune coppie conviventi, hanno scelto di far riconoscere il piccolo prima alla madre e poi in secondo momento al padre in modo che potesse portare entrambi i cognomi.

Non è la prima volta. Storico il momento, storica la sentenza. Non è infatti la prima volta che una coppia si rivolge alla Consulta chiedendo di poter attribuire il doppio cognome al figlio. Già nel 2006 la Consulta aveva trattato un caso simile, in cui si chiedeva di sostituire il cognome materno a quello paterno: in quell’occasione i giudici pur definendo l’attribuzione automatica del cognome del papà “un retaggio di una concezione patriarcale della famiglia” , dichiarò inammissibile la questione sottolineando che spettava al legislatore trovare la strada risolutiva. Legge che ancora giace in Senato.

Dunque, oggi, se vogliono e per fortuna anche le madri possono dare al figlio il proprio cognome. Che è quello del proprio padre. Tanto per dire.

 

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