Il governo Gentiloni mette mano alle politiche sociali con un drastico taglio sociale. Un doppio taglio sia al Fondo Politiche Sociali che al Fondo Non Autosufficienza in virtù dell’accordo fra Stato e Regioni. Vita indipendente, assistenza domiciliare, asili nido e servizi per la prima infanzia, misure di contrasto alla povertà, vengono meno. Mentre, diminuisce anche il Fondo per le politiche sociali che oggi tocca quota 5% delle risorse che erano state stanziate nel 2004, l’anno del massimo storico. Il taglio ormai è certo, resta però la speranza che il presidente del consiglio Paolo Gentiloni possa intervenire. I tagli sono più che mai sostanziali: il fondo nazionale per la non autosufficienza vedrà una sforbiciata di 50 milioni di euro, scendendo per il 2017 da 500 a 450 milioni, annullando così l’aumento che il Parlamento aveva promesso sul finire del 2016. Ne risente in modo peggiore anche il Fondo per le politiche sociali che dai 311,58 milioni stanziati nell’ottobre 2016 scende a 99,7 milioni di euro. Un taglio che sembra nascere dall’accordo Regioni e MeF, ma che vede scomparire molti servizi dei quali essenziali. I tagli vanificano di fatto il Fondo Non Autosufficienza nato con la legge 296/2006, destinato a “garantire l’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni assistenziali da garantire su tutto il territorio nazionale con riguardo alle persone non autosufficienti.” La nozione di non autosufficienza fa riferimento allo stato di disabilità avanzato che non permette alle persone di svolgere le normali funzioni della vita quotidiana, necessitando di un supporto assistenziale, solitamente ne beneficiano anziani e disabili. Quindi, le risorse contenute nel FNA sono dirette a potenziare l’assistenza domiciliare, che crea la condizione affinché la persona possa continuare a vivere a casa propria, ma finanzia anche l’acquisto di servizi di cura e di assistenza, quando è svolto dai familiari o interventi complementari al percorso domiciliare – brevi ricoveri in strutture di sollievo. Il Fondo fornisce risorse di supporto a quelle già esistenti dalle Regioni e dagli enti locali e servono a coprire la parte sociale dell’assistenza sociosanitaria. I tagli ricadrebbero su tutte queste prestazioni che non potranno così più essere garantiti o in minima parte. Il ridimensionamento economico tocca anche il Fondo Politiche Sociali, previsto dalla legge 119/1997 e ridefinito dalla legge 328/2000. Il fondo stanzia finanziamenti per tutti gli interventi di assistenza alle persone e alle famiglie ma regge anche i finanziamenti ai Piani Sociali Regionali e Piani Sociali di Zona, che hanno il compito in ogni territorio di disegnare una rete integrata di servizi alla persona rivolti all’inclusione dei soggetti in difficoltà, o comunque all’innalzamento del livello di qualità della vita. Il Fondo riesce a finanziare una molteplicità di cose: servizi di cura delle persone, in particolare di cura dell’infanzia e degli anziani non autosufficienti, servizi e misure per favorire la permanenza al proprio domicilio, servizi per la prima infanzia, servizi territoriali comunitari, servizi residenziali per le fragilità, misure di inclusione sociale e di sostegno al reddito, interventi e servizi a contrasto della povertà e dell’esclusione sociale. Una parte del Fondo nazionale per le politiche sociali destinata al Ministero del lavoro e delle politiche sociali finanzia da anni un programma di prevenzione dell’allontanamento dei minorenni dalla famiglia di origine. La crisi spinge a tagliare, quindi a sottrarre servizi e diritti agli utenti, annullando ogni possibilità di aiuto, caricando ancor di più le famiglie e le persone in stato di difficoltà. Un cane che si morde la coda ma a farne le spese sono le famiglie e i soggetti in stato di bisogno in un Stato assente e carente di risorse finanziarie.
Pubblicato su “il denaro.it”
Tutele per gli orfani di femminicidio, la Camera, ha approvato la legge che tutela i figli rimasti privi di uno o entrambi i genitori a seguito di un crimine domestico. Lo spirito della norma si muove attorno alla certezza che la violenza familiare, gli omicidi domestici e i femminicidi sono un fenomeno diffuso in Italia e lo Stato ha il dovere di contrastare sia sul piano culturale che giudiziario, e le istituzioni devono guardare anche alle conseguenze che questi crimini determinano sui figli delle vittime. Come ha anche sottolineato nel suo intervento in aula la deputata del Partito Democratico, Marilena Fabbri. Proprio per tutelare gli orfani del femminicidio si è reso necessario mettere mano ad un aggiornamento del quadro giuridico e una nuova definizione degli interventi in grado di dare risposte serie, coerenti e in breve tempo, perché spesso questi bambini sono orfani tre volte: per la perdita di entrambi i genitori e per l’indifferenza dello Stato. Il provvedimento introduce nuove misure, come il patrocinio gratuito nel processo penale e nei procedimenti civili, l’assistenza medico-psicologica gratuita fin quando si rende necessaria, percorsi agevolati di studio, formazione ed inserimento lavorativo e la facoltà per i piccoli orfani di poter chiedere con procedura semplificata la modifica del proprio cognome. Norme che rappresentano un primo passo per lo Stato di stare accanto a questi “orfani speciali” che vivono una grande sofferenza, aiutandoli a continuare ad andare avanti mettendoli nelle condizioni di costruirsi un futuro. Ora il provvedimento passa al Senato. Terrore, tremori, fragilità. Poi lo scontro con la lenta e fredda burocrazia, è questa la vita dei orfani di femminicidio. Un incubo che investe le piccole vittime. Che fine fano? La cronaca li investe di attenzioni per qualche giorno: il pensiero corre al trauma indelebile di quel che è accaduto, si sprecano commenti ed indignazione. Poi, il buio. Un velo di oblio che negli ultimi anni è calato su 1.628 figli. Soltanto negli ultimi tre anni, stando ai dati sino al 2016: 417,180 minori dei quali: 52 sono stati testimoni dell’omicidio della madre da parte del padre, 18 sono stati uccisi insieme a lei. Nella metà dei casi tra le mura domestiche è entrata una pistola, un fucile, che ha fatto esplodere la quotidianità. Sono i dati che emergono da una ricerca finanziata dall’Unione Europea e condotta dalla Seconda Università degli studi di Napoli, con a capo la psicologa, Anna Costanza Baldry, che ha studiato il fenomeno insieme ad un équipe di psicologi dal 2011. Baldry, ha intervistato 143 di questi orfani: alcuni oggi sono adulti, hanno raccontato la loro storia da soli, con immense difficoltò, altri sono minorenni e sono stati accompagnati dai loro affidatari. I dati sono stati raccolti e presentati alla Camera, che ha redatto un documento di linee guida di intervento messo a disposizione dei servizi sociali, dei magistrati, insegnati e forze dell’ordine, con l’obiettivo di seguire un protocollo univoco e tempestivo. La ricerca fa emergere l’immenso bisogno da parte di questi bambini di attenzione e cura. Diritti che oggi le istituzioni gli negano. Si tratta di vittime che non possono contare sul supporto dei servizi. Così ci si scontra con un’Italia di battaglie sul bene superiore dei minori, dove protocolli e percorsi pensanti per chi sopravvive all’epidemia dei femminicidi – uno ogni tre giorni- non ne esistono, questi figli vengono dimenticati e l’anno successivo all’evento traumatico, quello decisivo, stando ai manuali di psicologia per evitare scelte estreme da parte loro, ci pensano nella maggioranza dei casi i nonni. Dolore al dolore, trauma su trauma, lutto su lutto. Montagne da scalare: i funerali, i processi la burocrazia, l’affidamento, le domande insistenti dei piccoli sui loro papà. Il papà non si cancella, lo stesso studio della dottoressa Baldry, riporta che spesso i bambini hanno chiesto del papà e le famiglie affidatarie non sanno gestire la situazione: in alcuni casi preferiscono attendere la maggiore età affinché possano decidere da soli. Ma sei vittime su 10 spesso non riescono a reggere le lettere, gli incontri con quello che è stato l’assassino della mamma. Ci sono bambini che decidono per un incontro in carcere, mentre, le vittime adolescenti tendono a trovare delle giustificazioni all’inaudita violenza: lo stress, le liti. Lo studio, riporta anche, con molto stupore degli esperti, che in poche vittime scaturiscono psicopatologie particolari, mentre, il sentimento più esposto è la vergogna. Emerge anche che i piccoli si sentono diversi dagli altri, un vissuto ed un accaduto troppo ingombrante per loro, il non potersi sfogare pesa ancora di più, si ritrovano a vivere in una famiglia fatta di familiari che a loro volta ogni giorno in prima persona vivono il lutto. Nel caso dei maschi prevale il senso di colpa di non esser riuscito a salvare la propria mamma. Piccole vittime che si porteranno dentro un vissuto ed un dolore troppo grande che non possono vivere da soli, è ciò che stanno urlando ad un Stato sino ad ora assente e carente di servizi.
Mani piccole e veloci che confezionano dosi di droga, le mani dei bambini usati come pusher. A 8 anni confezionano le dosi. A 12 già spacciano. Sono i bambini usati dalla camorra per gestire il mercato della droga. Accade a Napoli, dove qualche settimana fa i carabinieri hanno arrestato 45 persone affiliate al clan Elia. Figli della criminalità organizzata, bambini a cui l’infanzia viene negata: sparano, maneggiano la droga, interpretano il ruolo di piccoli boss. Per questo i giudici del tribunale per i minorenni spesso decidono di allontanarli dalle famiglie criminali. Togliendoli ai padri – padrini per offrirgli un’alternativa alla vita che gli adulti hanno scelto per loro. Allontanare un figlio dai suoi genitori, anche peggiori, non è mai una soluzione indolore. Lasciarlo, però, in balia di una famiglia che di mestiere confeziona pacchi di eroina, significa arrendersi alle leggi della malavita, compreso testimone alla successione nell’attività criminale. E’ in questo stretto corridoio tra due limiti opposti che i giudici decidono per l’allontanamento dei figli ancora minorenni dalle famiglie criminali. “Contesto pregiudizievole”, via i figli ai bossi della camorra di Napoli. A distanza di un mese dall’arresto dei 45 affiliati al clan Elia, i giudici hanno sottratto i figli alla responsabilità genitoriale. Il Tribunale dei minorenni di Napoli, ha disposto per loro l’accompagnamento in case famiglie in diverse regioni d’Italia, comunque fuori dai confini della regione Campania. I bambini erano impiegati totalmente nella piazza di spaccio, alcuni di loro non andavano a scuola ed erano già stati segnalati ai servizi sociali. I giudici dei minorenni hanno deciso che quello non era l’ambiente giusto per crescere e hanno allontanato i ragazzini. Restare nelle loro abitazioni, hanno scritto i giudici “affidati alla cure delle rispettive famiglie, significherebbe farli restare in un contesto che è stato per loro gravemente pregiudizievole”. Non solo: i bambini prendevano parte al confezionamento e allo spaccio delle dosi delle sostanze stupefacenti, per loro scatta anche il divieto assoluto di intrattenere rapporti con la propria famiglia, perché – scrivono i giudici- è necessario recidere i deleteri legami ambientali che hanno già potenzialmente compromesso l’equilibrio sviluppo dei minori”. Un provvedimento storico quello adottato dal tribunale per i minorenni di Napoli. Un provvedimento simile si era verificato già lo scorso anno a Reggio Calabria, dove i giudici hanno iniziato a sperimentare questo nuovo strumento per la lotta alla criminalità. I dati dicono che sarebbero già ottanta i bambini sottratti alla ‘ndrangheta, sempre rispettando il diritto e applicando la legge, senza forzature o scorciatoie. In effetti, gli strumenti offerti dalle norme sono diversi. Consultando il codice penale, questo consente di allontanare un minore dalla propria famiglia in caso di abusi sessuali, con una piccola riforma, l’articolo è stato esteso anche ai maltrattamenti. Ecco che in Calabria ne hanno fatto tesoro: il minore, figlio di un boss, a cui gli viene insegnato a sparare, può essere considerato un bambino “maltrattato” e allontanato dalla sua famiglia, fino alla decadenza della responsabilità genitoriale (ex patria potestà). Un secondo strumento legislativo che risale addirittura all’Italia monarchica, colpisce i “comportamenti irregolari”, anche se non costituiscono un vero e proprio reato specifico. Ai minori al disotto dei 14 anni non gli può essere imputato nulla, ma è prevista l’applicazione di particolari misure di sicurezza. In tutti i casi, una volta sottratti ai boss, con mogli loro complici, i figli dei criminali vanno in una comunità, in una casa famiglia, in un servizio sociale sul territorio, gestito dal comune, o in un servizio sociale che fa capo al ministero della Giustizia. Un primo passo che li allontana dal crimine, dal destino segnato che da adulti inevitabilmente li porta al carcere e al regime del 41 bis. Il distacco dalla famiglia è una strategia iniziale che và però seguita passo dopo passo, si tratta di bambini che si ritrovano lontano dal loro solito contesto, dai loro genitori, di bambini che si sentiranno forti o spaesati, che andranno supportati dagli psicologi, ma anche educatori, sarà compito dell’assistente sociale trovare per loro una soluzione a lungo termine e duratura, che abbia senso di famiglia, di accudimento, di indirizzo educativo. L’obiettivo primario dovrebbe essere ancor prima di drastiche misure: sconfiggere e contrastare la cultura della prepotenza e della sopraffazione, che dilaga non solo nelle case dei camorristi. La partita della prevenzione si gioca non nelle aule dei tribunali ma sul territorio, dove si è fragilissimi. I territori fanno i conti con la carenza di assistenti sociali nei comuni, che ricevono segnalazioni, ma non hanno le forze, gli strumenti, il tempo, per cercare di approfondirle, seguirle e speso non riescono ad impedire la crescita criminale di un minorenne.
In uno dei luoghi più suggestivi della Campania, Napoli, la città più grande d’Italia, nonché una delle più famose del Mediterraneo. Sede di un grande e prestigioso porto commerciale, conosciuta per le scogliere e le spiagge della riviera di Chiaia e Mergellina, per gli storici lidi di Posillipo, per la grande spiaggia di Coroglio- Bagnoli, Napoli, rilancia il salone Nauticsud. Dopo una sospensione durata quattro anni, la fiera storica dell’ente partenopeo riparte e con grande successo di pubblico: nel primo week end, oltre 14 mila persone hanno fatto tappa alla Mostra d’Oltremare di Napoli. La nautica si lascia alle spalle la tempesta ed il Nauticsud rilancia il settore. Dall’acquascooter agli yatch, passando per i nuovi gommoni ad alta tecnologia, sposando design ed eleganza.


Con la maggiore età, il figlio di una madre che ha voluto partorire in totale anonimato ha il diritto di andare a cercarla. Lo ha stabilito di recente la Corte di Cassazione. I giudici sono intervenuti su un argomento al quanto delicato, sulla quale si sta discutendo da quattro anni, da quando la Corte Costituzionale nel 2013, aveva dichiarato illegittime le norme che impediscono, per motivi di privacy di risalire ed interpellare la mamma biologica. E’ da allora che si aspetta l’intervento del legislatore. I lavori sono iniziati dopo che alla procura della Cassazione era arrivata una richiesta di chiarimento dell’Associazione dei magistrati per minorenni e la famiglia, il primo presidente Giovanni Canzio aveva chiesto un pronunciamento alle Sezioni Unite, vista la particolare rilevanza della questione. Prima della pronuncia della Cassazione, i tribunali avevano deciso in modi del tutto diversi, in molti tribunali era stata respinta la richiesta di interpello perché in attesa dell’intervento del legislatore per dare corso alla richiesta del figlio, che il giudice interpelli in via riservata la madre naturale facendole presente la sua volontà di non essere nominata. In tribunali come Trieste, Piemonte e Valle d’Aosta è stata concessa la possibilità di interpello riservato anche senza la legge in forza dei principi dettati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e per effetto della sentenza di illegittimità costituzionale de 2013. La sentenza di Cassazione sgombra il campo da tante ipotesi e scelte diverse, infatti, si legge che, nonostante “il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa”, c’è “la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione.” Stando i dati forniti nello scorso anno dal tribunale per i minori di Roma, su quindici istanze presentate prima della pronuncia della Cassazione, di figli che hanno chiesto alle madri di rimuovere l’anonimato, tredici donne hanno accettato e due hanno detto di no. Libertà di scelta. Il verdetto colma il vuoto normativo ma colma anche il desiderio di tanti bambini, oggi uomini e donne che nonostante una famiglia adottiva solida e amorevole, nonostante la loro età adulta ed il percorso di vita, sentono un vuoto che risale alle loro origini, un vuoto fatto di domande che cercano una risposta, un vuoto che vuole ricercare il volto di quella mamma che li ha messi al mondo. Una sentenza che fa gioire anche tante “mamme anonime”, che finalmente potranno far cadere quel velo segreto, felici di poter ritrovare i figli abbandonati, mentre, altre mamme decideranno di rimanere “mamme segrete”, preferendo il ricordo della nascita ed il dolore, nella maggior parte dei casi, dell’abbandono, facendo sì che molte buste, con i dati del dramma dell’abbandono, restino di nuovo blindate. Per sempre. Nei cassetti di un tribunale.
Poche righe: tre per l’esattezza nel comunicato stampa di resoconto della seduta venerdì mattina (27/01/2017) del Consiglio dei Ministri. Poche parole che sanciscono l’epilogo della lunga vicenda giudiziaria e dell’esperienza politica di Pasquale Aliberti, sindaco di Scafati. Il Consiglio dei Ministri ha deciso di sciogliere per infiltrazioni mafiose il consiglio comunale di Scafati. Il provvedimento che da Roma approda nella cittadina salernitana è solo l’ennesimo che sancisce un’Italia sciolta per mafia. Un paese dai Comuni sciolti per collusione con la criminalità organizzata. Dal 1991 anno in cui fu approvata dal Parlamento italiano la legge 221, sono 258 i comuni sciolti per mafia, per una media di uno ogni mese. Da circa un quarto di secolo ogni mese un municipio viene commissariato per infiltrazioni della criminalità organizzata, è questa la fotografia dei comuni italiani dal 1991, anno in cui è stata introdotta la speciale legge che prevede il commissariamento per i comuni in cui viene accertata l’infiltrazione della criminalità. Spulciando l’elenco dei comuni sciolti per mafia, si passa dai piccoli municipi ai comuni come Reggio Calabria, che detiene il triste record. La legge sullo scioglimento delle amministrazioni “a rischio infiltrazioni mafiose” non ha fatto sconti, e dal 1991 al 2014, nella sola Calabria, tra giunte e consigli mandati a casa su richiesta delle prefetture calabresi sono state 79. La Calabria si pone al secondo posto tre le regioni italiane nella quale la legge è stata applicata, con una situazione leggermente migliore in Campania e leggermente peggiore della Sicilia. L’ultimo caso in ordine di tempo è quello di Platì, comunità dell’entroterra della locride, dove nessuno vuole fare più il sindaco convinto che il comune sarebbe comunque sciolto per mafia a causa della nomea dovuta all’elevata densità mafiosa o delle parentele scomode. Di fatti, a Platì, tranne qualche piccola parentesi, dal 2003 non c’è un’amministrazione, a poco sono servite le elezioni della scorsa primavera. Nessuna lista si è presentata alla competizione elettorale. Con dati alla mano, si nota, come dall’entrata in vigore della legge sono oltre 4 mila gli scioglimenti “ordinari” , municipi che per vari motivi hanno interrotto la loro attività in via ordinaria, per dimissioni dei consiglieri, mozioni di sfiducia, o tutto ciò che prevede l’articolo 141 del testo unico sugli enti locali. Ma tornando alla legge, il risultato della sua applicazione è impressionante: 175 enti sciolti ogni anno, vale a dire un comune commissariato ogni due giorni. Ma nella lista dei comuni sciolti per infiltrazioni, la metà si trova nella sola Campania. Gli ultimi in ordine di tempo sono Boscoreale e Brusciano, per sospette infiltrazioni e condizionamenti della criminalità organizzata. Dal 1991 anno dopo anno, decreto dopo decreto, la Campania ha iniziato a collezionare il triste primato del maggior numero di amministrazioni colpite da questa nuova arma nella lotta alla criminalità organizzata. Dal 1991 circa la metà, 44,3% dei provvedimenti di scioglimento adottati in Italia, hanno interessato enti campani, cinquantanove in tutto, dodici dei quali nel corso degli anni sono stati sciolti ben due volte. Località essenzialmente concentrate sono tra la provincia di Napoli e Caserta. Quasi mezzo milione di abitanti, risiede nel territorio di comuni campani attualmente commissariati.
Erano lì coi loro genitori per qualche giorno di vacanza, guardavano la neve bianca candida e ai loro occhi era lo spettacolo della natura, il freddo era l’occasione imperdibile per vederne scendere più e più, morbida e avvolgente. Edoardo, Samuel e i fratellini Parete, Gianfilippo e Ludovica: sono questi i nomi dei bambini dell’hotel Rigopiano. Per loro si è rinnovato il miracolo della vita, seppur resta difficile parlare di miracolo, se non altro considerati tutti i dispersi e il bilancio delle vittime, per loro questo è un vero miracolo. Nei loro occhi restano le immagini della tragedia, la loro vita resterà accumunata a questa tragedia: sono rimasti intrappolati tra la neve e le macerie, il loro rifugio è stata la bolla d’aria che li ha protetti sino all’arrivo dei soccorritori, che con tenacia ed esperienza hanno lavorato contro ogni avversità climatica, aiutando i piccoli dell’hotel Rigopiano a “rinascere”, passando attraverso un buco scavato dal ghiaccio. Le braccia dei soccorritori hanno ricordato ai bambini le braccia di mamma e papà con un’immensa voglia di abbracciare i loro genitori. Drammaticamente non a tutti i bambini dell’hotel Rigopiano è toccata la fortuna di riabbracciare i loro genitori. La famiglia Parete si è riunita in ospedale, nella stessa stanza. Mentre, il piccolo Edoardo ha dovuto fare i conti con la tragica notizia della morte dei suoi genitori. Dopo la battaglia contro la morte, il piccolo dovrà ora combattere contro la solitudine, il ricordo, il rimpianto di essere rimasto solo improvvisamente. Rimasto solo dopo la vacanza anche il piccolo Samuel, i suoi genitori dapprima dispersi sono stati ritrovati senza vita in quel cumolo di macerie e neve. Oggi i piccoli dell’hotel Rigopiano stanno fisicamente bene, hanno superato quella leggera ipotermia, ma sono psicologicamente provati. Difficilmente i bambini piccoli riescono ad inquadrare e a metabolizzare velocemente un evento tanto traumatico, nella disperazione iniziale, sopraffatti dalla paura, potrebbero crearsi un mondo tutto loro in cui trovare conforto. Dimenticare per loro sarà difficile. Per loro comincia ora il momento più difficile, supportati da un’equipe di psicologi che accompagneranno i bambini nell’elaborazione del lutto e del dolore, cercando di accantonare i ricordi del buio e delle macerie miste alla neve e al gelo. Sarà, invece, compito degli assistenti sociali, supportati dai psicologi trovare una famiglia ai piccoli, si cercherà tra i familiari più stretti: i nonni o si opterà per gli zii, in base alla disponibilità e al legame affettivo esistenti prima della tragedia. Si cercherà di poter assicurare a questi bambini la continuità affettiva, l’appoggio emotivo e la stabilità di una famiglia che dia loro un indirizzo ed un insegnamento, ma che li aiuti ad elaborare il lutto, esternandolo anche: aiutati dalle famiglie e dagli esperti del settore. Un’assistenza che deve prolungarsi nel tempo, affinché eviti lo sviluppo di disturbi da stress post traumatico che potrebbero portare, ad esempio per i bambini rimasti orfani ad un isolamento sociale. Il primo approccio servirà ad evitare la cronicizzazione degli effetti del trauma, cercando di bypassare lo stress post traumatico. Ovviamente c’è già un’equipe di psicologi a lavoro sull’effetto immediato, il problema sarà il post, il non lasciarli soli a distanza di tempo dall’evento. Nel caso dei bimbi rimasti soli ed orfani, l’assistenza post evento diventa alquanto importante e necessaria, un’assistenza anche per chi si prenderà cura di loro, un sostegno alle funzioni genitoriali, supportati dagli assistenti sociali. Il supporto ai bambini dell’hotel Rigopiano è alquanto complesso, non ci sono solo bambini che hanno perso i genitori, ma i piccoli di Rigopiano hanno vissuto per giorni in un cunicolo al buio e al freddo. L’intervento e le possibili conseguenze dipendono dall’ambiente che verrà costruito intorno a loro, il rischio è che diventino anaffettivi, che abbiano difficoltà ad esprimere affetto, tendendo a isolarsi. C’è da dire che i bambini hanno una grande capacità di recupero. Per i sopravvissuti, c’è anche il rischio di vivere un vero e proprio senso di colpa, di essere sopravvissuto a discapito di persone che invece non ce l’hanno fatta, che nasce dal pensiero di non aver fatto di tutto per poter salvare quelle persone, per poterle aiutare. Anche in questo caso il sostegno psicologico deve essere mirato e sostenuto nel tempo.
