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Quel paese in dissesto che fa gola a tanti

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Un comune che sorge alle pendici dei Monti Lattari:Pagani. La città di Sant’Alfonso Maria dè Liguori è il luogo di questo reportage. Un villaggio globale in cui la camorra,la politica si intrecciano in un’affannosa quotidianità e la follia degli uomini e delle donne che cercano una via d’uscita da un luogo che ha confini inesplorati. Tra violenze brutali, atti di eroismo che lasciano un segno nelle pagine della storia di questo piccolo comune salernitano, si consuma il vivere giorno dopo giorno di una nuova enclave nel cuore della regione Campania.

Vivo a Pagani.E sono il volto giovane di questa terra.Sono stanca,umiliata e offesa che si parli poco e male talvolta con caricature o per niente,di questo paese.Allora faccio politica io,che non sono politica.

Questa terra è stata colpita da eventi tragici:la morte di Marcello Torre negli anni ’80 per mano della camorra,perché si era opposto alla presenza della camorra nella ricostruzione post terremoto.La morte di Marco Pittoni,nel 2008 che per sventare un rapina nel gremitissimo ufficio postale e morì a soli 33 anni,per amore della divisa e dei valori ad essa collegati.Uomini giusti,esempio di un paese dimenticato.

Gesti dimenticati dalla politica locale che è arrivata a sporcarsi le mani con la camorra.Quella politica che resta impigliata nella tela della criminalità organizzata.

Concussione e voto di scambio politico mafioso.Queste le accuse che portano agli arresti mezza classe politica e dirigente.L’ondata di arresti.I giornali e i tg nazionali puntano i riflettori.Pagani e la camorra.Pagani e la collusione.

Si spengono i riflettori,arrivano i commissari e la città viene risucchiata da un baratro fatto di strade che rimangono con le buche, di terre malate di rifiuti, di resistenze e desolata malinconia.

Un punto di approdo di vite e di ombre.Pochi giorni e il baratro porterà al pre-dissesto.Avremo più fame e più sete,meno posti di lavoro e più disoccupati,più esigenze ed un paese che cadrà a pezzi e calcinacci.

Stranamente però quegli ex amministratori seppur coinvolti marginalmente o per niente coinvolti nell’inchiesta,quegli amministratori che hanno portato al pre-dissesto,oggi più sorridenti e forti di prima si propongono alle prossime elezioni amministrative.Parlano di progetti,di idee,di rilancio.E prima cos’era?Perchè questo paese in dissesto fa gola a tutti?Gli esempi degli uomini giusti perchè non rivivono?

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#Noallaviolenzasulledonne

http://video.repubblica.it/dossier/femminicidio/violenza-donne-il-primo-spot-rivolto-all-uomo-fermati/147027/145544

Ho scelto questo hastag: #noallaviolenzasulle donne e questo video,il primo spot televisivo rivolto agli uomini con un unico monito:Fermati!

La violenza sulle donne è un’ignobile guerra contro le donne. Donne uccise per mano di mariti,compagni o fidanzati. Oggi lo urliamo più forte nella Giornata Mondiale per l’Eliminazione della Violenza Contro le Donne.

Il 25 Novembre è dedicato a tre sorelle:Patria, Minerva, Maria Teresa Mirabal. Il loro nome in codice era Mariposas, ovvero farfalle. Creature libere di combattere per la liberazione del proprio Paese e contro la dittatura trujillista. Erano nate a Ojo nella Repubblica Dominicana. Vennero, per la loro resistenza, torturate in una piantagione di canna da zucchero. Massacrate a bastonate, strangolate e dunque uccise, insieme con l’autista. Accadde il 25 novembre del 1960.

Da allora centinaia di donne in tutto il mondo sono morte perchè vittime della violenza degli uomini che hanno amato,protetto e giustificato ed ogni giorno centinaia di donne subiscono violenze fisiche o psicologiche.

Le donne sono farfalle libere di vivere, amare e libere di combattere per i loro ideali e i loro sogni.

Agli uomini dedico 365 giorni di memoria. E alle donne ogni straordinario giorno di vita. E’ tempo che le donne tornino farfalle libere di volare.

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JFK L’uomo che segnò l’America

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Un venerdì. Dallas,22 Novembre 1963, l’America e il mondo furono costretti a fermarsi e a piangere di fronte alla salma di John Kennedy, che cadde sotto i colpi a morte di tre proiettili sparati da Lee Harvey Osward, benchè il mandate rimarrà oscuro per tutta la vita. Osward, che secondo molti, aveva un unico peccato quello di essere convintamente comunista e filocastrista in piena Guerra Fredda.

Jokn Kennedy è stato il più celebre e amato presidente degli Stati Uniti d’America. Ancora oggi rimane la sua eredità, i suoi sogni, le sue speranze, i suoi insegnamenti, il suo progetto politico e soprattutto l’idea di aprirsi ad una “nuova frontiera”, che rimase solo un sogno mai realizzato.

Carattere deciso e personalità forte. Un uomo d’altri tempi per una politica nuova che potesse guardare al futuro per una nazione davvero giovane nello spirito. Un uomo che strizzava l’occhio ai conservatori di ogni ordine e grado, inviso alla mafia e a coloro che, fino a quel momento, avevano prosperato sulla segregazione razziale dei neri, sull’esclusione e l’emarginazione sociale dei più deboli, sul dolore e la sofferenza degli ultimi, di chi non era in grado di difendersi, di chi, spercie per il colore della propria pelle, non faceva mai notizia se non in negativo.

Famoso un suo celebre discorso datato 1963: “Se un americano, a causa della sua pelle scura, non può mangiare in un ristorante aperto al pubblico, se non può mandare i suoi figli alla scuola pubblica migliore, se non può votare per i pubblici funzionari che lo rappresenteranno, se, in breve, non può condurre la vita piena e libera che tutti noi desideriamo, chi tra noi sarebbe felice di condividere con lui il colore della pelle e prendere il suo posto? Chi tra noi si accontenterebbe del consiglio di portare pazienza e aspettare?”

Due mesi dopo Martin Luter King pronuncerà la celebre frase “I have a dream” e la battaglia per i diritti dei neri e delle minoranze sarebbe entrata a pieno titolo nell’agenda politica di tutti i paesi, ma Kennedy aveva già preparato il terreno, sfidando un esponente del suo stesso partito George Wallace, governatore dell’Alabama e segregazionista convinto, per consentire a James Meredith, studente di colore, di entrare all’università e frequentare le lezioni.

Kennedy era l’ottimismo che ha ispirato un’intera generazione e ha ridato fiducia a un popolo intero. In un momento di crisi dovuto al timore di una nuova guerra, Kennedy dà vita a una nuova stagione di speranza.

Un presidente mai dimenticato.

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Il bambino cattivo

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Una fiction,sembrava solo apparentemente una fiction targata Pupi Avati,quella andata in onda ieri sera su Rai1,eppure ci ha portati ad esplorare un mondo parallelo,attiguo al nostro:l’infanzia abbandonata.

Brando,11 anni,con una mamma affetta da problemi psichici a cui fa seguito la separazione dei suoi genitori,viene rifiutato dal papà e dai nonni materni,per lui la vita in una casa famiglia. Le conseguenze per la sua fragile personalità saranno drammatiche e sconvolgeranno completamente la sua sfera affettiva. Risponde alla mancanza di affetto col silenzio,talvolta l’aggressività,le parole monosillabe e diventa per tutti “il bambino cattivo”,rifiutato e lasciato solo. Per Brando si aprono le porta di una casa famiglia. Qui il ragazzino vivrà una situazione ancor più drammatica con una serie di colpi di scena continui.

Brando conosce l’abbandono, la solitudine e la mancanza di affetto. Vivrà un contrasto con se stesso e col mondo. Rifiuta l’affetto e il calore della casa famiglia e quello di una coppia che rimasta vedova del proprio bambino decide di conoscere Brando, che in un primo momento rifiuta questa conoscenza per poi approfondirla e scoprirne un mondo nuovo e fatto di amore e affetto.

La messa in onda della fiction è avvenuta in concomitanza della Giornata Internazionale dell’Infanzia e dell’Adolescenza, perché ogni bambino ha diritto ad essere un bambino, ha diritto alla spensieratezza, alla gioia.

Brando è l’esempio di molti bambini,di molti ragazzi.I figli vanno ascoltati,compresi,capiti,ma soprattutto amati.Essere genitori non è un mestiere,è vita.I figli non sono un oggetto che prendi,lasci,posi come e quando vuoi e li riprendi e li coinvolgi nella tua vita quando vuoi,i figli ci sono sempre dal primo giorno.I figli hanno bisogno di spiegazioni,di attenzioni e di tempo.Vanno interpretati i suoi sorrisi ma anche e soprattutto i suoi silenzi,la sua aggressività,il suo pianto.Non lo dimentichiamo e non mi stancherò mai di dirlo.

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La furia Cleopatra

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Una bomba d’acqua. Un mare in piena che ha travolto tutto nella sua furia:case,vite,spezzato sogni. Una furia che in un attimo ha distrutto una delle regioni più belle d’Italia:la Sardegna.Una delle isole più belle al mondo è in ginocchio. Il bilancio, provvisorio, è di 18 morti tra cui 4 bambini che non diventeranno mai più grandi, ma Angeli.

L’evento che ha messo in ginocchio l’isola è stato del tutto eccezionale. “In sole 24 ore – ha detto Gabrielli – è sceso un quantitativo di pioggia pari a sei mesi con punte di 450 millimetri nella zona di Orgosolo nelle ultime 12 ore. Con queste quantità non ci sono territori al riparo”.

“Almeno” 18 vittime, 2.700 sfollati, 600 interventi e 430 unità di Vigili del Fuoco al lavoro. E’ il bilancio di “Cleopatra”, il più grande ciclone che si sia mai abbattuto nella storia meteorologica italiana.

Strade e case sono allagate, centinaia gli sfollati, ponti crollati, fiumi esondati, black-out elettrici, pesanti disagi alla circolazione stradale e ferroviaria, ritardi nei collegamenti aerei e marittimi. Una situazione gravissima.

Scene apocalittiche che ricordano il film di Tom Cruise: “La Guerra dei due Mondi”. Le immagini che giungono dalla Sardegna lo ricordano molto, ma quello era un film e degli attori che recitavano un copione, qui è tutto dannatamente vero. Una vera e propria strage.

Il cuore si ferma davanti alle agghiaccianti immagini di queste ore.Le parole non servono nè ora nè prossimamente,ma servono aiuti materiali e psicologici per un popolo fortemente colpito.Le polemiche non devono trovare posto.Aiutiamoli.Punto.

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Genitori troppo anziani?

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La tv che fino a pochi mesi fa ha celebrato la libertà di Gianna Nannini di diventare madre, dopo anni di onorata carriera ed anni di vita sulle spalle. La tv che osanna nei salotti televisivi Carmen Russo,in forma e attiva, nonostante i suoi quasi 60 anni ed una bambina che non ha ancora compiuto il suo primo anno di vita. La felicità di diventare genitori, la vita che cambia, che guarda al futuro grazie ad una nuova vita in grado di regalare gioia,felicità,speranza.

Quella gioia, quella speranza strappata ai coniugi Deambrosis che non potranno più coccolare,occuparsi della loro piccola Viola, che oggi ha tre anni. In realtà non hanno mai potuto farlo. Sin dal parto hanno avuto contro i medici, gli infermieri che li hanno etichettati “troppo anziani” per essere genitori, per occuparsi di una nuova vita. Per il tribunale loro non possono occuparsene. Perché lui settanta anni e lei più di cinquanta. Colpo finale: i titoli di questi giorni. Un po’ ovunque li definiscono “genitori nonni”.

Ma i coniugi Deambrosis sono genitori ed hanno il diritto di essere chiamati come tali, anche e soprattutto dalla stampa. Questa vicenda lede i diritti umani. Non è solo vicenda da commentare nei “salotti”, contenendo e liquidando la discussione con domande: “hanno l’età giusta?”

La bambina era stata tolta ai suoi genitori, perché un vicino della coppia, aveva raccontato di aver visto il padre della piccola lasciarla incustodita in auto. Il padre viene accusato di abbandono, accusa dal quale lo stesso tribunale lo scagionerà. Il papà con immensa serenità e pacatezza in una trasmissione televisiva di qualche anno fa, raccontò l’accaduto. Stava solo sistemando la spesa dalla sua auto all’abitazione e aveva preferito non svegliare la bambina che comunque era sotto il suo sguardo.

Quanti genitori fanno mille cose contemporaneamente? Mentre rispondono al telefono, con il guinzaglio in mano, la spesa, il figlio attaccato al pantalone, e l’altro in braccio con il biberon. O quando, magari per non svegliarli, li si lascia riposare qualche minuto in auto. E non sto parlando del 15 agosto alle tre del pomeriggio.Il genitore perfetto non esiste.

Non ho mai messo alla prova i miei stessi genitori e mai spero di farlo. Non ho mai giudicato,sindacato né le coppie giovani tantomeno quelle agè. Si può essere bravi genitori sia quando si è giovani sia quando si è più in là con gli anni. Non voglio giudicare neanche ora né questo caso né quelli che spesso ascolto o vedo, quasi quotidianamente. Però voglio soffermarmi.

Ho visto genitori portare i figli di pochi mesi in locali notturni con le luci puntate sui loro occhi e la musica a tutto volume.

Ho visto genitori passeggiare nel cuore della notte in piazze e vicoli affollati e i loro piccoli stipati assonnati e affamati nei carrozzini.

Ho visto genitori affidarli per anni a tate distratte,superficiali,lavative.

Ho visto mamme litigare con i loro mariti tenendo in braccio il loro piccolo. Ho ascoltato una mamma dichiarare che ha lanciato il cellulare contro il marito mentre gli inveiva contro, mentre dall’altro braccio teneva stretto il suo bimbo.

Ho visto genitori punire i loro figli fino all’estremo. Bimbi costretti a dire quanto era bello il proprio genitore.

Ma lì nessuno giudica. Lì no, perché non sono un problema. Perché hanno l’età, quella giusta. Quella decisa da chissà chi.

Ed ancora una volta mentre i genitori soffrono a farne le spese è un bambino.

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Carceri.Condizioni disumane

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Celle di sei,otto detenuti insieme,spesso non sono detenuti condannati ma in attesa di sentenza e passano i mesi. Docce comuni,orari fissi e sguardi attenti,poliziotti che vegliano. L’acqua calda è un lusso solo per alcuni penitenziari italiani. Condizioni igieniche quasi nulle. Gli spazi sono finiti. La polizia penitenziaria è poca. I soldi meno ancora. Gli scenari delle carceri italiane ammutoliscono.

Sono molti i detenuti nei penitenziari italiani,pochi invece i fondi da parte dello Stato e il lavoro di recupero spesso è solo utopia e il carcere diventa così un’esperienza dura. Carcerati costretti a restare venti ore al giorno dietro le sbarre, senza educatori, senza lavorare, senza socializzare. Fra violenze, risse e suicidi.

Aumentano vertiginosamente i suicidi da parte dei detenuti,1961 morti dal 2000 al 2012. La colpa è sempre più spesso del sovraffollamento, la tragedia silenziosa che potrebbe far esplodere in Italia una nuova stagione di rivolte nelle prigioni. Col rischio che torni la paura.

Quella delle carceri è una vera e propria bomba ad orologeria che rischia di esplodere. Eppure il problema è lì ed il carcere è un luogo che esiste e non possiamo immaginarlo come un mondo lontano e distante nel quale pensiamo vivano solo uomini e donne diversi e peggiori di noi. Questo mondo, invece, è contiguo e speculare al nostro. Contiene persone diverse solo perché private della libertà.

Non devono essere solo gli espisodi eclatanti a riportarci al mondo delle carceri italiane ma la realtà,quella dura e cruenta che racconta di un luogo difficile,in cui non esiste sociale e non esiste reinserimento sociale. Il carcere non è altro che la risposta che la società cerca di dare per arginare i fenomeni di devianza,ma spesso i mezzi che usa sono inefficienti e a volte controproducenti.

E’ bene riflettere sulle condizioni drammatiche delle carceri italiane ed intervenire,anche al più presto. Perché non è solo un soggetto ad aver commesso un reato,ma è soprattutto un essere umano con dei diritti e dei doveri e merita il rispetto. Forse dovremmo interrogarci sulle misure di carcere preventivo e su carcerazioni “troppo affrettate”. E’ il paradosso italiano:un ragazzo che è sottoposto a provvedimento dell’auturorità giudiziaria per spaccio di sostanze stupefacenti e in un carcere italiano in attesa di giudizio e può arrivare ad attendere anche anni,mentre un assassino spesso è agli arresti domiciliari in attesa di giudizio. Bisogna rivedere il sistema messo in piedi.

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Laureato grazie agli accendini. La straordinaria storia di Rachid.

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Agosto 1999, la vecchia Golf dei fratelli di Rachid mangia la strada, attraversa lo stretto di Gibilterra, corre lungo le autostrade del Sud della Spagna affollate di turisti, raggiunge il golfo di Marsiglia e supera la frontiera di Ventimiglia prima di puntare dritto su Torino. E’ il viaggio di Rachid e dei suoi fratelli che non sono riusciti ad adattarsi a Kourigba. La loro famiglia, padre, madre e sette fratelli, viveva di agricoltura e di allevamento. Troppo poco per mantenere una famiglia.

Rachid arriva in Italia, ha molti sogni e tante speranze. Si stabilisce ed è uno dei tanti immigrati che frequenta uno dei politecnici più ambiti d’Italia: il politecnico di Torino. Arrivano da tutto il mondo ma pochi vivono di espedienti come lui. Rachid per mantenersi vende accendini nella Torino affollata.
Rachid per il suo sogno assorbe tutto il pomeriggio il veleno dell’Italia incazzata e alla sera a casa torna per studiare geometria ed analisi. La sua quotidianità si divide tra l’aula magna del Politecnico e i portici del centro di Torino. Happy end quel ragazzo che vendeva accendini in strada per pagarsi gli studi oggi è dottore in ingegneria.

Una storia felice ma altrettanto difficile. Rachid ha subito il razzismo e la violenza, che ha lasciato un segno sul suo volto. All’altezza del sopracciglio ha un taglio, colpa di un pugno sferratogli da un gruppo di giovani razzisti. Ma Rachid non si abbatte, prende d’esempio il grafene, simbolo anche della sua laurea. “Quando capita qualcosa di brutto devi cercare l’aspetto positivo, fare un reset e ricominciare da capo. E’ la regola del grafene- dice- adattarsi per diventare più resistenti”.

Rachid ha raggiunto un primo traguardo, è dottore in ingegneria con una laurea triennale ma un altro traguardo lo attende: la laurea magistrale e per quella ci vogliono ancora due anni di studio e molti altri accendini. Rachid spera che non sia così ma spera in un ulteriore salto sociale, spera ci sia uno studio di ingegneria che possa farlo lavorare. Perché di quello non ha paura. Ha voglia, grinta e sapere da vendere. Lui che per due anni, nonostante lo studio di notte, ha portato a casa ottimi voti e due borse di studio.

Rachid è il velocista di una staffetta sociale, il rugbista che i compagni sollevano perché possa salire in cielo per catturare il pallone. Dentro di lui c’è la forza di chi non molla mai e continua a crederci. Dietro di lui c’è un lavoro di gruppo, diviso tra l’Italia e il Marocco, tra i suoi accendini e i fazzoletti di carta che i fratelli vendono nel centro storico e il piccolo terreno in Marocco che i suoi genitori umilmente continuano a coltivare. Tutti hanno puntato su di lui, lui che oggi li ringrazia.
Una storia a lieto fine che ci insegna molto.

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Baby squillo. Liceali e prostitute.

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Quattordici anni, prostituta e con l’assenso di mamma. Appena poco più di quindici anni, l’amichetta disinibita e con qualche problemino di droga, scrivono le cronache, che viene a battere con te, in sfida estrema con i genitori, professionisti e separati, che invece nulla sanno di quel “post-scuola” che qualcuno vorrebbe chiamare lavoro. Siamo a Prarioli, quartiere superborghese di Roma e le ragazze in questione frequentano il liceo.

È spinoso come non mai, oggi, parlare di prostituzione. E non soltanto quando ad esserne coinvolte sono due ragazzine di IV ginnasio che si vendevano nei lussuosi appartamenti di Roma a decine di professionisti o commercianti in grado di pagare fino a 500 euro per ogni incontro, o 5000 per un week end. “Di mattina andavano a scuola, di pomeriggio si prostituivano”, fanno sapere gli investigatori.

La prostituzione, il mestiere più antico al mondo, sta cambiando volto, dalle strade si è chiusa nelle case ed internet si è trasformato in un mercato virtuale, dove le donne si comprano con un solo clic,dove tutto è mostrano: dai corpi,ai prezzi,passando per le prestazione,arrivando fino alle recensioni. Le donne,quasi non sembrano fatte di vera carne, fin quando non le si incontra nel chiuso delle stanze e dal web alla vita reale. Le due ragazzine romane c’erano finite dentro, forse per gioco, forse per sfida, forse perché spinte dal disagio familiare. Alla fine si sono ritrovate sfruttate,umiliate. Cinque persone sono finite agli arresti per prostituzione minorile, tra cui-ed è questa la cosa che rabbrividise-la madre di una delle due. Cinque,invece, i clienti che sono stati denunciati, a causa della minore età delle due ragazze.

Internet è pieno di webcam girls, giovani o giovanissime donne, che guadagnano bene, a volte molto bene, videochattando con utenti in rete, mostrandosi in spogliarelli piccanti, spesso praticando l’autoerotismo o ingaggiando un sesso parlato e virtuale che aggancia l’utente: più tempo rimane in linea lo spettatore, maggiore sarà il guadagno della webgirl. “Diventa imprenditrice di te stessa: sarai tu a decidere quanto guadagnare al minuto!”, invitano alcuni annunci online.

Le due ragazzine dei Parioli sono partite con una Web e ben presto sono finite in un letto. Dal virtuale al reale. Non sempre è così. Ma forse bisogna stare attenti ai messaggi che passiamo, soprattutto alle giovani donne. Per pochissime di loro della prostituzione è davvero una scelta “normale”: spesso, se non quasi sempre, è frutto di un disagio o un’emarginazione, non necessariamente economica.

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Dove c’è Barilla c’è…?

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Pubblicità accattivanti, colorante, dove protagonista era la famiglia tradizionale sempre felice davanti a un piatto di pasta. Questa l’immagine a cui la Barilla, il noto marchio italiano, produttore per eccellenza della pasta, leader di esportazione del marchio che viene acquistato all’estero dagli italiani e dagli stranieri, ci ha abituati a vedere. Suo il motto “Dove c’è Barilla c’è casa”.

Ma “Dove c’è Barilla c’è casa, ma non per i gay”. Lo slogan della multinazionale italiana viene rivisitato, in queste ore, sui social network, a cui fa seguito una campagna al boicottaggio di tutti i suoi prodotti. Una campagna contro che è stata, paradossalmente, sollecitata dallo stesso patron Barilla, Guido Barilla, che durante una trasmissione radiofonica, ha tuonato contro le famiglie omosessuali. “Non metterei in una nostra pubblicità una famiglia gay perché noi siamo per la famiglia tradizionale”, ha detto Barilla, che, quasi a voler anticipare le proteste che quella frase avrebbe sollevato, si è poi rivolto alla comunità omosessuale: “Se i gay non sono d’accordo, possono sempre mangiare la pasta di un’altra marca. Tutti sono liberi di fare ciò che vogliono purché non infastidiscano gli altri”.

Tanto è bastato, poche ore, e su Twitter è esplosa la polemica a suon di tweet, facendo schizzare il marchio in cima ai trending topics. Ed è subito nato un hastag dedicato alla campagna di boicottaggio:#boicottabarilla.

Si accende la polemica, le posizione dal mondo politico alla società civile sono ben diverse. Ma ciò che fa riflettere è come oggi alle soglie del 2014 si possa ancora discriminare, allontanare e parlare con totale superficialità dei gay, del loro modo di essere, del loro mondo. La chiamerei dicriminazione. Eppure sono uomini e donne, né più né meno. Sono medici, imprenditori, banchieri, operai, spazzini, impiegati. Li troviamo ogni giorno nella nostra società. Li troviamo nel mondo dello spettacolo, della cultura, della recitazione. Penso che miriade di volte abbiamo visto il volto, la recitazione, di un attore pubblicitario gay, iniziando dalla stessa Barilla. Infondo, il patron Barilla, come del resto noi non potremo saperlo. Non è il volto di un uomo che ci dice il suo orientamento sessuale.

D’obbligo è il sospetto: se fosse solo una trovata per rilanciare il marchio, per far parlare di sé? Forse una trovata poco geniale in un paese libero.

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