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Lady mafia, donne d’onore e di disonore

6834932-strumenti-moderni-giornalista-computer-portatile-bianco-taccuino-e-una-penna-profondit-di-campo-messDonne potenti, donne di mafia, che spesso si trovano a gestire un potere immenso, in contesti sociali in cui paradossalmente la donna ha sempre dovuto faticare più del dovuto per imporsi. Ma la criminalità organizzata, con i suoi legami di sangue e le sue mille contraddizioni, offre uno spaccato inedito, dove emergono donne protagoniste di vicende incredibili, connotate da una dose massiccia di potere e ferocia.
Lady mafia, le chiamano. Sono il collante tra la perfetta compagna di un uomo d’onore ed una delicata posizione nell’ambiente domestico: quella di essere una sorta di culla della mafiosità, ad esse è deputata la trasmissione di valori tipicamente mafiosi, come il culto del rispetto nella sua accezione più negativa del termine e dell’onore che caratterizza e differenzia la posizione dell’uomo d’onore rispetto all’uomo comune, a questo ruolo non vengono chiamate donne qualunque ma coloro che provengono già da un ambiente mafioso.
Donne di mafia, che reggono le fila di rapporti intrecciati, gestiscono cosche e portano avanti affari quando i “loro uomini” sono in carcere, impartiscono ordine e guidano i rapporti. Sono donne d’onore ma anche del disonore. Sono “infami”, commettono “sgarri” imperdonabili, sono determinate e forti ma anche profondamente fragili quando si devono difendere. E la legge di mafia non perdona. Chi sbaglia paga. L’errore viene punito anche dalla stessa famiglia. Ci sono donne che si sono ribellate alla ‘ndrangheta e hanno pagato un prezzo altissimo e ci sono donne di ‘ndrangheta che, oggi, sono ancora fedeli alle regole che i mafiosi si sono dati sin dalla nascita delle organizzazioni criminali.
L’acido muriatico è un simbolo mafioso. Serve per pulire i bagni e tradotto nel loro linguaggio, vuol dire che chi tradisce e parla, si pente, deve essere ripulito nello stesso modo in cui si puliscono i “gabinetti”. A cui vengono paragonate: sudici ed indegni. Cancella ogni traccia. L’acido. Deturpa. Prova una lunga agonia e dolori fra i più insopportabili. Morte nell’acido è questa la fine che attende mogli e fidanzate di boss che si pentono ed iniziano a collaborare con la giustizia. Neanche loro sfuggono alla barbara esecuzione che nei codici mafiosi tocca agli “indegni”.
Ex donne di mafia che decidono di collaborare con la giustizia, per riassaporare il fresco profumo della legalità e della legge. Le donne che hanno spezzato un sistema, come la donna e mamma, Maria Concetta Cacciola, la giovane testimone di giustizia morta nella sua casa di Rosarno dopo aver ingerito acido muriatico. Dalle indagini emersero particolari inquietanti che coinvolgevano direttamente la sua famiglia. Perché l’unica famiglia alla quale hanno risposto i genitori di Cetta Cacciola era quella della ‘ndragheta.
Meglio la morte che il disonore, questo il concetto delle famiglie mafiose. Anche Lea Garofalo è morta per mano mafiosa. Denise, la figlia di Lea, anche lei collaboratrice di giustizia, perché l’assassino di sua mamma è stato il padre, che lei ha avuto il coraggio di denunciare.
Se una lady di mafia si ribella tutte le altre si accorgono che allora è vero che un’altra vita, contraria alla distruzione, sia possibile. E se sempre più donne come avviene anche in Calabria stanno diventando complici di dolore, prendendo le redini di cosche e amministrando beni e rapporti con i fornitori, sono anche molte le donne che, senza fare lo stesso clamore, decidono di collaborare. E sempre più donne stanno piegando il “sistema” delle cosche. Non tanto per le rivelazioni che forniscono, ma per il solo fatto di avere consapevolezza di sé, del proprio destino e di avere una loro forza individuale. E questo, le organizzazioni mafiose non possono permetterlo. Sono loro, le nuove donne, che fanno paura. Più di quelle ai vertici dei clan.
Giovanni Falcone auspicava che le donne mafiose si schierassero con la cultura della vita per sfidare e battere le mafie. Se questo avverrà, il sacrificio di Maria Concetta Cacciola, di Lea Garofalo e di tante altre, avranno avuto il merito con la loro morte di aver indicato la strada alle proprie figlie, quelle che un giorno dovranno decidere da che parte stare, in quale clima far crescere i loro figli, quella giusta per guarire dal male. O quella sbagliata, rischiando di finire come loro. Resta però un sacrificio che è insito di speranza, nel segno della legalità, della lotta all’indifferenza e all’omertà. Libertà dalla mafia che soffoca, indebolisce e intimidisce, uccide e vendica in nome di quell’onore che donne vere come queste non riconoscono.

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8 Marzo, “Lettera a mio nipote”

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Claudio, tesoro di zia,

come ogni anno, in prossimità dell’otto marzo, mi interrogo sulla festa della donna. E, come ogni anno, giungo alla conclusione che per me non esistono giorni commemorativi potenti se festeggiati singolarmente. Non esiste nulla di più forte della nostra memoria, che và continuamente allenata ed utilizzata ogni giorno.

A dicembre sono diventata tua zia, zia di un piccolo ometto, che mi ha scombussolato i sentimenti e l’amore. Sin da subito ho pensato a come avrei potuto proteggerti, difenderti, fornirti negli anni, a piccole dosi le armi per poterlo fare da solo. Soprattutto.

Sei piccolo, oggi indifeso ma domani sarai un adolescente, poi un adulto e nei tuoi occhioni chiari e curiosi, che già sorridono alla sola parola “amichette” mi chiedo come io possa insegnarti l’equilibrio di genere ma soprattutto il RISPETTO verso le donne.

Claudio, abbi rispetto dell’orgoglio femminile e dell’emancipazione femminile. Rispetta la bellezza. Fidati delle donne, rispetta l’amicizia con una donna, perché la complicità e l’altruismo sono la base della nostra vita.

Tesoro mio, nella vita di tutti i giorni non giudicarti e non giudicare. Incontrerai molte donne, ognuna con un suo perché ed una sua vita, ognuna di loro tassello del puzzle di una generazione che nel suo piccolo ha voluto contribuire al cambiamento.

Sii rispettoso delle idee femminili, del loro cuore, del loro modo di amare, dei loro sbagli, del loro essere semplicemente come sono. Certo, farai fatica, sarà difficile, spesso ti scontrerai con invidie banali, recriminazioni, cattiverie di ogni genere. Persone che equivocheranno la tua accoglienza, donne che non ti tratteranno come tutti noi sogniamo per te, da quando eri in grembo.

Claudio, sei un ometto tra molte donne: una mamma, due nonne, due zie. Tutte donne che hanno una storia, dei sogni, qualcuna una carriera di tutto rispetto, come la tua stessa mamma, donne che hanno viaggiato, visto il mondo, che si sono confrontate col mondo.

Ecco.

Rispettaci e rispetta le donne che faranno parte della tua vita, che siano amiche o compagne di vita. Lascia che si guadagnino il loro posto nel mondo. Accompagnale, incoraggiale, non giudicarle, non mortificarle, non deluderle. Investi insieme a loro nel talento.

Sii gentile Claudio. Davvero. Non cedere alla fascinazione dell’aggressività di molti uomini, perché non diventa potere, ma dolore.

Tesoro mio, sei la nuova generazione che si formerà ed io “punto” su di te, su di voi, affinchè gli uomini siano rispettosi, gentili, amorevoli e non “sicari” con cui condividere una vita di privazioni, sofferenza.

Una delle donne della tua vita che ti ama: tua zia!

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Melania Rea, Elena Ceste. Quando il sicario è in casa.

E’ un pugno allo stomaco il mucchio selvaggio di foto di mariti, fidanzati, conviventi, padri che hanno ammazzato la “loro” compagna di vita. Bacheche zeppe di madri, figlie, fidanzate, amanti assassinate, che da anni ci imbattiamo.
Molti uomini li abbiamo visti in salotti televisi in cui recitavano un “copione” ben definito. Lacrime e parole amorevoli, inviti alle loro consorti, mentre, ormai erano già morte e per mano loro.
Una carrellata di assassini. Facce normali. Facce semplici. Facce pulite. Facce serene. Facce spensierate. Facce “amorevoli”.
Eppure in loro si nascondeva la ferocia in un’esistenza apparentemente anonima.
“Strano, era tanto un bravo ragazzo…” “Mai dato problemi sul lavoro…” “Sempre così gentile, così educato”.
Uomini apparentemente “rassicuranti”, dall’animo feroce e assassino. E proprio per questo, messi tutti insieme, terribili.
“Sicari domestici”. L’uomo di casa diventa il proprio assassino. Melania Rea, Elena Ceste, forse anche Roberta Ragusa, uomini, mariti, padri assassini. Matrimoni e famiglie apparentemente felici eppure profondamente tristi e problematici.
Da una parte le donne che tentano di salvare il matrimonio, di tenere unite la famiglia, chiudono più di un occhio di fronte ai maltrattamenti, ai tradimenti, alla bugie, agli intrichi. Dall’altra gli uomini, spesso, con una doppia vita, con un’altra compagna, un altro piano ben premeditato ed una compagna di troppo.
L’amore e la passione non c’entrano nulla, né i “raptus” di follia. Gli omicidi di donne sono una vera e propria esclation di violenza, fino ad uccidere. Sono morti annunciate. Morte che camminano. Sono omicidi premeditati.
Questi uomini hanno il loro “nuovo progetto di vita”,un’altra famiglia,un’altra vita,nascondere i loro segreti,ma confido nella Giustizia,a cui da donna,da figlia,faccio appello affinché l’unico loro progetto di vita oggi e domani sia il carcere a vita ed una pena esemplare.
Solo così potremmo dare “pace” a quelle donne che non ci sono più.

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L’8 Marzo che vorrei….

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Svegliati. Il giorno ti chiama
alla tua vita: il tuo dovere.
A nient’altro che a vivere.
Strappa ormai alla notte
negatrice e all’ombra
che lo celava, quel corpo
di cui è in attesa, sommessa,
la luce nell’alba.
In piedi, afferma la retta
volontà semplice d’essere
pura vergine verticale.
Senti il tuo corpo.
Freddo, caldo? Lo dirà
il tuo sangue contro la neve
da dietro la finestra;
lo dirà
il colore sulle tue guance.
E guardi il mondo. E riposa
senz’altro impegno che aggiungere
la tua perfezione ad un altro giorno.
Il tuo compito
è sollevare la tua vita,
giocare con lei, lanciarla
come voce alle nubi,
a riafferrare le luci
che ci hanno lasciato.
Questo è il tuo destino: viverti.
Non devi fare nulla.
La tua opera sei tu, niente altro.

E’ una poesia di Pedro Salinas, tratta da “La voce a te dovuta”, 1993.

La donna che nasce, che vive. La donna che nasce da una costola. La donna che ha un giorno dedicato a sé per essere festeggiata, ricordata. Ma la “giornata internazionale della donna” o “festa della donna” è stata fissata per ricordare le conquiste economiche, politiche e sociali delle donne, ma anche le discriminazioni e le violenze che subiscono ancora in molte parti del mondo.

Le donne un universo da esplorare, da scoprire, da capire. Le donne che nel nostro paese sono ancora poche, nulle. In questi giorni c’è un dibattito sulle quote rosa, ma c’è bisogno di parlarne, c’è bisogno di inserirle per forza come un oggetto che tutti hanno e che l’Italia ancora non ha nel mondo del lavoro, nel mondo politico, sociale, economico?

L’8 marzo che vorrei non è fatto di ingressi gratuiti ai musei, di taxi da prendere senza pagare, di pacchetti benessere che vengono regalati, di mimose distribuite. Né vorrei analisi, discorsi, omaggi che si esauriscono dopo un giorno.

L’8 marzo che vorrei deve guardare avanti, oltre. Di progetti che non devono esaurirsi in poche ore, perché concentrarsi sull’istante è un atto di egoismo.

L’8 marzo che festeggiamo quest’anno cade in un momento in cui il mondo politico e intellettuale si spacca sulla parità di genere nella legge elettorale: non mi sorprende, ci sono scuole di pensiero e le accetto, è importante che ci siano opinioni diverse e che siano rispettate, ma che la discussione non porti alla spaccatura di femminismi, altrimenti ci saranno battutine argute, battutine contro le donne o donne da sostituire quando lo si ritiene opportuno.

Il dibattito che in questi giorni tiene banco dimostra che la questione delle pari opportunità non è mai stato affrontato, non almeno seriamente. La si è osservata dall’esterno, tollerata, utilizzata quando ne era opportuno. Ma mai fatta propria.

Ma ci tocca vedere un 8 marzo di disuguaglianze, di lotte, di donne che vengono uccise, di violenze inaudite.

L’8 marzo che vorrei è quello che ci impone a guardare oltre il preconcetto di una bella donna, magari ben vestita che forse ha ottenuto il lavoro solo per la sua bellezza o perché ha portato a letto il capo.

L’8 marzo che vorrei è quello in cui si spengano i microfoni ad un giornalista che avvicina una giovane ministra e gli chiede com’è la sua vita sessuale. La donna non è solo sesso ma è intelligenza, potere, classe, forza ed energia. Lo ha dimostrato tante volte.

L’8 marzo che vorrei è quello dove si pensa alle bambine, alle ragazzine delle piccole realtà del sud, dove ci sono mentalità forti e radicate. Dove se non sei fidanzata hai un marchio, dove devi pensare al matrimonio ed ai figli, perché la donna è vista anche-purtroppo-come una macchina che sforna figli e da confinare in casa.

L’8 marzo che vorrei…

E buon 8 marzo o a tutte e tutti, nonostante tutto e forse proprio per questo.

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#diamociunconsiglio by Corriere della Sera

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L’hastag scelto è #diamociunconsiglio. Un consiglio al femminile. Un consiglio da donna. Un consiglio per l’8 Marzo, giorno in cui si festeggia la festa della donna. Una festa ormai povera dei suoi significati, del suo senso. Mimose gialle che non ci rappresentano più ed una festa paragonata al primo maggio. Un ricorrenza e un rituale ormai privo del suo significato un po’ come la stessa festa dei lavoratori.

Ma essere donne è grinta, coraggio, determinazione, forza, energia, solarità, è vivere. Donne che hanno una voce e devono farla sentire, senza mai abbassare lo sguardo davanti alle discriminazioni di genere, in casa come al lavoro o in famiglia. Mai abbassare la guarda sul Femminicidio e la violenza sulle donne.

Così per festeggiare le donne, ispirandosi al Guardian, il Corriere della Sera ed il blog “la 27esima ora”, lanciano un laboratorio creativo virtuale, al grido di #diamociunconsiglio.

Donne che troppo spesso sono costrette ad ascoltare consigli non richiesti, frasi fatte e lamentele. Per spezzare la catena, attraverso un “selfie” si può scrivere un suggerimento per se stesse e per le altre donne seguito dall’hastag #diamociunconsiglio.

Potete inviare i vostri selfie via mail (27ora@rcs.it) oppure tramite Twitter @La27ora usando l’hastag #diamociunconsiglio.

Un gioco che non ha regole ma sono libertà.

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Mamma potrò portare il tuo cognome

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Cambiano i tempi e cambiano anche le vedute. Le donne che conquistano il voto, poi il divorzio, poi il mondo del lavoro, diventano protagoniste e la loro vita si divide tra il tempo per sopravvivere, tra casa e lavoro. Le donne che nel 2014 conquistano anche il diritto a dare il proprio cognome ai loro figli.

La notizia è di qualche giorno fa e porta con sé polemiche e fratture. La Corte Europea dei diritti dell’uomo ha sancito un diritto il cognome materno. L’organo europeo ha condannato l’Italia definendo la regola del solo congome paterno una discriminazione per le donne.

Se un papà e una mamma vogliono dare al proprio figlio o alla propria figlia il solo cognome materno, hanno il diritto di farlo e nessun funzionario dell’anagrafe o magistrato di qualsiasi grado può loro impedirlo. Lo ha decretato la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, condannando l’Italia per aver violato i diritti di una coppia di coniugi milanesi, che avevano deciso di dare il cognome materno alla loro bambina nata nel 1999. Più tardi avevano deciso la stessa cosa anche per gli altri due figli. A bloccarli ci pensò lo Stato italiano.

Allora come anche oggi in Italia è consentito portare il doppio cognome ma non il solo cognome materno. Sul caso “pilota” di Maddalena negli anni si acceso un dibattito che si è consumato anche nelle aule di tribunale. Dopo una lunga battaglia legale c’è una sentenza, che sarà attiva fra tre mesi, dove i giudici di Strasburgo dicono che l’Italia deve “adottare riforme legislative o di altra natura per rimediare ai diritti violati. Ed in particolare al diritto di non discriminazione fra i genitori, insieme con il diritto al rispetto della vita familiare e privata.

La sentenza dalla Corte europea si basa le sue sentenze sulla convenzione internazionale dei diritti dell’uomo. Il plauso alla sentenza europea è arrivato anche dal premier italiano Enrico Letta che in un twet ha scritto che l’Italia dovrà adeguare le norme sul cognome dei nuovi nati ed è questo un obbligo.

Ma basterà un cognome per legare un figlio sempre più alla mamma?
Diventerà una moda quella di dare il solo cognome materno?

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#Noallaviolenzasulledonne

http://video.repubblica.it/dossier/femminicidio/violenza-donne-il-primo-spot-rivolto-all-uomo-fermati/147027/145544

Ho scelto questo hastag: #noallaviolenzasulle donne e questo video,il primo spot televisivo rivolto agli uomini con un unico monito:Fermati!

La violenza sulle donne è un’ignobile guerra contro le donne. Donne uccise per mano di mariti,compagni o fidanzati. Oggi lo urliamo più forte nella Giornata Mondiale per l’Eliminazione della Violenza Contro le Donne.

Il 25 Novembre è dedicato a tre sorelle:Patria, Minerva, Maria Teresa Mirabal. Il loro nome in codice era Mariposas, ovvero farfalle. Creature libere di combattere per la liberazione del proprio Paese e contro la dittatura trujillista. Erano nate a Ojo nella Repubblica Dominicana. Vennero, per la loro resistenza, torturate in una piantagione di canna da zucchero. Massacrate a bastonate, strangolate e dunque uccise, insieme con l’autista. Accadde il 25 novembre del 1960.

Da allora centinaia di donne in tutto il mondo sono morte perchè vittime della violenza degli uomini che hanno amato,protetto e giustificato ed ogni giorno centinaia di donne subiscono violenze fisiche o psicologiche.

Le donne sono farfalle libere di vivere, amare e libere di combattere per i loro ideali e i loro sogni.

Agli uomini dedico 365 giorni di memoria. E alle donne ogni straordinario giorno di vita. E’ tempo che le donne tornino farfalle libere di volare.

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Siamo un paese per donne “deboli”?

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La notizia è apparsa su un sito internet e risuona forte nel suo eco. “Aborto.Talebani in corsia a Padova.” In un’Italia dai tagli alla sanità e da un welfare sempre più carente, nella provincia veneta il Movimento per la vita viene autorizzato a svolgere la sua propaganda negli ospedali, in particolare contro le donne in procinto di interruzione volontaria di gravidanza.

L’articolo pubblicato da “Cronache Laiche” è stato condiviso da un contatto presente tra i miei amici di facebook. Non ho potuto fare a meno di leggere i commenti, perlopiù femminili. Commenti che tra le righe additavano. Veri attacchi alle donne che rifacendosi alla legge 194/78 decidono di interrompere volontariamente la loro gravidanza.

Un mondo di donne pronto a giudicare, ad attaccare. Donne che si nascondono dietro un “ci sono tanti modi per evitare una gravidanza”. “Non ho pietà di queste donne, tranne per quelle che subiscono violenze sessuali”.
Dietro ogni interruzione di gravidanza che sia volontaria o involontaria si nasconde tanto dolore, tanta sofferenza, inaudita, incompresa. Un dolore che solo un donna conosce. Un dolore che una donna si porterà per sempre con sé. Siamo un paese di donne pronte a giudicare, a criticare, a sentenziare. Eppure nessuno si è chiesto se siamo un paese che tutela la maternità.

Una mamma è prima di tutto una donna. E le donne in un paese civile, democratico, lavorano, sono ai vertici delle aziende, hanno una carriera, sono mogli, figlie, amiche. Siamo in un paese in cui la maternità è un lusso. Una donna al desiderio di diventare mamma si trova ad un bivio: “la carriera o la maternità”. Nessuna azienda, nessun ente assume una donna incinta o continua a rinnovare il contratto ad una donna incinta. Ma nessuno lo dice. Nessuno ne tiene conto.

Siamo un paese che attraversa una forte crisi economico finanziaria ed un figlio è un lusso economico. Suona brutto dirlo ma è così. Nessuno nelle pubblicità delle mamme felici, racconta quanto costa un pacco di pannolini da 12, ed in media ce ne vogliono uno al giorno. Per non parlare di corredino, di vestitini, passeggini, latte, visite pediatriche, asilo nido-se entrambi-lavorano. Nessuno lo dice.

Oggi le coppie vivono in case piccole, 60mq con un affitto alle stelle. Nelle grandi città si sfiorano gli 800 euro mensili, a cui vanno aggiunte le spese varie oltre che la spesa per sopravvivere. Ed un bambino ha bisogno di un ambiente sano e confortevole. Ma nessuno lo racconta. Nessuno racconta della paura di molti genitori di vedersi tolti i propri figli perché magari il loro appartamento non è idoneo alla crescita di un bambino. O magari il loro reddito è molto ristretto.

Le paure, le ansie di una donna nessuno le racconta. E’ facile pubblicizzare una donna felice, magra, che allatta il suo bambino, che ci gioca con naturalezza. Ma bisogna parlare della depressione post partum che porta le donne a gesti estremi e di inaudita violenza. Bisogna parlare di quanto sia difficile per una donna crescere il proprio bambino sotto tutti gli aspetti. Bisogna aiutare le donne a tenere il loro bambino, con aiuti economici, un lavoro, la tutela del lavoro. Maternità non significa perdita del lavoro. Bisogna aiutare le donne che decidono di interrompere volontariamente la gravidanza, diamo loro un supporto psicologico non solo prima ma anche-soprattutto- dopo. Il dolore di una donna che ha sentito il suo bimbo dentro di sé, il suo corpo cambiare non può essere compreso e capito da altre donne. Siamo solidali, non attacchiamo l’universo femminile. Cerchiamo di essere un paese che tuteli le donne, quelle in difficoltà, quelle sole, quelle alle prese con una decisione importante e talvolta delicata.

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Quando la violenza viene pubblicata su facebook!

Un infelice gioco di parole, così si potrebbero definire gli autoscatti pubblicati sulla pagina face book di Anna Laura Millacci, visual artist e compagna da tredici anni del cantante Massimo Di Cataldo, con cui ha avuto una bambina. Sono un autentico, sconvolgente pugno in faccia alle donne. Foto che rappresentano un volto tumefatto, il naso che cola sangue, gli occhi violacei ed un scatto scioccante, forte, agghiacciante, che lascia senza parole: un grumo di sangue, forse riconducibile ad un feto, che galleggia all’interno dell’acqua. Anna Laura, una donna, l’ennesima, che si ritrova a raccontare una storia che troppe volte abbiamo già sentito. Una storia fatta di violenza domestica che andrebbe avanti da tredici anni, sfociata in uno sfogo, a quanto pare, più violento del solito e terminato tragicamente, come lei stessa racconta sul noto social network, con un aborto.
“Queste foto che ho postato sono di venti giorni fa. Ho pensato a lungo se farlo o meno. Ma credo nella dignità e nel rispetto delle donne. Ci sono donne che ogni giorno subiscono violenze e continuano a perdonare. Io il signor di Cataldo, faccia d’angelo e aspetto da bravo ragazzo l’ho perdonato tante volte. Anche quando ero incinta mi ha picchiata e Rosalù é un miracolo sia nata. Questa volta le botte me le ha date al punto da farmi abortire il figlio che portavo in grembo. Io non ho un carattere facile e le liti possono accadere. Ma mai nessun uomo potrà mai più farmi questo a me e alla vita. E spero che questo outing e sputtanamento pubblico sia utile a tutte quelle donne che subiscono uomini che sembrano angeli e poi ci riducono così . Continuando la loro vita sorridenti e divertiti …come se nulla fosse accaduto. Di Cataldo se proprio devi continuare a fare musica,se hai un po’ di dignità non nominare mai più le donne. Perché le hai sempre e solo menate. È questo lo sa bene pure la tua ex moglie Jorgelina”. Le parole di Anna Laura suonano forti e chiare e sono indirizzate all’ex compagno e cantante. Lo sfogo va avanti: “Non avrei mai voluto arrivare a dire pubblicamente che uomo sei, e a pubblicare queste foto così terribili. Tu che ci tieni così tanto alla tua faccina angelica…Dopo 13 anni di un grande amore ma anche grandi sofferenze ho pensato di farti un regalo. L’ultimo degli infiniti che ti ho fatto in questi anni. Il più prezioso: forse ora prenderai coscienza …visto che sembri sempre inconsapevole delle tue azioni come farebbe un bimbo di 3 anni. Forse stavolta ti sto aiutando davvero. Ti regalo la possibilità di fare un upgrade. Quello di diventare finalmente un Uomo. E non lo faccio per rabbia ma per la nostra piccola Rosalù, che ha bisogno di un padre e non di un fratellino piccolo e violento. Buona vita Massimino…”. Una storia terribile, tanto. La denuncia di Anna Laura, in fatto di violenze domestiche, non ha precedenti per la crudezza e per l’efficacia delle immagini. Una denuncia che parte dal web, come monito, come segno, per colpire, per far riflettere. Dopo qualche ora anche Di Cataldo ha usato Facebook per dire la sua sulla vicenda. “Solo poco fa ho appreso da facebook cosa sta succedendo e sono sconvolto. Come può una donna, madre di mia figlia, arrivare a tanto, alterando la realtà, solo perché una storia finisce? Farò di tutto per tutelarmi, prima come uomo e poi come artista”, ha commentato il cantante. Poi a Marina di Carrara dove si trova per un premio, parla con voce rotta dall’emozione. “Non capisco – dice – è la madre di mia figlia, io la amo tutt’ora. Non capisco, mi vuole diffamare. Magari ha le sue aspirazioni che non riesco a capire. Ma non riesco a parlare male di lei”. Intanto sulle immagini cruente indaga la Squadra Mobile di Roma che ha avviato un indagine sulla denuncia pubblica della donna. Gli agenti cercheranno di fare luce sul racconto della donna e sull’autenticità delle foto. Mi riesce difficile pensare che questa donna che ha amato quest’uomo, protetto, scusato per anni, padre di sua figlia, voglia rovinarlo in questo modo, inventandosi tutto. Saranno le indagine a fare luce, ma questa donna ha avuto il coraggio di denunciare e di farlo pubblicamente per se stessa, per sua figlia e per tutte le donne.

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Femminicidio: Un’ignobile guerra contro le donne

Femminicidio: Un’ignobile guerra contro le donne
Donne uccise, violentate, malmenate. Un omicidio ogni sette nel Mondo è commesso fra le mura di casa e per mano del partner. L’amore che diventa ossessione. L’amore che si traduce in uomini possessivi. Un’ignobile guerra contro le donne. Spulciando la lista i nomi sono tanti, Gabriella, Lucia, Eléna, Zineb, Rosy –solo l’ultima di una lunga lista. Avevano 50, 40, 36, 22 anni. Erano italiane, moldave. Erano madri, non avevano figli. Erano single, erano sposate. Le loro storie non esistono si annullano, si cancellano. Storie di vita che vengono cancellate, incone lugubri ripetute all’infinito. Spesso un trafiletto su un giornale, se il delitto non è stato particolarmente efferato. Ma sono donne, morte ammazzate da mariti, fidanzati, amanti e conviventi. Uomini da amare, in cui si nutriva una fiducia che non ha eguali che si trasformano in killer che vengono protetti da alibi concettuali, linguistici. Giustificati da una perizia psichiatrica o da una “banale” scusa. “Ha ucciso dopo un raptus, ha ucciso per gelosia, ha ucciso perché aveva paura di essere lasciato”. La vittima non esiste mai, cancellata, annullata, dimenticata. Il maschio assassino, ancora una volta è il protagonista, lui l’unico e solo. Novantadue le vitte in Italia dall’inizio dell’anno. Numeri da guerra. Numeri che rabbrividiscono. Ultima, solo in ordine di tempo è la storia di Rosy Bonanno, venticinque anni, uccisa forse davanti agli occhi del suo bimbo di due anni, dall’uomo che ha denunciato per ben sei volte per molestie. Per stalking. Eppure nessuna l’ha protetta, aiutata, supportata. Ha subito, ha avuto paura per sé e per il suo bambino. Ha combattuto contro l’ossessione, l’amore malato, la paura, fino ad incontrare la morte per mano dell’uomo che amava. In un paese civile come l’Italia si muore ancora per mano di uomo senza che nessuno reagisca, tuteli. E allora la tanto invocata e raggiunta legge sullo stalking viene sottovalutata? Così un’altra donna, Rosy Bonanno, muore sotto le coltellate dell’uomo che amava di 36 anni e sotto gli occhi del suo bambino, che speriamo non ricordi le immagini efferate dell’assassinio di sua madre. Quasi ogni giorno muore una donna per mano dell’uomo che amavano, ogni giorno un bollettino da guerra. Non bastano i proclami, le belle parole, le campagne di sensibilizzazione. Bisogna agire e subito per fermare questa guerra. Non è accettabile l’indifferenza nei confronti della denuncia. Le donne vanno protette. Servono pene certe e sicure. Non a caso Beccaria parlava di “probabilismo”, sostenendo la necessità della prevedibilità e della certezza della legge, essendo l’unico modo per garantire sicurezza personale ai cittadini. Sicurezza che oggi non è garantita, soprattutto alle donne. Iniziamo a creare dei centri antiviolenza. Attiviamo campagne di sensibilizzazione partendo dalle scuole, insegniamo ai bambini ad amare sin da piccoli le donne, a coccolarle, ad amarle, ad accudirle e non ad odiarle, a possederle. Portiamo nelle scuole il monologo di Luciano Littizzetto, declamato durante l’ultimo festival della canzone italiana. Non aspettiamo un’altra vittima, non è possibile, tuteliamo la vita, la nostra. “Ne abbiamo una sola e non sette come i gatti.”

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