Archivi categoria: Sul taccuino

La mala terra

waste30-17

Un lungo stradone, la spina dorsale del diavolo, un budello di asfalto e cemento ostinatamente definito strada, che collega i comuni dell’hinterland a nord di Napoli con le rotte dell’ecomafia. La chiamano “la terra dei fuochi”. Una striscia di terra nel cuore di Gomorra. Una linea di fuoco che separa Napoli da Caserta. Immense distese di terre, su cui si coltiva, si pascola, ma nel sottosuolo giacciono ecoballe di rifiuti talvolta speciali ed altamente pericolosi. Sversati da parte della Camorra, e in particolare dal clan dei Casalesi.

Nel “triangolo della monnezza” si trovano cavoli sopra i rifiuti tossici. E’ l’ultima,terribile scoperta della Guardia di Finanza a Caivano, zona della Terra dei Fuochi. Rifiuti altamente pericolosi a tal punto che i guanti degli operatori della Guardia forestale si sono sciolti al contatto. Il tutto sotto ad un campo coltivato a broccoli, cavolfiori e finocchi.

Questa zona rappresenta la frontiera del male, dello sporco affare. Qui ogni giorno si bruciano tonnellate di rifiuti di ogni tipo. Il tutto sotto la regia della camorra. E i danni non si contano.In molti casi, i cumuli di rifiuti, illegalmente riversati nelle campagne, o ai margini delle strade, vengono incendiati dando luogo a roghi i cui fumi diffondono sostanze tossiche, tra cui diossina, nell’atmosfera e nelle terre circostanti.

Un’area fortemente urbanizzata, dove risiedono circa 150 mila persone, e ben 39 discariche di cui 27 probabilmente con presenza di rifiuti pericolosi. Negli ultimi cinque anni le discariche illegali sono aumentate del 30%. Come i tumori tra la popolazione. Con gli anni i criminali hanno cambiato tipologia di smaltimento: dalle discariche ai roghi di copertoni usati spesso come base comburente per bruciare anche altre sostanze tossiche.

E’ la triste realtà che accade nel triangolo della morte, nella terra dei fuochi, dei roghi tossici, in quella terra avvelenata a nord della provincia di Napoli e a Sud della Provincia di Caserta in cui si muore di tumore tre volte più che nel resto d’Italia. E’ qui che sono aumentate le malattie della tiroide e le malformazioni fetali oltre che un notevole numero di interruzioni di gravidanza spontanee. E’ da qui che si viene quando ci si incontra nei reparti di oncologia e dove nei cimiteri non esistono spazi vuoti:troppi morti. Tanti bambini.

Nella terra dei fuochi, dal colore del fumo si capisce cosa si brucia: fumo nero significa copertoni, color grigio fitto è la plastica delle serre, ma quando il colore è strano nuovi rifiuti stanno arrivando nelle zone.

E’ la vera emergenza rifiuti ancora in corso in Campania. Il più grande avvelenamento di tutto i tempi. Un avvelenamento di massa in un paese occidentale. Una catastrofe ambientale. Un effetto domino sulla salute umana. Un problema enorme che chiede di essere affrontato. I danni ogni giorno sono respirabili tra le polveri sottili con gravi conseguenze sulla salute dell’uomo.

Contrassegnato da tag , , , , , ,

Professione neomelodico

Il protagonista del video è Alfonso Manzella, in arte “Zuccherino”. Neomelodico dall’età di 11 anni, a 20 anni era già sui giornali per una rapina. Il suo genere gang- neomelodico. Nelle sue canzoni storie di camorra, che celebrano le gesta dei camorristi. Secondo i carabinieri che gli hanno stretto le manette ai polsi, “Zuccherino” avrebbe partecipato a una sparatoria svoltasi domenica notte in piazza Sant’Alfonso a Pagani, in provincia di Salerno, cittadina di cui il neomelodico è originario.

Canzonette che raccontano uno spaccato di vita, di esistenza. Basta digitare su youtube il nome di “Zuccherino” o di qualche altro neomelodico per aprirsi ad un mondo nuovo e neppure così lontano. Sottofondi di sirene, summit, pistole avvolte nei quotidiani e ritornelli talvolta inquietanti. Veri inni alla criminalità. Ciò che più inquieta sono il numero di visualizzazioni che superano e battono quelli dei miti della musica leggera italiana.

La musica neomelodica a Napoli è parte della tradizione popolare ed è anche un business da centinaia di milioni di euro l’anno. Una galassia di stelle della musica che spesso non superano i confini campani e talvolta del loro quartiere. Tra gli artisti anche gli aspiranti della canzone neomelodica, bambini dai 9 ai 14 anni.

Un vero circuito della musica neomelodica, in cui c’è un vero staff e numerose persone che lavorano. Manager, autori di testi, case discografiche, radio, tv private e tantissimi cantanti: tutto gestito rigorosamente senza mai uscire dai confini della Campania.

Essere cantanti neomelodici a Napoli e nell’interland significa trovare la propria foto sui muri di mezza città, avere centinaia di fan al proprio seguito. Vuol dire una fitta agenda di impegni e serate musicali che fanno invidia anche ad un’artista famoso. La nuova frontiera della musica neomelodica sono i bambini e gli adolescenti che in pochi mesi diventano pop-star acclamate e desiderate.

Le canzoni dei ragazzini parlano d’amore e primi baci, ma a impressionare è la mole di denaro che i piccoli artisti riescono a produrre. A otto anni sono gli idoli del quartiere, a dieci anni si esibiscono a feste patronali, matrimoni e in tv locali, a tredici anni alcuni di loro mantengono l’intera famiglia. Meno di un’ora di esibizione valgono dai 100 ai 300 euro, e di concerti i piccoli divi ne fanno anche 12 in un’intera giornata.

Spesso le carriere si fermano prima della maggiore età, per il ricambio generazionale o perché molti diventano vittime del denaro che hanno guadagnato negli anni. Ogni passo falso può corrispondere al declino, spesso anche a causa della mole di concorrenza.

Contrassegnato da tag , , , , ,

Un’impresa storica per “la mala sorte del mare”

index

Un boato come un terremoto,una serie di black-out, erano le 21.30 del 13 Gennaio duemiladodici sulla Costa Concordia è il panico. I turisti sono a tavola,dagli altoparlanti le prime informazioni. Prima della mezzanotte la nave comincia a imbarcare acqua,si piega su un fianco,il comandante punta verso l’isola del Giglio. Ai passeggeri viene ordinato di indossare i giubbotti,comincia l’evacuazione. Le scialuppe vengono calate in mare ma è il caos.

Testimoni raccontano di gente che si tuffa in acqua per salvarsi,dall’alto lacci di salvataggio cadono sulle persone. Arrivano i soccorsi dal mare e dal cielo e quello che si trovano davanti è drammatico. Uno squarcio sulla fiancata della nave e lo scoglio incastrato nello scavo. Le luci degli elicotteri disegnano i contorni della tragedia. All’alba al porto non ci sono barche ma solo scialuppe di salvataggio e occhi di paura.

squarcio

I primi soccorritori lo capiscono da subito. La nave è andata oltre. La Concordia da lì non doveva passare. Si parla di errore umano eppure a supportare l’equipaggiamento vi erano i migliori sistemi tecnologici. Le urla dei naufraghi danno forma ai dubbi sul naufragio,sulle misure di sicurezza e sulla preparazione dell’equipaggio. I racconti dei superstiti sono pieni di dolore,di indignazione e di rabbia. Raccontano degli interminabili minuti di paura,delle inutile rassicurazioni del comandante e dello squarcio che loro hanno visto da subito. Si sono trovati a combattere con l’acqua,l’ansia,il panico e soprattutto con l’inesperienza e l’incompetenza dell’equipaggio inadatto per una tale situazione.

La Cooncordia, un gigante del mare, oltre 114kg di starza,190 metri di lunghezza,5 ristoranti,oltre 5000 cabine,era un vanto della flotta. Nave sfortunata. Nel 2008 per il forte vento urtò contro il molo di Palermo. Due incidenti in sette anni di navigazione. Nel 2005 quando venne inaugurata,la tradizionale bottiglia di champagne non si ruppe contro lo scafo. E chi và per mare sa che è il segno della mala sorte. Saranno le quattro inchieste della magistratura a dare un nome e una spiegazione a questa esperienza trasformatasi in tragedia ma soprattutto a pagare per la morte delle vittime.

Un relitto che per mesi è rimasto in mare, adagiato sul suo fianco, mentre la corrente del mare ha spazzato via i corpi dei dispersi che ancora non hanno ricevuto una degna sepoltura. Sono iniziati questa mattina sotto lo sguardo vigile ed attento dei media italiani e non solo, gli stessi che nei giorni della sciagura hanno raccontato e filmato il caos, la paura, il terrore. Sono iniziate le operazioni di raddrizzamento della Concordia.

La più grande operazione di recupero navale della storia sia per le dimensioni del relitto lungo 300 metri e pesante 114mila tonnellate, sia per il contesto ambientale. Operazione affidata alla Titan Micoperi, che si è aggiudicato i lavori di recupero. Per ragioni di sicurezza, nessuno si trova a bordo del relitto. Le operazioni sono guidate da una “control room” allestita su una chiatta posizionata davanti alla prua della Concordia e ad essa collegata con un doppio cavo per la trasmissione dei comandi. La control room ospita una decina di tecnici specializzati, mentre il resto dello staff seguirà le operazioni dalla “salvage room” allestita a terra. La rotazione del relitto in assetto verticale, detta parbuckling, richiederà da 10 a 12 ore di tempo: sarà un movimento lento e soggetto ad un costante controllo.

Secondo i tecnici responsabili del recupero, la fase più delicata sarà quella iniziale, quando lo scafo dovrà essere disincagliato dalle rocce. Una volta ruotato, il relitto poggerà sul falso fondale costruito a circa 30 metri di profondità: a quel punto si potranno verificare le reali condizioni della parte rimasta fino ad oggi sommersa e stabilire con maggiore precisione i tempi del rigalleggiamento e del successivo trasferimento dall’Isola del Giglio verso il porto di destinazione, che ancora non è stato individuato. Una volta che la nave sarà stata raddrizzata e messa in sicurezza, potranno essere svolte anche le ricerche dei due passeggeri ancora dispersi, Maria Grazia Tricarico e Russel Rebello.

cc

Un relitto che nei prossimi mesi lascerà le acque del Giglio ma in quell’isola il ricordo di quella notte sarà sempre vivo.

Contrassegnato da tag , , , , , , ,

Giornalisti nell’animo

6834932-strumenti-moderni-giornalista-computer-portatile-bianco-taccuino-e-una-penna-profondit-di-campo-mess

“Una certa idea di giornalismo”. Con quell’idea di giornalismo, il mestiere più affascinante e coinvolgente del mondo, Domenico Quirico è partito per la Siria il 6 Aprile scorso. Per la terza volta in vita sua. Inviato di punta, ottima firma de “La Stampa”, Quirico ha tremato per i bombardamenti su Aleppo, ha seguito le incursioni dei ribelli fino a Idilib, voleva vedere con i suoi occhi, registrare sul proprio taccuino i combattimenti nella città martire di Homs, gli incendi del suq, i bossoli delle munizioni, la guerra che scoppiava sotto gli occhi degli innocenti.

Voleva raccontare una guerra ormai dimenticata dai giornali. Un conflitto che, secondo i dati ha ucciso 28 giornalisti. La Siria è il paese più pericoloso al mondo per chi fa informazione, ma lui aveva la convinzione di dover vedere le cose come stavano. Era la stessa strana idea, la stessa strana convinzione che lo avevano già portrato tra i campi profughi del Corno d’Africa, nella strade calde dei paesi arabi, per raccontare quella che dal mondo dell’informazione fu definita “la primavera araba”, nella Libia che chiudeva una pagina di storia con Gheddafi. Poi in Sudan, in Darfur, in Uganda, in Mali.

Paesi ad alto rischio, paesi accumunati da storie difficili che bisogna raccontare. E chi fa informazione non gira la faccia dall’altra parte e Domenico Quirico non lo ha fatto. Accumunati dalla stessa idea di giornalismo anche Elisabetta Rosapina e Giuseppe Sarcina, colleghi del Corriere della Sera e il giornalista Claudio Monaci dell’Avvenire. Insieme, accumunati dalla passione, dalla professione e dalla paura, cercavano di raggiungere Tripoli. Furono rapiti, sequestrati ed il loro autista perse la vita.

Giornalisti accumunati dal desiderio di raccontare. Di chi pensa che le cose vanno vissute in prima persona per poterle scrivere, registrare, filmare. Di dover indossare un burqa, per capire come si vede il mondo dietro i veli. Di dover fuggire insieme ai ribelli per provare sulla propria pelle la paura delle bombe, della vita che in un attimo può spegnersi. La stessa idea, la stessa passione, che molti anni fa portò alla morte di Tarzani, nel conflitto vietmanina.

E’ l’essenza del mestiere più strano ed affascinante del mondo. Dà a molti l’occasione di un attimo, che senza riflettere, con la valigia pronta sotto il letto,accettano di partire. Così, Quirico è tornato dopo cinque lunghi mesi di torture e di prigionia. Con indosso giacca e cravatta su un corpo troppo esile, ha chiesto scusa al suo direttore. Quirico che per la sua convinzione si è spinto in un paese in cui la violenza la fa da padrona ed ha provato sulla sua pelle la sofferenza di chi ogni giorno la vive.

Contrassegnato da tag , , , , ,

Siamo un paese per donne “deboli”?

7011967_orig

La notizia è apparsa su un sito internet e risuona forte nel suo eco. “Aborto.Talebani in corsia a Padova.” In un’Italia dai tagli alla sanità e da un welfare sempre più carente, nella provincia veneta il Movimento per la vita viene autorizzato a svolgere la sua propaganda negli ospedali, in particolare contro le donne in procinto di interruzione volontaria di gravidanza.

L’articolo pubblicato da “Cronache Laiche” è stato condiviso da un contatto presente tra i miei amici di facebook. Non ho potuto fare a meno di leggere i commenti, perlopiù femminili. Commenti che tra le righe additavano. Veri attacchi alle donne che rifacendosi alla legge 194/78 decidono di interrompere volontariamente la loro gravidanza.

Un mondo di donne pronto a giudicare, ad attaccare. Donne che si nascondono dietro un “ci sono tanti modi per evitare una gravidanza”. “Non ho pietà di queste donne, tranne per quelle che subiscono violenze sessuali”.
Dietro ogni interruzione di gravidanza che sia volontaria o involontaria si nasconde tanto dolore, tanta sofferenza, inaudita, incompresa. Un dolore che solo un donna conosce. Un dolore che una donna si porterà per sempre con sé. Siamo un paese di donne pronte a giudicare, a criticare, a sentenziare. Eppure nessuno si è chiesto se siamo un paese che tutela la maternità.

Una mamma è prima di tutto una donna. E le donne in un paese civile, democratico, lavorano, sono ai vertici delle aziende, hanno una carriera, sono mogli, figlie, amiche. Siamo in un paese in cui la maternità è un lusso. Una donna al desiderio di diventare mamma si trova ad un bivio: “la carriera o la maternità”. Nessuna azienda, nessun ente assume una donna incinta o continua a rinnovare il contratto ad una donna incinta. Ma nessuno lo dice. Nessuno ne tiene conto.

Siamo un paese che attraversa una forte crisi economico finanziaria ed un figlio è un lusso economico. Suona brutto dirlo ma è così. Nessuno nelle pubblicità delle mamme felici, racconta quanto costa un pacco di pannolini da 12, ed in media ce ne vogliono uno al giorno. Per non parlare di corredino, di vestitini, passeggini, latte, visite pediatriche, asilo nido-se entrambi-lavorano. Nessuno lo dice.

Oggi le coppie vivono in case piccole, 60mq con un affitto alle stelle. Nelle grandi città si sfiorano gli 800 euro mensili, a cui vanno aggiunte le spese varie oltre che la spesa per sopravvivere. Ed un bambino ha bisogno di un ambiente sano e confortevole. Ma nessuno lo racconta. Nessuno racconta della paura di molti genitori di vedersi tolti i propri figli perché magari il loro appartamento non è idoneo alla crescita di un bambino. O magari il loro reddito è molto ristretto.

Le paure, le ansie di una donna nessuno le racconta. E’ facile pubblicizzare una donna felice, magra, che allatta il suo bambino, che ci gioca con naturalezza. Ma bisogna parlare della depressione post partum che porta le donne a gesti estremi e di inaudita violenza. Bisogna parlare di quanto sia difficile per una donna crescere il proprio bambino sotto tutti gli aspetti. Bisogna aiutare le donne a tenere il loro bambino, con aiuti economici, un lavoro, la tutela del lavoro. Maternità non significa perdita del lavoro. Bisogna aiutare le donne che decidono di interrompere volontariamente la gravidanza, diamo loro un supporto psicologico non solo prima ma anche-soprattutto- dopo. Il dolore di una donna che ha sentito il suo bimbo dentro di sé, il suo corpo cambiare non può essere compreso e capito da altre donne. Siamo solidali, non attacchiamo l’universo femminile. Cerchiamo di essere un paese che tuteli le donne, quelle in difficoltà, quelle sole, quelle alle prese con una decisione importante e talvolta delicata.

Contrassegnato da tag , , , ,

I have a dream. Il sogno dell’America

index
Una vita in schiavitù. Vite paralizzate dai ceppi della segregazione e dalle catene della discriminazione. Vite di sofferenza. Vite macchiate dal solo colore della pelle. Il negro viveve su un’isola di povertà solitaria in un vasto oceano di prosperità materiale.

E’ l’America razzista degli anni Trenta e Quaranta, quella in cui l’uccisione di un ragazzo nero non viene riportata neanche sui giornali. Uomini e donne discriminati per il solo colore della pelle. Non hanno mai goduto degli stessi diritti dei banchi, nemmeno durante il servizio militare.

E’ l’America dei bianchi che prendono a sassate i giornalisti mentre prendono parte alle manifestazioni contro il razzismo. E’ ancora l’America in cui le stazioni televisive minacciano di sciogliere i contratti con le reti che diffondono immagini relativi agli scontri, notizie relative ai neri. E’ l’America dei soli caffè per bianchi. E’ l’America in cui Rosa Parks rifiuta di cedere il posto in cui era seduta ad un bianco. Il conducente ferma il mezzo e le intima di scendere. Viene arrestata e incarcerata per condotta impropria e per aver violato le norme cittadine.
In quest’America contradditoria e razzista Martin Luther King, pastore battista nato ad Atlanta nel 1929, inizia a lavorare in una parrocchia nel sud dell’America. Comincia a parlare di non-violenza. Un uomo che passerà alla storia per la più grande dimostrazione di libertà nella storia del paese.

Quando John Kennedy presenta al Congresso un provvedimento per la parità dei diritti tra bianchi e neri, King capisce che è il momento di organizzare una marcia su Washington. E’ il 28 Agosto 1963 e davanti a 250 mila persona. 60 mila di quelle bianche, pronuncerà le parole che saranno impresse nella storia dell’umanità.

“Siamo venuti qui, oggi, per rappresentare la nostra condizione vergognosa. In un certo senso siamo venuti alla capitale del Paese per incassare un assegno – dice King. Il pagherò dei diritti, dei principi inalienabili. Nel suo discorso King chiede di realizzare il suo sogno. Chiede la fine della segregazione razziale nelle scuole, una legge sul tema dei diritti civili, la protezione dalle brutalità della polizia per gli attivisti, uno stipendio minimo di 2 dollari all’ora per i lavoratori. King lotta per il suo sogno, quel 28 agosto 1963. Continua a farlo per altri cinque anni tra repressioni, ricatti, intercettazioni. Cambia la storia dei diritti civili, in quell’America che oggi, grazie a lui, è un po’ meno in bianco e nero.

“Io ho davanti a me un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza. Io ho davanti a me un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo dell’arroganza dell’ingiustizia, colmo dell’arroganza dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia. Io ho davanti a me un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho davanti a me un sogno, oggi!”

Un discorso che divenne faro di speranza per milioni di schiavi negri che erano stati bruciati dal fuoco dell’avida ingiustizia. Venne come un’alba radiosa a porre termine alla lunga notte della cattività.

Contrassegnato da tag , , , , ,

Yes there is CallsBlacklist

unnamed

Un trillo, un suono familiare, una finestra che si apriva sulla schermata del pc appena acceso. Era il 2001 quando l’omino verde prodotto da MSN Messenger cominciava ad affacciarsi sui nostri monitor e nelle nostre vite, per suggerirci di connetterci con i nostri amici. Virtualmente vicini, digitalmente veloci. Terribilmente social.

Anni di innovazione, di tecnologia. Sul mercato sono arrivati nuovi pc e nuovi cellulari, più veloci, più tecnologici, più funzionali. Programmi ed applicazioni hanno invaso la tencologia e le nostre vite. La tecnologia a portata di mano, di click.

Puoi conoscere il mondo. Girarlo restando ferma davanti al tuo i-pad o al tuo smarphone. Puoi chattare, videochiamare, inviare note audio, con gli occhi bassi sugli schermi piccoli, camminando per strada, stando seduto nei pub. E intanto muoviamo i pollici, selezioniamo partener, amici vicini e lontani, conosciamo sconosciuti, condividiamo momenti, riempiamo album. Le applicazioni di cellulari ci forniscono risposte, ci salvano a cena con i loro ricettari, modificano foto impubblicabili grazie a programmi che fanno invidia agli stessi fotografi.

E poi c’è lei: CallsBlacklist. Rosso vivo e quel filo virtuale nero. Se la propria numerazione è bersaglio di frequenti chiamate indesiderate o di contatti pubblicitari che distolgono dalle attività che si stanno espletando, il modo per difendersi lo fornisce CallsBlacklist. Utilizzabile dai possessori di smatphone a cuore Android. Permette di bloccare chiamte indesiderate e di respingere sms fastidiosi. I numeri della blacklist sono bloccati silenziosamente e senza segnale di chiamata. Qualsiasi cosa stiate facendo, non sarete più distratti da telefonate o messaggi sms. I commenti sono più che favorevoli ed ad istallarla sui propri cellulari sono state 26.153 persone.

L’ho scoperta, mi è piaciuta. Una novità, un aiuto forse per quelle donne vittime di stalking, di uomini che le molestano. Poi mi sono chiesta se basta solo un’applicazione per allontanare chi ci disturba. Intanto CallsBlacklist è destinata a spopolare e un suo fac-simile è già sui cellulari della famosa mela.
Terribilmente tecnologici. Terribilmente applicati.

Contrassegnato da tag , , ,

Quel Papa venuto dalla fine del mondo.Destinato a stupire.

Papa-Francesco

La fumata divenne bianca. Le campane di San Pietro suonarono e dopo un’ora circa in una piovosa sera di Marzo il nuovo Pontefice mostrò il suo volto al mondo. L’annuncio di Tauran e il volto di Papa Francesco che alla loggia delle benedizioni, e con queste parole, conquistò da subito i cuori della gente:
“Fratelli e sorelle, buonasera. Sapete che il dovere del Conclave era quello di dare un nuovo Papa. I fratelli Cardinali sono andati a prenderlo alla fine del mondo. Prima di tutto voglio fare una preghiera per il nostro vescovo emerito Benedetto e poi, prima che il vescovo di Roma faccia la benedizione su di voi, in silenzio fate voi una preghiera e che la vostra benedizione scenda su di me”.

Un Papa venuto da lontano. Un Papa buono e semplice, pronto a riformare la Chiesa con gesti semplici e mai banali. Un Papa destinato ad esser ricordato. Stupisce da subito Papa Francesco: la decisione di un abito bianco, semplice, di un anello altrettanto semplice e non ricercato. Paga il conto della stanza in cui aveva alloggiato come cardinale. Benedice in Piazza San Pietro dalla sua papa mobile interamente scoperta, scende per benedire gli ammalati, gli anziani e i bambini, sempre cari al pontefice. Nel suo primo viaggio in Brasile durante la Giornata Mondiale della Gioventù, non appena arriva fa saltare il piano di sicurezza messo appunto dagli agenti. Scende dalla sua automobile. Stringe i fedeli, li abbraccia, li benedici, dona loro dei rosari, visiterà una favela.

Stupisce ancora Papa Francesco. Immaginate lo squillo del telefono di casa. Rispondete e dall’altra parte della cornetta c’è Papa Francesco, nessun stupore, nessuno scherzo.

Accade. E’ accaduto ad un giovane padovano, rimasto per qualche istante senza parole. Stefano Cabizza, studente 19 enne in ingegneria a Padova. Il giovane pochi giorni fa aveva consegnato a Castel Gandolfo una lettera al Santo Padre. Il Pontefice quella lettera l’ha aperta, l’ha letta ed ha preferito rispondergli a telefono addirittura chiedendogli di dargli del tu.

Papa Francesco non si smentisce, continua ad emozionare, a commuovere, a regalare gioia e sorrisi, nella sua semplicità e nella sua immensa fede. Un Papa che dimostra come la Chiesa sia semplice, umile e costruita sulla fede, l’unica chiave d’accesso.

Contrassegnato da tag , , , , ,

Quell’eredità che pesa…

Una vita per Cristo. Una vita dedicata agli ultimi e ai bisognosi di fede, è la vita di don Giulio Gatteri, parroco della parrocchia di San Sebastiano a Lumezzane, nel bresciano, che don Giulio ha retto per vent’anni.

La sua morte ha lasciato una ferita in quanti lo conoscevano ma anche stupore. La sorpresa, quella sì, c’è stata tutta: il prelato, scomparso il 10 aprile scorso a 74 anni, dopo una lunga malattia, ha lasciato tutti i suoi averi a Valentina, la donna moldava che negli ultimi dodici anni è stata la sua perpetua. Non qualche migliaio di euro, o una manciata di soldi, ma un tesoretto da 800 mila euro, tra contanti e titoli bancari.

Un testamento quello di don Giulio che ha mandato su tutte le furie la diocesi, ma anche i fedeli. Lo stupore però ha ceduto il posto alle vie legali ed il primo passo del parroco provvisorio, don Roberto Ferazzoli è stato il sequiestro preventivo dei conti del parroco.

Non è solo una guerra per la successione ereditaria. Ma la vera domanda è: come ha fatto un parroco di un piccolo paesino ad aver accomunlato una simile fortuna? Facendo un breve calcolo, gli stipendi dei preti, elargiti dall’Istituto per il sostentamento del clero, si calcolano sull’anzianità: un punto vale circa 11 euro e scatta ogni cinque anni.

Come facesse don Gatteri avere tutti quei soldi è la domanda che in molti si pongono. Il sospetto, partito dalla curia stessa è che don Gatteri abbia lasciato alla badante non solo il suo patrimonio personale, ma anche i beni parrochiali, offerte dei fedeli comprese. Offerte che possono essere trasferite dal conto parrochiale a quello personale solo con l’autorizzazione del vescovo, che in questo caso manca.

Eppure qualcosa non torna. Don Giulio prima di morire aveva spiegato ai suoi collaboraturi che le disposizioni da lui lasciate erano contenute in un cartellina giallo, indicando il luogo in cui si trovava la cartellina, ma alla sua morte non c’era alcuna traccia. Al loro posto un testamento che dispone di aver lasciato tutto alla sua badante. Firma che sarà posta ad una perizia calligrafica.

La diretta interessata tace mentre gli occhi della comunità e non solo sono puntati su di lei tra lo stupore e l’incredulità di tale patrimonio che per un prelato che sceglie la fede, la carità sono un vero tesoretto d’oro.

Contrassegnato da tag , , ,

Ossessione maschile.

Femminicidio. Un’ignobile guerra contro le donne. Una guerra inarrestabile, forte, dolorosa. Dettata dall’ossessione, dall’amore malato verso le donne. Risale a poche ore fa l’ultima vittima per mano di un uomo, Cristina Biagi, uccisa dopo una denuncia per stalking dall’ex marito, Marco Loiola, dopo che lo stesso ha quasi ucciso il nuovo compagno di lei, per poi sparsi in bocca. Due bambini di 3 e 10 anni si ritrovano a piangere la morte della loro mamma e del loro papà. Orfani, segnati da un destino terribile: vivere per sempre sapendo che la mamma è stata uccisa dal loro papà. Un omicidio in una movimentata domenica estiva, sul lungo mare di Ostia, non uno scrupolo, né vergogna. L’ennesimo, tragico clichè: lei innamorata, madre di due figli che ha senza dubbio tentato di ricucire un rapporto ormai sgretolatosi, ha accettato le botte, subito in silenzio. Si è illusa che lui fosse la persona di sempre, quell’uomo di cui lei stessa si era innamorata. Poi il sogno si è frantumato di fronte alla realtà. Un uomo probabilmente ossessivo, geloso, violento. Così la decisione dolorosa, la separazione. La speranza di tutte le donne è che quell’uomo che hai amato che in un attimo è diventato un orco, un uomo così diverso da com’era, possa capire, ragionare, lasciarti in pace. Invece, inizia un tormento, un calvario fatto di minacce, persecuzioni, telefonate. La vita di una donna si paralizza, si cristallizza. Inizia a temere per se stessa, per i propri figli e per la propria famiglia. A poco serve se annullerà la sua vita sociale, il suo essere donna, la cercherà e troverà ovunque. Così le donne trovano il coraggio, tra la paura e la solitudine di denunciare, sperando nell’aiuto delle forze dell’ordine, delle istituzioni, della legge-soprattutto-. La Procura, come in questo caso, aveva già avviato le indagini, ma Marco Loiola è stato più veloce. E l’epilogo tragico lo conosciamo tutti, l’abbiamo già sentito, letto e visto tante, troppe volte. La domanda che ci si pone senza insistenza, ogni volta, è come si poteva fare per evitare questo delitto? E’ stato sottovalutato il rischio? A cosa servono gli appelli, gli approfondimenti tv che invitano le donne a reagire, a denunciare? Le donne hanno bisogno di sentirsi tutelate, protette dalla legge e dalle istituzioni. Eppure oggi una nuova donna riempie le cronache italiane. Una donna che aveva denunciato per stalking il suo assassino. Non ci stupiamo se poi familiari, amici, parenti, vicini ci diranno “era una morte annunciata”.

Contrassegnato da tag , , , , , ,