
Sul rientro a scuola, è ancora tutto un interrogativo. La data c’è, gran parte delle scuole italiane riapriranno il prossimo 14 Settembre, che per la ministra Azzolina è una certezza ma per tanti non è così, considerati gli annunci ed i passi indietro, i genitori hanno ancora qualche dubbio e molte domande a cui cercano una risposta. Paure ed angosce si susseguono. Tra i mille interrogativi c’è anche: “ma se il proprio figlio viene contagiato e deve essere messo in quarantena, i genitori che lavorano entrambi come devono e possono fare?” Su questo il Governo ci sta lavorando e la proposta attualmente sul tavolo è quella di offrire dei congedi e consentire lo smart working per permettere alle famiglie di gestire la ripresa delle scuole con maggiore tutela. Una certezza c’è ed è stata delineata dalle linee guida dell’ISS, qualora uno studente dovesse risultare positivo al coronavirus, i medici potranno imporre la quarantena al bambino, a tutta la classe e anche gli alunni delle altre classi con cui lo studente ha avuto contatti. Nel frattempo, in attesa di un protocollo di sicurezza definitivo, emergono le indicazioni per ripartire in sicurezza, per mettere a punto un nuovo regolamento sulla sicurezza anti-covid per il rientro a scuola, misure in parte già adottate per gli esami di Stato, ma anche nuove disposizioni da mettere in campo. Si discute in queste ore dagli orari alla mensa, dai bagni alla ricreazione. Le linee guida prevedono una rimodulazione degli orari di entrata ed uscita, con classi in entrata scaglionate dai dieci ai trenta minuti. In aula la distanza sarà di un metro, infatti, le scuole si stanno attrezzando con banchi monoposto. Sull’uso della mascherina al banco è ancora tutto un dibattito e un’incertezza. In bagno, invece, potrà andare uno studente per volta e munito di mascherina. La ricreazione non sarà più una corsa in cortile, solo le scuole più grandi potranno far uscire gli alunni dalle aule per prendere aria, ma sempre con mascherina e a turni, rispettando le indicazioni degli ingressi. Altre scuole invece dovranno far consumare la merenda al banco. Il capitolo mensa è ancora tutto da disegnare, infatti, molti presidi vorrebbero che i bambini consumino il pasto in aula, al proprio banco, senza spostarli dalla posizione stabilita. Insomma, una scuola che necessariamente cambia ed ha difficoltà a conciliare le esigenze dei ragazzi con quelle dettate da una pandemia mondiale che continua a spaventare tutti, eppure c’è bisogno che si riprenda proprio dalla scuola. Infatti, i più piccoli sono stati quelli che hanno risentito più di tutti un cambiamento vertiginoso che improvvisamente li ha confinati in casa con una scuola a distanza ed una socialità affidata solo agli strumenti digitali, quelli che fino a poco prima gli adulti gli limitavano o impedivano. Il ritorno a scuola sembra certo, seppur con molti dubbi ed interrogativi che senza dubbio spaventano tutti, ma queste angosce non possono essere trasmesse ai ragazzi. E’ importante parlargli del ritorno a scuola, di pensare all’organizzazione delle giornate anche in funzione del covid, spiegando loro con calma e tranquillità che questo virus ha cambiato le abitudini di tutti e anche a scuola bisognerà adottare alcune precauzione che serviranno per sé e per gli altri. Non sarà semplice per i genitori abituare i bambini alla routine del mattino dopo tanti giorni di vacanza. Vi propongo qualche suggerimento per prepararsi al ritorno a scuola.
- Riprendere i giusti ritmi del sonno: il sonno è importante per i bambini, specie nel momento pre-scuola. Dormire poco influisce non poco sul rendimento scolastico e sull’umore dei piccoli. Aiutiamoli anticipando il risveglio e l’orario per andare a letto, evitando attività che possono agitarli prima di andare a dormire.
- Scegliere lo zaino: per distrarli dopo un lungo periodo lontano dalla scuola, catturiamo la loro voglia di cambiare zaino e dedichiamo qualche ora insieme a lui nella scelta del corredo con il suo personaggio preferito.
- Fare i compiti: Preparate un calendario per organizzare i compiti in vista dell’inizio della scuola, servirà anche a calcolare i giorni che mancano all’inizio della scuola e a prepararli al ritmo dello studio.
- Poesie e filastrocche per il ritorno a scuola: per rendere il ritorno a scuola più divertente potrete affidarvi alle filastrocche per bambini. Le parole in rima hanno una musica speciale che ricorda le formule magiche e riusciranno a strappare un sorriso ai vostri piccoli e rendere mena amara la fine delle vacanze.
Il coronavirus prepotente ed improvviso ha sospeso e paralizzato le nostre vite. Il lockdown ha fermato l’Italia, dalla produzione all’economia, dai bar allo sport. La vita ordinaria si è cristallizzata per gli adulti ma ancor di più per gli studenti. Da più di sette settimane il nostro paese si ritrova con le scuole chiuse, che si sono reinventate al tempo del coronavirus. Nel tempo sospeso, le lezioni sono diventate audio e video, in diretta anche gli adempimenti formali, dal saldo dei debiti ai consigli di classe. Non in presenza, ma nelle case di ognuno – con non poche difficoltà: pochi strumenti e non tutti li hanno- per vivere un sobbalzo temporaneo della quotidianità degli studenti. Di bene o di male che se ne parli della didattica a distanza, di fondo resta una scuola che non riesce ad arrivare a tutti, perché la scuola era e resta l’aggancio perfetto per un ragazzino che mostra segnali d’allarme o di disagio. In molte aree del Paese: da Nord a Sud, nelle aree urbane con più disagio le scuole restano spesso l’unico presidio educativo. La loro presenza è premessa per intervenire in quei territori maggiormente vulnerabili. Lo sguardo attento di un insegnante che guarda oltre la didattica ma negli occhi del suo studente, spesso permette di agganciare con il supporto dei servizi sociali una famiglia problematica che da sempre resta nell’ombra e nel timore di chiedere aiuto. La scuola chiusa in questo periodo non permette più un occhio vigile da parte delle istituzioni verso ragazzi dal mondo interiore represso e consente a famiglie problematiche di restare in una zona d’ombra e di silenzio che potrebbe acuire molte situazioni. La scuola riveste un ruolo sociale fondamentale, irrinunciabile, anche in relazione al territorio in cui si trova. Nei comuni interni, la scuola è un baricentro, un luogo pubblico di aggregazione e di socializzazione. Nelle grandi aree urbane riveste un ruolo ancor più decisivo, fatto di inclusione culturale, di contrasto al disagio economico e alla marginalità sociale. Nelle zone di degrado del nostro paese, le scuole costituiscono uno dei pochi presidi educativi rimasti, a fronte della carenza degli oratori e dei servizi offerti alle popolazioni residenti. Diventando così la scuola una premessa fondamentale per intervenire in quei territori, con laboratori, corsi pomeridiani, attività che coinvolgano i ragazzi e che sviluppino interresse e curiosità. In una scuola che in alcuni contesti è chiamata a rimodularsi e a riadattarsi, perché oltre la didattica c’è la persona del domani. Una scuola che ha necessità di essere “diversa” in molte realtà perché bisogna contrastare l’abbandono scolastico e la criminalità, pronta ad avvicinarsi con facilità ad un adolescente. I ragazzi che vivono in zone alto rischio criminale sono costretti a una lotta quotidiana. Ogni giorno hanno di fronte una scelta dilaniante: il bene o il male. E la scuola diventa alternativa ma anche di frontiera. In Italia ci sono molte scuole di frontiera ed in questo periodo di lockdown non è facile rimanere scuola. In molti posti la scuola è innanzitutto sguardo, è l’occhio che incontra l’occhio: da lì ha inizio tutto e da un computer non è possibile farlo. La dispersione scolastica è aumentata vertiginosamente in questo periodo. Chi seguiva saltuariamente con il passaggio al digitale della didattica ha rinunciato alla scuola. I presidi ed i docenti in questo periodo ci provano con i ragazzi vulnerabili, inviano sms e telefonate, li segnalano ai servizi sociali, nonostante la didattica a distanza non sia obbligatoria e nonostante la promozione avverrà per tutti. In alcune realtà del Sud il grido del personale scolastico non è agli strumenti digitali ma è avere degli operatori sociali e psicologi per parlare ai ragazzi della loro paura, della loro angoscia, della situazione attuale e del futuro. Per molti ragazzi andare a scuola era la possibilità di appartenere ad un altro mondo, diverso da quello di casa ed oggi sono proprio con quei genitori che a volte non ce la facevano nel loro ruolo. Questo periodo inevitabilmente ci spinge a guardare al mondo della scuola e al suo ruolo, e ci fa comprendere quello che da tempo tende a ripetere chi si occupa di povertà educativa, parlando della necessità di creare “zone ad alta intensità educativa” proprio in quelle che oggi sono invece le aree a più alta povertà educativa. Come? Investendo. Mettere di più dove c’è meno, anche in termini di risorse. Finché la dispersione resta alta, finché le opportunità e le alternative saranno poche, la criminalità avrà vita facile nel reclutamento della manodopera a basso costo. Rendere le scuole vive, umane, accoglienti, dove condividere esperienze e non solo programmi didattici, potrà diventare strada per interrompere il proselettismo da parte di chi “gestisce” la strada sempre più agguerriti e violenti. Dovremmo provare a mettere al centro di tutto la scuola fatta di emotività e di empatia, che agganci i desideri dei ragazzi, potremmo segnare un gol contro i criminali.
La tutina indossata nel viaggio di ingresso in Italia, il peluche da sempre amico, un pupazzo regalato prima di andare via dai compagni dell’orfanotrofio: un “tappeto di tesori”. Oggetti ma soprattutto ricordi, tassello della loro identità, che portano con sé e che conservano gelosamente per la vita, i figli di genitori che hanno deciso di aprire il loro cuore all’adozione. Oggetti che parlano, raccontando tasselli della loro esistenza. Ma ci sono modi e tempi per raccontare la propria storia d’adozione. Bambini che nascono dal cuore delle coppie, piccoli che hanno il diritto di sapere e di ricordare chi erano prima dell’ingresso nella nuova famiglia. I bambini devono sapere di essere adottati: l’adozione và raccontata ai piccoli e loro hanno il diritto di condividerla nei modi e nei tempi voluti con i loro coetanei. Un percorso di racconti e di sentimenti di vita che li aiuta nel percorso di consapevolezza e costruzione dell’identità, in modo che, in seconda elementare, sappiano affrontare la storia personale come richiesto dal programma scolastico. E al tempo stesso aiuta gli insegnanti a creare un ambiente favorevole. L’ingresso dei bambini adottati a scuola è un tema delicato e difficile e spesso la scuola è impreparata. Basta poco per risvegliare un ricordo traumatico: la maestra che chiede di portare le foto della mamma incinta o che chieda di farsi raccontare i primi giorni di vita, secondo i racconti della mamma. A volte, è questione di sensibilità. I bambini adottati hanno bisogno di mantenere ritualità rassicurative: stesso posto in classe, in fila, possibilmente vicino all’insegnante. Bisogna prestare attenzione agli spostamenti tra gli spazi classe e corridoio. Riducendo quanto più possibile l’imprevedibile e il frammentario nella vita quotidiana. Un suggerimento prezioso per le scuole in tema di adozione arriva da “le linee di indirizzo per favorire il diritto allo studio degli alunni adottati” emanate dal Ministero dell’Istruzione agli inizi del 2015 e inglobate nella legge sulla buona scuola. Anche perché l’Italia è il primo paese in Europa per numero di minori adottati, seconda la Spagna. Quando entrano nelle famiglie italiane, i piccoli hanno in media sei anni. Ma sono pronti per andare a scuola? Non sempre. Evitando le dovute generalizzazioni. Le difficoltà iniziali sono principalmente di apprendimento e di comportamento. Nel primo caso le esperienze traumatiche vissute interferiscono con la motivazione, con l’attenzione, con la capacità di dare un significato alle emozioni e di elaborare le nuove informazioni. Quanto al comportamento, i bambini che hanno vissuto un abbandono fanno difficoltà a prevedere cosa succede e anche un minimo cambiamento li mette in agitazione. Sono sensibili, tendono a lasciarsi andare al pianto e si distraggono facilmente. Soffrono ai cambiamenti e ancor di più ai passaggi, come quelli del ciclo scolastico, in quanto devono fare i conti con un nuovo ambiente, un nuovo contesto, nuove figure di riferimento. Le linee di indirizzo delineate dal ministero, rispondono a problemi pratici, come la possibilità di iscrizione del bambino in ogni momento, o di ingresso con un anno di ritardo rispetto a quello anagrafico, se necessario; inoltre, viene suggerito un tempo di inserimento: almeno dodici settimane dall’arrivo in famiglia. Il ministero propone anche la nomina di un referente, che faccia da ponte con la famiglia. Il problema è che in molti istituti non c’è. Molte scuole non ne hanno nemmeno mai sentito parlare. E si rischia di incorrere in frasi pronunciate dagli insegnanti che feriscono gli studenti. Docenti che chiedono di portare l’ecografia della mamma, o di scrivere una lettera alla propria mamma biologica, ma anche l’insegnante di lingua che rimprovera il ragazzo per il suo accento, seppur italiano e figlio di una coppia italiana. Ma la storia adottiva resta per sempre e la scuola ha ancora tanto da fare.
Shock in un mattino qualunque in una scuola di Santa Maria a Vico, in provincia di Caserta, un alunno 17 enne in un raptus di follia ha accoltellato alla guancia l’insegnante di italiano, sotto gli occhi terrorizzati dei suoi compagni di scuola. La sfregia con un fendente. Tra lo sconcerto ed il terrore dei compagni. Il ragazzo avrebbe reagito a una nota messa dalla professoressa di italiano sul registro di classe per scarso rendimento. Il giovane si era presentato a scuola con un coltello a serramanico, potrebbe quindi aver progettato l’aggressione alla docente che probabilmente cercava solo di stimolarlo a impegnarsi di più nello studio. Ora è in stato di fermo, per volere del Pm del Tribunale per i Minorenni, Ugo Miraglia del Giudice, che lo ritiene responsabile di lesioni aggravate e porto illegale di oggetti atti ad offendere e si ritrova presso un Centro di Prima Accoglienza minorile di Napoli Colli Aminei. Studenti contro professori, così le classi diventano un ring. Da Nord a Sud, un’escalation di aggressioni ai docenti. Umiliazioni, fucine di bulli minorenni, studenti che iniziano i loro show irridenti mentre l’insegnante spiega: pernacchie, rumori, applausi. Ragazzi che fanno gruppo, sghignazzano e incitano, e spesso si protrae per giorni. “Il ruolo sociale degli insegnati” lo evocano ad ogni cambio di ministro dell’Istruzione all’atto dell’insediamento. Quel “ruolo sociale” calpestato, oggi, si fa spesso una semplice questione di sicurezza. Settimane di insulti, in alcuni casi scherzi di cattivo gusto. Episodi violenti crescenti in classe, in palestra, al portone. Ragazzini che picchiano in branco insegnanti over, genitori che assalgono professori perché stavano educando i loro figli al vivere in comunità. In una scuola di Reggio Calabria qualche tempo fa, è arrivata la polizia a sedare la rissa tra ragazzine. La professoressa di turno non c’era riuscita: aveva rimediato uno schiaffone ed era finita al pronto soccorso. Insegnanti che ogni mattino entrano in classe ma si sentono come su un ring o in un campo da guerra, bersagliati, in un clima di tensione e in alcuni casi di paura. Un fenomeno, quello del bullismo, che spesso non risparmia neppure i professori in veste di vittime. La scuola che diventa luogo di derisione, di minacce, di paura, di tensione perenne per gli studenti più fragili e per i docenti, che nel tempo hanno perso il loro ruolo determinante, privi anche di tutele, spesso le denunce e le segnalazioni cadono le dimenticatoio. Ma, bisogna agire e reagire, passando da un legame scuola-famiglia, che và ritrovato, sono le prime due agenzie educative, che devono viaggiare all’unisono e sulla stessa strada: fatta di valori, fatta di sacrificio e di “no”, che sani, devono ritornare, di note che non vanno aggredite dai genitori, ma spalleggiate, magari anche con una sana punizione ai danni dei figli. Vanno riposti nei cassetti per molte ore cellulari e playstation, troppa violenza viaggia sui social e nei videogiochi, distraendoli. Serve che ci siano pene per questi ragazzini, fatti di rieducazione sociale, come ad esempio ore di volontariato o di lavori socialmente utili. Serve, il teatro, per far gettare la maschera alle persone e attribuire ruoli nuovi a chi non riesce ad averne di positivi. Serve la musica e un microfono per far esprimere al meglio chi non riesce a farlo in modo diverso. Serve incoraggiare chi non ce la fa, lodare davanti a tutti chi sbaglia spesso quando invece fa una cosa giusta. Tornare alle materie d’aiuto come la storia, la letteratura, la filosofia che hanno l’obbligo di insegnare il rispetto per sé e per gli altri, il coraggio di difendersi, l’autostima e la lotta all’omertà. E anche la debolezza che sta dietro a chi commette dei soprusi. Bisogna raccontare ai giovani storie di persone vere, lotte contro le ingiustizie, di Peppino Impastato, di Nelson Mandela, di Gandhi. Solo così, da grandi, i tacchi a spillo non sfileranno prepotenti sulle fragilità di un collega di lavoro. Insomma, la scuola ha soprattutto un compito: insegnare agli uomini di domani l’umanità. Questo è possibile anche se si ritorna su strada: educatori di strada, sacerdoti che aggancino i più giovani e li portino nel mondo dell’associazionismo e del sociale, che si ritorni ai gruppi scout o all’azione cattolica, che unisce e non divide, che esalta le diversità e le rende omogenee. C’è bisogno che la scuola torni al suo essere “severa”: una nota, un richiamo, certo con un fondamento di paura, visti i recenti casi di cronaca nera, ma non vanno lasciati soli gli insegnanti che fanno il loro dovere, anzi, bisogna che intervenga l’assistente sociale, che ne segnali l’accaduto se non è stato già fatto al Tribunale per i Minorenni, e c’è bisogno che si agisca in un’ottica globale, con una presa in carico di tutto il nucleo familiare: spesso si tratta di famiglie disgregate, in cui cova la violenza in varie manifestazioni, a volte i genitori sono in carcere per qualche reato, o vivono in contesi disagiati ed isolati. Vanno sempre cercate anche le cause nel bullo che và aiutato oltre ogni sua ragionevole o irragionevole spiegazione al gesto compiuto, ma per farlo c’è bisogno che le figure professionali siano vere e tutelate tutte prima ancora che gli episodi accadano.
Veleni in rete, tensioni a scuola. Si moltiplicano i casi innescati dall’uso improprio dei social. Insulti online mentre in aula si finisce per litigare. L’ “altra scuola” corre veloce sui social network e si porta dietro un mare di veleni. Volano insulti, calunnie, minacce, frasi pesanti che mettono in difficoltà i ragazzi presi di mira, che spesso si ritrovano isolati. Perché il tutto è letto da tutti e le repliche sono spesso più velenose. Studenti denigrati e fotografie rubate: whatsapp semina discordia. Si chiama bullismo, si legge guerra feroce ai coetanei. Il fenomeno è in costante aumento soprattutto alle medie. Se ne parla nei consigli di istituto. I docenti, in classe, devono fare i conti con le liti innescate dagli insulti sulla rete. I docenti sono preoccupati, i ragazzi subiscono di nascosto. Soffrono in silenzio. Escalation di rabbia, parolacce, che spesso sottintendono una chiara, inequivocabile forma di cyberbullisimo. Un mondo parallelo nella quale gli adolescenti si infilano ma che rischia di inquinare: perché il passo dalle frasi digitali a quelle delle aule scolastiche è poco. “Nessuno mi ha aiutato”, “pensavano solo a filmare la scena”, racconta così la sua storia una quindicenne del siracusano vittima di bullismo. Picchiata davanti a tutti, senza che nessuno intervenisse. Una spedizione punitiva organizzata da due ragazzine di quindici e diciassette anni. Adolescenti come lei. Il movente sarebbe la gelosia che le due provavano per un ragazzo, fidanzato della quindicenne. L’incubo dura un mese: minacce telefoniche, danneggiamento della minicar con cui la quindicenne andava a scuola. Trova il coraggio, ne parla in famiglia, ma la situazione peggiora: viene aggredita anche la madre. Lesioni personali aggravate anche dalla premeditazione: l’accusa nei confronti
La crisi arriva tra i 16 ed i 17 anni: ci si sente grandi e le regole vanno strette, la scuola appare pesante e faticosa, noiosa, distaccata dalla realtà, i professori, degli adulti che guadagnano poco e si sgolano in classe per ore, e il lavoro poi, per un giovane è un miraggio, una chimera, i pomeriggi a studiare o non studiare è infondo lo stesso. E’ l’esercito di quei sedicenni che un giorno hanno detto “no” alla scuola. Quei ragazzi che una mattina hanno deciso di non entrare più in classe, di buttare alle ortiche libri, quaderni, interrogazioni, compiti in classi e giudizi. Ma anche le cose belle della scuola: gite, amici, sport. Un numero enorme di giovani lascia la scuola, il 18,8%, causando quello che viene chiamata “dispersione scolastica” o più comunemente “evasione scolastica”. Stando alle statistiche i ragazzi italiani abbandonano molto presto la scuola e molti lo fanno prima di aver conseguito un titolo di scuola superiore, così quasi la metà degli italiani hanno solo la licenza media ed un’obiettiva difficoltà a trovare lavoro. Le cause dell’abbandono possono essere molteplici, e soprattutto una scelta degli studi superiori poco orientata e seguita, che spesso favorisce il verificarsi di tale fenomeno. L’evasione scolastica è un fenomeno complesso che comprende in sé aspetti diversi e che intessa l’intero contesto scolastico-formativo. Il fenomeno, intreccia due problemi: il soggetto che tende a disperdersi nella società, a trascorrere più ore in strada, diventando un facile bersaglio della criminalità organizzata; e quello relativo al sistema che produce la dispersione. Il termine nell’uso intransitivo significa sbandarsi, svanire ed evocano quindi la dissipazione dell’intelligenza, delle risorse, delle potenzialità. Il quadro dell’istruzione fotografato dall’Istat per “100 statistiche per il Paese – Indicatori per conoscere e valutare” è davvero preoccupante e secondo la ricerca, la fuga dai banchi interessa soprattutto il meridione. In Sicilia e Campania rispettivamente 15 e 14 studenti su cento non completano nemmeno il percorso dell’obbligo, mentre l’anno scorso poco più del 75% dei giovani tra i 20 e i 24 anni ha conseguito almeno il diploma di scuola secondaria superiore. Alla base dell’analisi delle cause della dispersione e del suo dimensionamento, ci sono sia variabili soggettive che macro-sociali, come ad esempio la mentalità che tende ancora oggi a denigrare la scuola ed il suo ruolo formativo e sociale, preferendo il lavoro già in tenera età. Dai dati è possibile vedere come la dispersione scolastica è molto alta nelle zone del Sud Italia, maglia nera per Napoli, dove circa il 12% dei bambini non va a scuola. Nello specifico, gli ultimi dati, che si riferiscono a Napoli e all’intera regione, facendo riferimento all’anno scolastico 2014-2015 parlano, per la scuola primaria, di 335 segnalazioni ai servizi sociali di cui 176 rientrate prima della fine dell’anno, su una platea scolastica di oltre 42mila bambini. Si tratta di evasioni distribuite in modo non omogeneo ma comunque nelle zone di maggiore disagio socio-economico. Per le scuole medie, invece, su una popolazione scolastica di oltre 31mila ragazzi, 408 sono stati gli inadempimenti registrati alla fine dell’anno. Questi dati vanno letti tenendo conto delle motivazioni accertate, che per la primaria vanno ricercate prevalentemente nel disagio familiare e per le medie nella convinzione dei ragazzi dell’inutilità del percorso scolastico. Sono sempre più i giovani che subito dopo gli anni dell’obbligo formativo decidono di lasciare la scuola, e che a vent’anni, nell’età adulta, si ritrova sperduto e senza un titolo di studio. Perché se è vero che i titoli valgono a ben poco non averli significa esserne fuori, diventare invisibili, pronti ad entrare nell’esercito dei “Neet”, quegli oltre due milioni di giovani italiani tra i 15 ed i 29 anni, che non lavorano, non studiano e non hanno formazione. Sono gli esiliati. Gli inoccupati. Gli sfiduciati. C’è chi si aliena davanti al computer oltre 134 mila giovani in più espulsi o autoespulsi dal mondo produttivo.