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Scuole ring. Raptus di follia in classe e giovani che spaventano

6834932-strumenti-moderni-giornalista-computer-portatile-bianco-taccuino-e-una-penna-profondit-di-campo-messShock in un mattino qualunque in una scuola di Santa Maria a Vico, in provincia di Caserta, un alunno 17 enne in un raptus di follia ha accoltellato alla guancia l’insegnante di italiano, sotto gli occhi terrorizzati dei suoi compagni di scuola. La sfregia con un fendente. Tra lo sconcerto ed il terrore dei compagni. Il ragazzo avrebbe reagito a una nota messa dalla professoressa di italiano sul registro di classe per scarso rendimento. Il giovane si era presentato a scuola con un coltello a serramanico, potrebbe quindi aver progettato l’aggressione alla docente che probabilmente cercava solo di stimolarlo a impegnarsi di più nello studio. Ora è in stato di fermo, per volere del Pm del Tribunale per i Minorenni, Ugo Miraglia del Giudice, che lo ritiene responsabile di lesioni aggravate e porto illegale di oggetti atti ad offendere e si ritrova presso un Centro di Prima Accoglienza minorile di Napoli Colli Aminei. Studenti contro professori, così le classi diventano un ring. Da Nord a Sud, un’escalation di aggressioni ai docenti. Umiliazioni, fucine di bulli minorenni, studenti che iniziano i loro show irridenti mentre l’insegnante spiega: pernacchie, rumori, applausi. Ragazzi che fanno gruppo, sghignazzano e incitano, e spesso si protrae per giorni. “Il ruolo sociale degli insegnati” lo evocano ad ogni cambio di ministro dell’Istruzione all’atto dell’insediamento. Quel “ruolo sociale” calpestato, oggi, si fa spesso una semplice questione di sicurezza. Settimane di insulti, in alcuni casi scherzi di cattivo gusto. Episodi violenti crescenti in classe, in palestra, al portone. Ragazzini che picchiano in branco insegnanti over, genitori che assalgono professori perché stavano educando i loro figli al vivere in comunità. In una scuola di Reggio Calabria qualche tempo fa, è arrivata la polizia a sedare la rissa tra ragazzine. La professoressa di turno non c’era riuscita: aveva rimediato uno schiaffone ed era finita al pronto soccorso. Insegnanti che ogni mattino entrano in classe ma si sentono come su un ring o in un campo da guerra, bersagliati, in un clima di tensione e in alcuni casi di paura. Un fenomeno, quello del bullismo, che spesso non risparmia neppure i professori in veste di vittime. La scuola che diventa luogo di derisione, di minacce, di paura, di tensione perenne per gli studenti più fragili e per i docenti, che nel tempo hanno perso il loro ruolo determinante, privi anche di tutele, spesso le denunce e le segnalazioni cadono le dimenticatoio. Ma, bisogna agire e reagire, passando da un legame scuola-famiglia, che và ritrovato, sono le prime due agenzie educative, che devono viaggiare all’unisono e sulla stessa strada: fatta di valori, fatta di sacrificio e di “no”, che sani, devono ritornare, di note che non vanno aggredite dai genitori, ma spalleggiate, magari anche con una sana punizione ai danni dei figli. Vanno riposti nei cassetti per molte ore cellulari e playstation, troppa violenza viaggia sui social e nei videogiochi, distraendoli. Serve che ci siano pene per questi ragazzini, fatti di rieducazione sociale, come ad esempio ore di volontariato o di lavori socialmente utili. Serve, il teatro, per far gettare la maschera alle persone e attribuire ruoli nuovi a chi non riesce ad averne di positivi. Serve la musica e un microfono per far esprimere al meglio chi non riesce a farlo in modo diverso. Serve incoraggiare chi non ce la fa, lodare davanti a tutti chi sbaglia spesso quando invece fa una cosa giusta. Tornare alle materie d’aiuto come la storia, la letteratura, la filosofia che hanno l’obbligo di insegnare il rispetto per sé e per gli altri, il coraggio di difendersi, l’autostima e la lotta all’omertà. E anche la debolezza che sta dietro a chi commette dei soprusi. Bisogna raccontare ai giovani storie di persone vere, lotte contro le ingiustizie, di Peppino Impastato, di Nelson Mandela, di Gandhi. Solo così, da grandi, i tacchi a spillo non sfileranno prepotenti sulle fragilità di un collega di lavoro. Insomma, la scuola ha soprattutto un compito: insegnare agli uomini di domani l’umanità. Questo è possibile anche se si ritorna su strada: educatori di strada, sacerdoti che aggancino i più giovani e li portino nel mondo dell’associazionismo e del sociale, che si ritorni ai gruppi scout o all’azione cattolica, che unisce e non divide, che esalta le diversità e le rende omogenee. C’è bisogno che la scuola torni al suo essere “severa”: una nota, un richiamo, certo con un fondamento di paura, visti i recenti casi di cronaca nera, ma non vanno lasciati soli gli insegnanti che fanno il loro dovere, anzi, bisogna che intervenga l’assistente sociale, che ne segnali l’accaduto se non è stato già fatto al Tribunale per i Minorenni, e c’è bisogno che si agisca in un’ottica globale, con una presa in carico di tutto il nucleo familiare: spesso si tratta di famiglie disgregate, in cui cova la violenza in varie manifestazioni, a volte i genitori sono in carcere per qualche reato, o vivono in contesi disagiati ed isolati. Vanno sempre cercate anche le cause nel bullo che và aiutato oltre ogni sua ragionevole o irragionevole spiegazione al gesto compiuto, ma per farlo c’è bisogno che le figure professionali siano vere e tutelate tutte prima ancora che gli episodi accadano.

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine sociali per ildenaro.it – In questa versione è stato modificato solo il titolo)

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Le donne di ieri, la violenza di oggi

6834932-strumenti-moderni-giornalista-computer-portatile-bianco-taccuino-e-una-penna-profondit-di-campo-mess“Né puttane né madonne ma solo donne”, declinato in qualche altra variazione, era questo lo slogan più gettonato dal movimento femminista del ’68. Una rivolta che, da pensiero, riesce a farsi pratica politica concreta e a popolare i luoghi pubblici e le piazze, inaugurando una nuova e inarrestabile stagione di libertà e diritti che, tra marce avanti, zoppicamenti e andate e ritorni non sarà più possibile fermare. Donne che il sessantotto l’hanno fatto e vissuto: in una comune, chi in giro per il mondo, chi nelle piazze e chi lavorando nei campi, scoprendo il lato femminile e rispettabile di donne che studiavano e lavoravano, che erano ragazze madri, artiste, hippie, borghesi, proletarie, femministe o lesbiche, partecipando ad una rivoluzione collettiva che apriva una nuova visione femminile agli occhi dei padri di famiglia e degli uomini di quegli anni. Rispetto, la parola d’ordine, per quell’emancipazione femminile che proponeva l’immagine di una donna pensante e idealista, che andava oltre al marito, ai figli e alla casa. Le conseguenze degli slanci femministi e delle contestazioni del sessantotto furono concretissime, per tutte le donne: portarono al pensiero differente del proprio corpo, al piacere slegato dalla riproduzione, alla liberazione dalla funzione materna come destino. La liberazione non fu indolore, ma fu sovversiva: “Ognuno di noi aveva trovato il modo di partorire un altro se stesso.”- l’eco di un racconto. La donna una figura complessa, anima e musa da millenni di immaginari. Nevrotica, intricata, compulsiva e istrionica. Degna di parole e interi romanzi. Simbolo dell’amore e dell’odio che corrode l’affetto materno e la rende un’eterna Medea. Il femminismo più ferocemente attivo della seconda metà del secolo scorso, che voleva portare quel corpo a essere strumento nelle esclusive mani di chi lo possedeva, lo ha eletto a mezzo per una lotta sociale, condendolo di esibizionismi spesso discutibili, e svuotandolo della sua sacralità primitiva. La nostra contemporaneità lo ha portato a essere mercificato per ottenere. È questo forse il risultato più ambiguo delle lotte femministe. Il corpo è della donna. Ma la donna di oggi lo usa, ne abusa e lo svende, in maniera ignorante, ma, senza ombra di dubbio, cosciente. Modelli femminili ideali che continuamente la televisione ci propone, incarnando il sogno degli uomini, che alimentano l’idea di una donna dal solo corpo: formosa e acquistabile. Seguono commenti, goliardici, ammiccamenti, risatine, in tutte le fasce di età, e lungo tutte le fasce sociali. E le donne, quelle vere, le casalinghe, le battagliere, le ricercatrici, le laureate precarie, dove sono? Protagoniste oscure della società? Si possono ancora raggiungere per una donna degli obiettivi con disciplina e rigore del lavoro? E per farlo perché il corpo diventa ostacolo o scorciatoia? Rimaste vittime di un gioco sottile, che ha rinchiuso le nostre possibilità di scelte in pochissime manciate di opzioni, abbiamo esasperato il nostro desiderio di esistere, di avere ruolo e potere. Dimostrare, molto, di più, ancora di più, per equilibrare una bellezza fisica, che ora, più di una volta, è ricercata, inseguita, ottenuta e stuprata. Ed è così che noi, giovani donne, combattiamo ogni giorno, con altre donne, per poter manifestare. Inesplose capacità comunicative e inesplorate potenzialità umane e professionali. Donne contro donne. Mentre l’uomo sta a guardare e si incattivisce pensando di arrivare a possedere una donna. Maltrattate, violentate, uccise, in una ignobile guerra contro le donne da parte degli uomini. Omicidi che si consumano tra le mura domestiche e per mano del proprio partener. Uomini che lasciano posto all’ossessione per la donna che professano di amare, diventando gelosi e violenti. L’uomo che diventa orco, un tormento, un calvario fatto di minacce, persecuzioni, telefonate, la paura cristallizza le donne, che spesso subiscono in silenzio, poi c’è chi trova il coraggio di denunciare, ma vengono lasciate sole delle istituzioni, dalla legge, in primis. E la cronaca ci racconta l’epilogo tragico. Uomini contro le donne, mentalità che tornano indietro, violenza inaudita e donne sempre più sole a fronteggiare una parità ormai utopia. A poche ore dal 26 Novembre, giornata contro la violenza sulle donne bisogna andare oltre ogni retorica, falsa promessa ed iniziare ad essere solidali con le donne e tra le donne, insegnare il valore del rispetto al genere femminile sin da bambini, piccoli gesti come un fiore alla donna, una carezza per una bambina, arrabbiarsi ma non scaricarsi con un pugno o uno schiaffo tipico dei bambini in lotta, sono i piccoli esempi di uomini del domani che rispetteranno le donne. Ma, oggi abbiamo bisogno di un sistema normativo forte e che tuteli, che sia al fianco delle donne e punisca l’orco sin da subito, che prevenga le tragedie. Abbiamo bisogno però della parità effettiva nei luoghi di lavoro, a livello salariale, abbiamo bisogno di riprenderci quel posto nella società che lentamente si è confuso ad una parità apparente e se servirà sfoderare il lato battagliero come nel ’68, riavvolgendo un po’ il nastro della storia femminile e sociale.

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Bullismo, a Torino una sentenza esemplare contro due giovani

 

video-bulla-Veleni in rete, tensioni a scuola. Si moltiplicano i casi innescati dall’uso improprio dei social. Insulti online mentre in aula si finisce per litigare. L’ “altra scuola” corre veloce sui social network e si porta dietro un mare di veleni. Volano insulti, calunnie, minacce, frasi pesanti che mettono in difficoltà i ragazzi presi di mira, che spesso si ritrovano isolati. Perché il tutto è letto da tutti e le repliche sono spesso più velenose. Studenti denigrati e fotografie rubate: whatsapp semina discordia. Si chiama bullismo, si legge guerra feroce ai coetanei. Il fenomeno è in costante aumento soprattutto alle medie. Se ne parla nei consigli di istituto. I docenti, in classe, devono fare i conti con le liti innescate dagli insulti sulla rete. I docenti sono preoccupati, i ragazzi subiscono di nascosto. Soffrono in silenzio. Escalation di rabbia, parolacce, che spesso sottintendono una chiara, inequivocabile forma di cyberbullisimo. Un mondo parallelo nella quale gli adolescenti si infilano ma che rischia di inquinare: perché il passo dalle frasi digitali a quelle delle aule scolastiche è poco. “Nessuno mi ha aiutato”, “pensavano solo a filmare la scena”, racconta così la sua storia una quindicenne del siracusano vittima di bullismo. Picchiata davanti a tutti, senza che nessuno intervenisse. Una spedizione punitiva organizzata da due ragazzine di quindici e diciassette anni. Adolescenti come lei. Il movente sarebbe la gelosia che le due provavano per un ragazzo, fidanzato della quindicenne. L’incubo dura un mese: minacce telefoniche, danneggiamento della minicar con cui la quindicenne andava a scuola. Trova il coraggio, ne parla in famiglia, ma la situazione peggiora: viene aggredita anche la madre. Lesioni personali aggravate anche dalla premeditazione: l’accusa nei confronti
delle due ragazze. Bulli incattiviti, spinti dalla gelosia, dalla violenza, forti anche di un sistema giuridico carente in materia come forti del timore e della paura di chi subisce, di chi tace, di chi si chiude in se stesso ed in casa, perché impaurito e privo di ogni tutela. Aumentano le denunce ma le pene sono quasi inesistenti o tardano ad arrivare, ma un monito con una pena esemplare, che apre uno spiraglio verso un mondo di giustizia e di pena arriva da Torino. Diciannove mesi di inferno. Tra vessazioni, violenze inaudite, molestie e persecuzioni. Gli aguzzini, un ex compagno di classe e un altro che frequentava il suo stesso istituto tecnico torinese, sono stati condannati ad 8 anni e sei mesi di carcere. Il pubblico ministero ne aveva chiesti otto. La vittima, ancora scossa, sta decidendo cosa fare della sua vita, se tornare a scuola e terminare gli studi interrotti dopo l’ultimo episodio di bullismo, oppure rimanere vittima del dramma vissuto tra il febbraio 2013 e settembre 2014. Lo hanno perseguitato, violentato con un ombrello nella sua stanzetta: costretto ad ingoiare escrementi di cane, bere litri di vino e persino consumare un rapporto sessuale con una prostituta sotto i loro occhi, per dimostrare loro di non essere gay. All’epoca dei fatti lui, la vittima, era ancora minorenne, mentre, i suoi aguzzini da poco maggiorenni. Incensurati e prepotenti. Sui loro profili foto da spacconi, immortalati in pose da duri. Ha subito per mesi,
chiudendosi in un rigoroso silenzio, schiacciato dalla paura e dalla mortificazione, fin quando non ne parla con la mamma di un suo compagno di scuola, che poi ha riferito tutto ai suoi genitori. Una condanna esemplare con una punizione vera e dura. Ai due bulli, accusati di stalking, lesioni e violenza sessuale aggravata, sono state comminate anche pene accessorie, tra cui l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e il divieto di esercitare qualsiasi attività pubblica all’interno delle scuole. Alla vittima andranno 10 mila euro come risarcimento. La vicenda sembra che continuerà ed ancora nelle aule di Tribunale, perché il legale dei due bulli farà ricorso in
Appello, ma resta una vittima segnata, incupita, mortificata, che appena ha ricevuto la convocazione dell’inizio del processo è scappato di casa, ritrovato grazie al programma “Chi l’ha visto?”, ricoverato in un reparto di psichiatria del Nord Italia, oggi vuole ricominciare da quel buco nero che lo ha inghiottito: la scuola, per provare a riscrivere un’altra storia della sua vita. A riscrivere un’altra storia forse dovrebbe essere anche il legislatore che deve, forse, fare una profonda riflessione sulla procedibilità del reato quando questo è a carico anche di minorenni infraquattordicenni, vista la cronaca di persecuzione che trova sul suo cammino molte giovani vittime e spavaldi bulli spesso impuniti.

(Articolo pubblicato sul mio blog Pagine sociali per ildenaro.it)

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Le nuove frontiere del pericolo giovanile

6834932-strumenti-moderni-giornalista-computer-portatile-bianco-taccuino-e-una-penna-profondit-di-campo-messAttratti dal rischio. Affascinati dal pericolo. Ben consapevoli delle conseguenze amano sfidare la sorte ed il pericolo. Spavaldi per sentirsi vivi. Ma anche incattiviti e violenti secondo i loro canoni. E’ questo l’identikit dei giovanissimi della nostra società. “Balconing” è uno dei numerosi divertimenti estremi che da qualche anno attirano i ragazzi, trovando eco insperata nei filmati su Youtube. Condotte spericolate, che vanno oltre il comune senso del limite e della trasgressione per approdare a un territorio dove a rischio c’è la vita stessa. Come una spia rossa. E la rabbia cieca deflaga. Quattordicenni o poco di più e parlano a suon di botte. Scoppiano per un nonnulla e non si fanno scrupoli ad aggredire gli adulti. Figuriamoci le ragazzine. Violenze, richieste esplicite, il tutto poi viene ripreso e postato in rete: perché il pericolo è il piacere giovanile. Un’aggressività incontrollata che troppe volte è ossatura della cronaca nera. Le hanno adescate in rete, perché il pericolo viaggia veloce sui social network, che affascinano, rapiscono i più giovani, che trascorrono ore, giocano coi social e chattano, sino ad incontri che dal virtuale diventano realtà, per poi legarle con delle manette ad un recinto in un terreno isolato, violentandole e minacciandole di morte da quel ventenne che una di loro avevano conosciuto in chat. Le vittime, hanno solo 14 anni e si sono portate dentro l’atto ignobile e violento per un mese, fin quando una delle due non ha raccontato tutto ai genitori che hanno denunciato l’accaduto. Il gip ha parlato di un atto ideato con freddezza e determinazione. “Assoluta mancanza di scrupoli”, ha scritto nelle carte processuali. Alcool e droga sono ancora il miscuglio preferito dai giovanissimi, in un comportamento di vita sregolato. Molti di loro amano le droghe pesanti e il web è la piazza perfetta dove acquistarli senza alcun problema. “Tramadol” in gergo “droga del combattente” è la nuova frontiera della droga. Un quantitativo di circa 50 milioni nei giorni scorsi è stato sequestrato in Calabria. Si tratta di un potente oppioide che in Italia può essere venduto solo con prescrizione medica non ripetibile e che viene commercializzato come Contramal. Arriva dal Medio oriente, ecco perché la chiamano la droga del combattente, abbassando i freni inibitori, dando un aumento della performance, eccitazione, agitazione. Si può comprare su internet ed in Italia come in tutto il mondo pare se ne faccia un uso eccessivo ed il suo abuso può provocare un’overdose, richiedendo l’impiego del naloxone come antidoto. Sfiorano il rischio, mettono in pericolo la loro vita, sexting, adescamento online, ma anche anoressia e bulimia, frutto di siti internet, di consigli e diete facilmente reperibili, così la vita dei giovanissimi finisce nel pericolo più totale. Amano sentirsi già adulti, vogliono dimostrare di potersela cavare da soli, vogliono il riconoscimento del gruppo, mostrandosi più forti dei loro amici. Vogliono mettersi alla prova, sfidare l’emozione di trasgredire e superare i limiti. Per provare le reazioni degli adulti: genitori o insegnanti e vedere fino a quando valgono i limiti ed i divieti. Per osservare quanto sia effettivamente interessato e attento. Ed è proprio questo che i giovanissimi spesso sfidano l’attenzione e le colpe di tutti noi: famiglie, scuola e società. Le prime sono assenti su più fronti e in questi casi il primo che viene chiamato in ordine di responsabilità è il papà, una figura importante nella vita dei ragazzi, specie nella fase adolescenziale. Ma, c’è anche la scuola che non ha più un ruolo educativo al passo con i tempi. E poi la società, disattente nei confronti delle nuove generazioni. Cambia la società e le nuove generazioni vengono lasciate allo sbaraglio e al web, dov’è finita l’educativa di strada, fatta di educatori, progetti sociali creati dalle mani degli assistenti sociali? Dove sono finiti gli oratori o gli Acr e il ruolo di strada dei sacerdoti? Dov’è finita la progettualità extra scolastica dei docenti, fatta anche e soprattutto per i ragazzi iperattivi, più scontrosi, che tra i banchi di scuola si sentono legati e amano più manualità, teatro, musica? Dove siamo finiti noi adulti zii, genitori, amici, che dovremmo guardare negli occhi, specchio dei giovanissimi, per capire paure, perplessità e bugie. E le regole, che danno sì divieti ma insegnamenti? Quando riusciremo a guardarci dentro e ad assumerci le nostre responsabilità di adulti e di società civile forse riusciremo a proteggere e a dare delle alternative ai giovani, perché non esistono solo i social network e la sfida ai propri limiti, ma un mondo di opportunità, occasioni, di passioni e un mondo di umanità buona e responsabile, che dovremmo ritornare di moda.

(Articolo pubblicato per il mio blog Pagine sociali per ildenaro.it)

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“Se l’è andata a cercare”, l’opinione pubblica volta le spalle alle vittime di violenza

6834932-strumenti-moderni-giornalista-computer-portatile-bianco-taccuino-e-una-penna-profondit-di-campo-messStupri e violenze, maltrattamenti e soprusi quotidiani, vengono “giustificati” dall’opinione pubblica con “se l’è cercata”, “li stava provocando”. Paesi in difesa del branco o del carnefice. Anche i sindaci. Le vittime diventano carnefici, costrette a scappare via, perché la gente del paese gli volta le spalle e la loro denuncia diventa arma per uno stupro quotidiano. E’ una violenza continuata, insistita, resa beffarda dall’impotenza di chi la subisce. Una violenza che ha il tipico carattere del maltrattamento, con tutte le conseguenti ricadute psicologiche per chi tale stupro lo ha subito. Non solo Pimonte. A San Valentino Torio una storia simile. E non solo. Da Nord a Sud le comunità difendono il branco e isolano le vittime stuprate: è colpa loro. Lo ha definito “una bambinata” uno stupro di gruppo ai danni di una dodicenne, il sindaco di Pimonte, in provincia di Napoli. Ha così “assolto” il branco di una decina di ragazzini che ha ripetutamente stuprato un’adolescente, costringendola a scappare lontano, in Germania, insieme alla famiglia. La vittima è diventata per tutti la carnefice. Colpevole di aver rovinato l’esistenza dei ragazzi, quasi tutti minorenni. Colpevole di aver denunciato quello che le è accaduto. Che poi sottintende “li ha provocati”. Poco importa se era stata ricattata, se è stata usata come oggetto. Umiliata e ripresa con i telefonini. Storia simile anche a San Valentino Torio: una ragazzina e il solito branco. Anche lì armati di telefonino, anche qui la comunità ha fatto muro, difendendo il branco: “lei andava in giro in minigonna”. Stessa storia a Taurianova nel tavoliere pugliese, dove una ragazzina anni fa dove violenze e soprusi ha trovato il coraggio di denunciare i suoi aguzzini. Il giudice crede alla sua versione e condanna i carnefici, ma lei ha osato parlare, ha osato sconfiggere l’omertà, così viene minacciata di morte, denuncia nuovamente e viene protetta dallo Stato, oggi vive sotto scorta. Paesi che emettono sentenze diverse rispetto a quelle della giustizia, additando e criticando la scelta di aver denunciato, arrivando a spingere le vittime e le loro famiglie a rimodulare e spesso a cambiare la loro vita. E’ una dinamica tipica dei piccoli centri. C’è una vittima e tanti presunti colpevoli, con una fitta rete di amicizie e parentele. Quando i media spengono i riflettori su questi casi resta il paese e i loro ragazzi accusati di un crimine: violenza carnale, o presunta tale. E comincia così il circolo della gogna senza fine. Che viaggia anche sul web, senza lasciare alcuno scampo. L’eventuale processo è un altro supplizio, i media locali ci marciano, riportano frasi, intercettazioni, riprendono dettagli che danno adito a commenti e battutine da bar. Un’altra violenza. Così capita che tante violenze simili neppure vengono denunciate. Le vittime non hanno il coraggio. O non vogliono darsi e dare un doppio dolore alle loro famiglie. O sono convinte che subiranno ritorsioni e verranno messe alla gogna. E non sono casi isolati ma storie vissute e sentite in ogni angolo di paese. E non solo al Sud. Vittime colpevoli di essere donne o di essere belle, o semplicemente di esistere, ma di un’esistenza ormai deturpata e rubata. Vittime due volte, di una duplice violenza. Vittime dell’omertà e della cattiveria umana.

(Articolo pubblicato su “ildenaro.it”)

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“Guardi come è atteggiata”. Augias, la prego alla violenza non ci sono alibi che tengano

violenza bambini“Questa bambina è conciata come una sedicenne”. Risuonano forti queste parole. Mi sono chiesta, da donna e da zia, più volte il senso di questa affermazione proferita da Corrado Augias, giornalista, conduttore televisivo e scrittore della cui sensibilità e delle cui capacità di analisi non ho mai dubitato. Mi sfugge però il senso. Eppure Augias con ferma convinzione di sempre ha pronunciato queste parole durante il programma di La7, “DiMartedì”, condotto da Giovanni Floris e lo ha fatto commentando la foto della piccola Fortuna Loffredo, morta a sei anni, scaraventata dall’ottavo piano di un palazzo, dopo aver subito abusi sessuali, alla periferia di Caivano, nel napoletano.

La foto della piccola dai capelli biondi e dai lunghi “boccoli” come li chiama Augias è proiettata sugli schermi dello studio di La7 e mostra una bambina dal vestito colorato, sorridente nonostante le violenze subite e in posa, come capita a molte bambine della sua età. Questo è bastato ad Augias per paragonarla ad una sedicenne, diciottenne.

Ci risiamo. Augias come Oliviero Toscani, fotografo e creativo, celebre per le sue particolari pubblicità della Benetton, che nel 2013 trovò la soluzione agli stupri e ai femminicidi, invitando le donne a non truccarsi e a non usare tacchi.

Cari Augias, Toscani e cari uomini: un abito scollato, un rossetto, una minigonna, o ancora un abitino colorato e un sorriso di una bambina, non autorizzano nessuno a stuprare, bruciare, deturpare, abusare del corpo di una donna o di una bambina.

Mi meraviglio come un uomo intelligente e battagliero come Augias, possa pensare-e mi rifiuto di farlo- che solo una posa in foto, un boccolo biondo e un po’ di rossetto di una bambina possano essere il lascia passare ad una violenza. Mi meraviglio di come non ci si renda conto che frasi del genere possano fornire un alibi ad omuncoli che per anni si sono giustificati col pretesto della provocazione che rende l’uomo ladro.

Non esistono alibi alla violenza. Ricordo la storia di Anna Maria Scafò, che a 13 anni, fu violentata a San Martino di Taurianova, da un branco di dodici uomini adulti, che ha abusato di lei per tre anni. Oggi vive in una località protetta e lontano da tutti. A San Martino di Taurianova, dicono ancora oggi che se l’è cercata.

“Se la cercano” è un pensiero incivile ed incettabile.  Basta, vi prego basta! Alla violenza non c’è giustificazione.

Una bambina come Fortuna e come tante altre hanno il diritto di poter indossare un abitino più corto e colorato, di mettersi anche un po’ del rossetto delle madri, come tutte abbiamo fatto da bambine, di essere un po’ provocanti nelle foto. E’ innocenza, è gioco, perché sono bambine, ma ciò non deve essere assolutamente una giustificazione per un potenziale orco o passare per provocatrice, istigatrice di pensieri e azioni malate.

Augias, ci ripensi e chieda anche scusa alla mamma di Fortuna e a tutti quei bambini vittime di abusi che hanno il diritto di vestirsi e di essere provocanti quanto vogliono, senza dover aver paure di uomini e di parole simili.

 

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Abusi sui minori, guardate ed ascoltate i vostri figli

untitledPeriferia di Napoli: Caivano è lì che nel 2014, tra i palazzoni, lo sporco, il degrado, le difficoltà di una vita che già da bambini diventa difficile, che la piccola Fortuna, dopo diversi abusi ha trovato la morte. Ad abusare di lei per poi ucciderla il suo vicino di casa, che oggi, grazie alla testimonianza e alla voglia di giustizia, di verità, alla voglia di liberarsi di un peso troppo grande per un bambino, è stato incastrato dal racconto dei bambini.

Il caso della piccola Fortuna, riporta alla ribalta un tema tanto scabroso quanto difficile: la violenza e l’abuso sui minori. Un tema pesante e complesso e ve lo dice una che si è laureata con una tesi in “Maltrattamento e abuso sui minori, l’intervento dei servizi sociali”. Un tema che richiama a sé come in un vortice dantesco tante altre tematiche, che vorrei sviluppare con voi: la mancanza di rispetto, il non guardare al dolore dei piccoli, l’omertà degli adulti, il non accorgersi che il proprio piccolo ha subito una violenza.

Ma andiamo con ordine… l’orco che abusa di un bambino è a mio avviso un egoista, ma anche una persona disturbata, che ha bisogno di aiuto, ma deve necessariamente scontare una pena, che sia d’esempio ed esemplare, che non servirà a cancellare il dolore e la ferita permanente che questi piccoli hanno, ma servirà ad alleviare le loro sofferenze, a mostrare una Giustizia. Anche Papa Francesco, ha condannato fermamente questi atteggiamenti, invitando a punire questi comportamenti.

L’omertà degli adulti è altrettanto un crimine, a mio avviso, sapere, vedere ma far finta di niente, convincersi che non sia così, è un doppio crimine. Non esiste amore o scuse. Chi sa e tace, sbaglia e danneggia ulteriormente il bambino. Chi sa deve denunciare, urlare il crimine commesso e tutelare il piccolo, sempre. Nel caso di Caivano, i bambini che hanno permesso di incastrare dopo qualche anno l’orco hanno dimostrato come il muro di omertà si possa sconfiggere.

Dimentichiamo e dimenticate che la pedofilia, i casi di abuso che esso sia fisico, psicologico  o sessuale, abbia origine solo ed esclusivamente in un contesto di povertà e di degrado, quello di Caivano è solo un caso. La pedofilia risiede, ce lo insegna anche la cronaca, persino tra i sacerdoti, esiste anche in quei contesti dove vivono i professionisti, le famiglie “perbene” ed è proprio lì che spesso si tace, si nasconde il tutto e si continua per anni nel totale silenzio ed indifferenza, che permettetemi di dire fa ancor più schifo e rabbrividisce.

Non è sempre facile capire se un bambino ha subito abusi, come nel caso di Fortuna, dove il papà non aveva avuto alcun sentore. Ma alcuni comportamenti, possono metterci in guardia. Certo, non forniscono da subito prove certe, ma possono fornire i primi input, quelli che in gergo tecnico vengono chiamati “indicatori”: guardate i disegni dei vostri bambini, notate se le figure sono più grandi del solito, se emergono con continuità e ripetizione parti intime o parti del disegno più grandi rispetto al normale. Notate, se tendono a riportare con frequenza la stessa persona.

Non solo disegni… a volte i bambini non conoscono le parole giuste o hanno difficoltà ad esprimere quello che hanno vissuto, ma è un vissuto doloroso e spesso l’indicatore cardine è il suo cambiamento di comportamento, talvolta la difficoltà a dormire, un rapporto contrastante col cibo. Attenzione ai cambiamenti d’umore: sbalzi repentini, attenzione all’isolamento a scuola e tra gli amici. Ponete attenzione alla loro aggressività e a sbalzi tra comportamenti aggressivi a comportamenti docili e buoni.

Ascoltateli, anche se sono confusi, se mescolano discorsi: fate attenzione alle parole, al tono, a cosa dicono, a perché lo dicono. Non incalzateli di domande e di perché, ma ascoltateli e poi ritornate anche attraverso il gioco all’argomento.

Fate attenzione alla sua concentrazione a scuola, ad eventuali atteggiamenti seduttivi verso gli adulti. Guardate il loro corpo, la violenza fisica lascia segni. Nessuno di questi comportamenti indica con certezza che il bambino ha subito abusi. Altri disagi possono originare comportamenti simili che vanno sempre condivisi con uno specialista.

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Siamo belve che condanno le vittime di violenza

untitledLa storia della sedicenne di Roma, che poche sere fa, nel quartiere Prati di Roma, ha subito una violenza sessuale da parte di un uomo (?), è la pagina più triste della cronaca nera italiana, ancora più triste è leggere i centinaia, di migliaia, di commenti di parte di uomini e donne, padri e madri di famiglia, che scrivono: “se l’è cercata”, “cosa ci faceva una ragazza di sedici anni a mezzanotte fuori casa”, “lo ha provato” e…potrei continuare, ma da donna, mi vergogno di farlo. Mi disgusta. Ancor di più mi disgusta pensare che se l’autore della violenza fosse stato un exstracomunitario, saremmo partiti tutti a dire: “via dall’Italia”, “ma guarda questo qui, viene qui e semina violenza”, saremmo stati tutti “Pro Salvini”, tutti i nuovi “Charlie Hebdo” della situazione. Ma se lo fa un italiano, bè allora la colpa è della ragazza. Vergognoso. Vergognoso e offensivo, verso tutte quelle donne che ogni giorno in silenzio soffrono per una violenza subita, per quella sensazione di dolore e di sporcizia che si portano dietro. E’ un’offesa alla vita, alla dignità di un essere umano prendersela con le vittime. Ricordiamoci che violentare è un reato e nessuno può mettere in discussione chi tristemente l’ha subita. Non esistono abiti scollati, minigonne, atteggiamenti, ammiccamenti, errori dettati dall’età, che possano giustificare l’aggressore. Non possiamo essere indulgenti verso chi stupra e belve della notte verso chi subisce. Ricordiamocelo!

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Melania Rea, Elena Ceste. Quando il sicario è in casa.

E’ un pugno allo stomaco il mucchio selvaggio di foto di mariti, fidanzati, conviventi, padri che hanno ammazzato la “loro” compagna di vita. Bacheche zeppe di madri, figlie, fidanzate, amanti assassinate, che da anni ci imbattiamo.
Molti uomini li abbiamo visti in salotti televisi in cui recitavano un “copione” ben definito. Lacrime e parole amorevoli, inviti alle loro consorti, mentre, ormai erano già morte e per mano loro.
Una carrellata di assassini. Facce normali. Facce semplici. Facce pulite. Facce serene. Facce spensierate. Facce “amorevoli”.
Eppure in loro si nascondeva la ferocia in un’esistenza apparentemente anonima.
“Strano, era tanto un bravo ragazzo…” “Mai dato problemi sul lavoro…” “Sempre così gentile, così educato”.
Uomini apparentemente “rassicuranti”, dall’animo feroce e assassino. E proprio per questo, messi tutti insieme, terribili.
“Sicari domestici”. L’uomo di casa diventa il proprio assassino. Melania Rea, Elena Ceste, forse anche Roberta Ragusa, uomini, mariti, padri assassini. Matrimoni e famiglie apparentemente felici eppure profondamente tristi e problematici.
Da una parte le donne che tentano di salvare il matrimonio, di tenere unite la famiglia, chiudono più di un occhio di fronte ai maltrattamenti, ai tradimenti, alla bugie, agli intrichi. Dall’altra gli uomini, spesso, con una doppia vita, con un’altra compagna, un altro piano ben premeditato ed una compagna di troppo.
L’amore e la passione non c’entrano nulla, né i “raptus” di follia. Gli omicidi di donne sono una vera e propria esclation di violenza, fino ad uccidere. Sono morti annunciate. Morte che camminano. Sono omicidi premeditati.
Questi uomini hanno il loro “nuovo progetto di vita”,un’altra famiglia,un’altra vita,nascondere i loro segreti,ma confido nella Giustizia,a cui da donna,da figlia,faccio appello affinché l’unico loro progetto di vita oggi e domani sia il carcere a vita ed una pena esemplare.
Solo così potremmo dare “pace” a quelle donne che non ci sono più.

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Bulle della società

video-bulla-

Trentamila condivisioni in poche ore per il video più choc che la rete abbia mai ospitato. Vittima una ragazzina di poco più di quattordici anni aggredita da una coetanea all’uscita di scuola, sotto gli occhi di una quindicina di ragazzi. La vittima viene presa a calci, strattonata per i capelli, finisce a terra. Piange. Urla. Chiede aiuto.

Inaudita violenza che si fonde al divertimento sadico dei compagni che assistono senza una mossa, incitano alla violenza, riempiono di parole la ragazzina che ormai è a terra dolorante, fino all’obbrobrio della diffusione del video. Condiviso da trentamila giovani.

A vederlo tra i tanti giovani anche la cugina della vittima, Sarah. E’ stata lei ad avvertire la zia. La scoperta dell’orrore, la vergogna di un paese in cui neanche più i giovani sono civili, le ferite da curare, la denuncia e il massacro della tv e del web.

La bulla. “La Giovi” questo il suo nickname in uno dei social network più amati dai giovani d’oggi non appare per niente pentita e insiste dicendo che la giovane le botte le meritava, quasi le cercava. Molti i commenti dei ragazzi che fanno paura, rabbrividiscono e sono molti a favore della bulla. La colpa per molti è della vittima, Sarah, che poteva farsi gli affari suoi.

Ma che colpa ha questa giovane ragazza? Aver alimentato la gelosia della bulla perché la sua migliore amica stava con l’ex fidanzato di lei? Mi dispiace ma non è una scusa. Non lo è affatto. La violenza và condannata.

La colpa non è solo della bulla ma del branco. Di tutti quei ragazzi che hanno assistito senza muovere un dito, senza chiamare aiuti, senza chiamare i soccorsi. Di tutti quelli che vigliacchi sono tornati a casa ed hanno caricato il video senza preoccuparsi degli ematomi del dolore fisico e morale che Sarah provava. Senza neppure avvertire i suoi genitori.

La colpa è dei genitori. Sì di loro. I figli sono lo specchio dei genitori. Certo crescono, diventano grandi, vivono nella società, perdono parte dei valori e dell’educazione che i genitori hanno loro inculcato ma non diventano questi ragazzi.

I figli della nostra società sono violenti, scorretti, non sanno vivere in un questo mondo. Vanno puniti. Sarah non potrà mai dimenticare quanto accaduto, poterà per tutta la vita i segni di un episodio violento e orrendo, lo ricorderà per sempre. Ma lei e tanti altri ragazzi vittime delle torture dei bulli vanno puniti. Vanno allontanati per un periodo dalle loro case, dai loro agi, dei loro genitori-troppo protettivi. Vanno portati all’interno di strutture per far capire loro le regole, il rispetto e il valore della vita.

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