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“Il bambino dell’acido”:quando maternità e crudeltà fanno discutere

7011967_origLa maternità che si mescola alla crudeltà. E’ il caso di Martina Levato, la neo mamma sulla quale pesa una condanna giudiziaria, che giorni fa ha dato alla luce il suo piccolo Achille, strappatogli non appena il piccolo ha visto la luce del mondo. In molti parlano di crudeltà. Don Antonio Mazzi, persona che stimo profondamente, ieri mattina ha detto che la giustizia non sostituisce l’amore. Aggiungendo: “Credo che il giudice abbia preferito lavarsene le mani e applicare le normali procedure.” Questa volta non sono d’accordo con Don Mazzi e con i tanti che parlano di crudeltà e sbandierano ai quattro venti l’amore che questa donna potrebbe provare per il piccolo. Perché non pensiamo a tutelare il bambino invece di parlare di crudeltà? Sono una zia, follemente innamorata del proprio nipote, ed io, francamente, mio nipote non glielo affiderei. Nessuno di voi affiderebbe il proprio figlio. Dunque, perché lasciare quel bambino alle “cure” di una donna condannata per aver gettato dell’acido al suo ex fidanzato? Alla storia della strega cattiva che diventa fatina non ci credo. Una donna violenta non aggiusta il suo equilibrio perché ha partorito un figlio. Una nascita non può cancellare ogni colpa. Una nascita non può essere il bonus per un’altra chance. Sono forse, per deformazione professionale, per il lavoro che dovrò fare, per tutelare i minori. Sempre. Non esistono “se” o “ma”. Quel bambino come tanti altri non ha alcuna colpa ed ha tutto il diritto ad una mamma ed un papà, che siano due persone estranee alla cattiveria e alla crudeltà. Un bambino cresce bene con chi lo ama, lo accudisce, lo considera persona, quell’esserino che sarà il prolungamento di sé. E’ bene dire che i genitori sbagliano e quando sbagliano bisogna proteggere i bambini. Non affidi un figlio ad un padre con problemi psichiatrici. Non vedo perché non dovrebbe essere lo stesso con una madre che ha problemi psichici.

Perché forse esiste ancora quell’idea che la donna in quanto generatrice abbia il diritto a poter avere una seconda chance?

Sono pienamente d’accordo con la scelta del giudice e a differenza di Mazzi, credo che abbia fatto la cosa giusta: una delle rare volte in cui in Italia è stata fatta la cosa giusta. Perché caro Don Mazzi e cari lettori, se il giudice avesse fatto la scelta opposta e la donna negli anni si sarebbe scagliata in un atto di violenza contro il bambino, avreste detto tutti che la scelta fatta a monte era stata azzardata, scellerata e vi sareste scagliati tutti contro “il sistema”,contro il giudici e gli assistenti sociali: che quando vi fa comodo sono streghe altre volte fatine che scrivono il “lieto fine”.

Tuteliamo il piccolo, sarebbe crudele non farlo.

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Laurea, il “pezzo di carta” ad una donna fa guadagnare il rispetto.Perchè?

6834932-strumenti-moderni-giornalista-computer-portatile-bianco-taccuino-e-una-penna-profondit-di-campo-messDa qualche settimana ho terminato il mio percorso di studi universitari. Una vera traversata tra esami, ansie ed angosce. Ma alla fine è finita con l’ultimo 30 ed una tesi pronta ad essere discussa, poi sotto con il “post laurea” ed il futuro da costruire tra progetti e sogni. La notizia in famiglia si è fatta largo presto ed il passa parola, complici i social network non è tardato ad arrivare. E così tutti quelli che fino ad un attimo primo mi davano del “tu” hanno iniziato a darmi del “lei”, a concedermi di più la parola, ma soprattutto a rispettarmi come donna e come una donna che ha oltre un cuore ed un fisico, delle forme, anche una mente, un sapere. Le prime volte non avevo parole. In realtà le parole si fermano anche ora. Ma ciò che più mi chiedo è:” possibile che una donna per guadagnarsi il rispetto debba per forza avere un “pezzo di carta”?” Se fossi stata una qualunque ragazza, diplomata o con la classica “terza media”, non avrei avuto diritto al rispetto degli uomini, dei “dotti”, al diritto di parola e ancor di più di pensiero? Se fossi stata una qualunque ragazza senza un titolo non avrei avuto diritto a dire la mia?
Perché?
Perché siamo forse un paese di bigotti, di menti ancora ristrette: dove la donna è solo un corpo che sforna figli, spesso confinata in casa e con difficoltà riesce a farsi largo nel mondo del lavoro, dove ancora oggi è sottopagata rispetto agli uomini?
Perché?
Perché accade sempre alle donne?
Perché?
Perché non cambieremo mai?

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Il boato di via d’Amelio

index19 luglio 1992,l’orologio non punta ancora le 17.00, quando la furia della guerra dichiarata dalla mafia allo Stato deflagra l’auto di scorta del giudice Borsellino, in via D’Amelio. Un’auto, una vecchia Fiat 126 imbottita di esplosivo, innescata a distanza, cancellava la vita del giudice palermitano e la sua scorta. Cosa Nostra, governata dai Corleonesi, a suon di tritolo, lanciava nuovamente un gravissimo monito alle Istituzioni, con l’eliminazione fisica dell’altro giudice, dopo Falcone, simbolo dell’antimafia. Non un giorno qualunque, non un sacrificio qualunque. Ma uomini che hanno scritto pagine degne di un Paese che cercava il fresco profumo della libertà. La mafia andava combattuta, ieri come anche oggi. Le celebrazioni di via d’Amelio , quest’anno avvengono in giorni di burrasca per la regione Sicilia e per il suo governatore Crocetta. Se, davvero la telefonata, così come riportato da “L’Espresso”, è avvenuta è giusto chiedersi perché un presidente di una regione come la Sicilia, torturata per mano mafiosa, sia rimasto in silenzio di fronte ad una frase così orrenda. Così in contraddizione rispetto alla lotta alla mafia. Voglio credere e sperare che sia in buona fede, che davvero in quella telefonata ci sia stata una zona d’ombra o un calo di linea, che non ha permesso al presidente Crocetta di poter udire quella frase. Fa bene parlarne per risvegliare tante coscienze, specie di quelle che governano in Sicilia come in Italia. Non si tratta di un dibattito sulle intercettazioni, farle o non farle, pubblicarle o meno, si tratta soprattutto di assumersi le proprie responsabilità, specie in territori difficili e martoriati. Non bisogna restare in silenzio davanti alla mafia, davanti alle minacce dirette o indirette che siano. E’ tempo che il sacrificio di molti uomini e donne non resti solo un bel proclama un po’ retorico.

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Siamo belve che condanno le vittime di violenza

untitledLa storia della sedicenne di Roma, che poche sere fa, nel quartiere Prati di Roma, ha subito una violenza sessuale da parte di un uomo (?), è la pagina più triste della cronaca nera italiana, ancora più triste è leggere i centinaia, di migliaia, di commenti di parte di uomini e donne, padri e madri di famiglia, che scrivono: “se l’è cercata”, “cosa ci faceva una ragazza di sedici anni a mezzanotte fuori casa”, “lo ha provato” e…potrei continuare, ma da donna, mi vergogno di farlo. Mi disgusta. Ancor di più mi disgusta pensare che se l’autore della violenza fosse stato un exstracomunitario, saremmo partiti tutti a dire: “via dall’Italia”, “ma guarda questo qui, viene qui e semina violenza”, saremmo stati tutti “Pro Salvini”, tutti i nuovi “Charlie Hebdo” della situazione. Ma se lo fa un italiano, bè allora la colpa è della ragazza. Vergognoso. Vergognoso e offensivo, verso tutte quelle donne che ogni giorno in silenzio soffrono per una violenza subita, per quella sensazione di dolore e di sporcizia che si portano dietro. E’ un’offesa alla vita, alla dignità di un essere umano prendersela con le vittime. Ricordiamoci che violentare è un reato e nessuno può mettere in discussione chi tristemente l’ha subita. Non esistono abiti scollati, minigonne, atteggiamenti, ammiccamenti, errori dettati dall’età, che possano giustificare l’aggressore. Non possiamo essere indulgenti verso chi stupra e belve della notte verso chi subisce. Ricordiamocelo!

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Click e Rec…intervistando

Qualche mia intervista per Medianews24

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8 Marzo, “Lettera a mio nipote”

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Claudio, tesoro di zia,

come ogni anno, in prossimità dell’otto marzo, mi interrogo sulla festa della donna. E, come ogni anno, giungo alla conclusione che per me non esistono giorni commemorativi potenti se festeggiati singolarmente. Non esiste nulla di più forte della nostra memoria, che và continuamente allenata ed utilizzata ogni giorno.

A dicembre sono diventata tua zia, zia di un piccolo ometto, che mi ha scombussolato i sentimenti e l’amore. Sin da subito ho pensato a come avrei potuto proteggerti, difenderti, fornirti negli anni, a piccole dosi le armi per poterlo fare da solo. Soprattutto.

Sei piccolo, oggi indifeso ma domani sarai un adolescente, poi un adulto e nei tuoi occhioni chiari e curiosi, che già sorridono alla sola parola “amichette” mi chiedo come io possa insegnarti l’equilibrio di genere ma soprattutto il RISPETTO verso le donne.

Claudio, abbi rispetto dell’orgoglio femminile e dell’emancipazione femminile. Rispetta la bellezza. Fidati delle donne, rispetta l’amicizia con una donna, perché la complicità e l’altruismo sono la base della nostra vita.

Tesoro mio, nella vita di tutti i giorni non giudicarti e non giudicare. Incontrerai molte donne, ognuna con un suo perché ed una sua vita, ognuna di loro tassello del puzzle di una generazione che nel suo piccolo ha voluto contribuire al cambiamento.

Sii rispettoso delle idee femminili, del loro cuore, del loro modo di amare, dei loro sbagli, del loro essere semplicemente come sono. Certo, farai fatica, sarà difficile, spesso ti scontrerai con invidie banali, recriminazioni, cattiverie di ogni genere. Persone che equivocheranno la tua accoglienza, donne che non ti tratteranno come tutti noi sogniamo per te, da quando eri in grembo.

Claudio, sei un ometto tra molte donne: una mamma, due nonne, due zie. Tutte donne che hanno una storia, dei sogni, qualcuna una carriera di tutto rispetto, come la tua stessa mamma, donne che hanno viaggiato, visto il mondo, che si sono confrontate col mondo.

Ecco.

Rispettaci e rispetta le donne che faranno parte della tua vita, che siano amiche o compagne di vita. Lascia che si guadagnino il loro posto nel mondo. Accompagnale, incoraggiale, non giudicarle, non mortificarle, non deluderle. Investi insieme a loro nel talento.

Sii gentile Claudio. Davvero. Non cedere alla fascinazione dell’aggressività di molti uomini, perché non diventa potere, ma dolore.

Tesoro mio, sei la nuova generazione che si formerà ed io “punto” su di te, su di voi, affinchè gli uomini siano rispettosi, gentili, amorevoli e non “sicari” con cui condividere una vita di privazioni, sofferenza.

Una delle donne della tua vita che ti ama: tua zia!

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Melania Rea, Elena Ceste. Quando il sicario è in casa.

E’ un pugno allo stomaco il mucchio selvaggio di foto di mariti, fidanzati, conviventi, padri che hanno ammazzato la “loro” compagna di vita. Bacheche zeppe di madri, figlie, fidanzate, amanti assassinate, che da anni ci imbattiamo.
Molti uomini li abbiamo visti in salotti televisi in cui recitavano un “copione” ben definito. Lacrime e parole amorevoli, inviti alle loro consorti, mentre, ormai erano già morte e per mano loro.
Una carrellata di assassini. Facce normali. Facce semplici. Facce pulite. Facce serene. Facce spensierate. Facce “amorevoli”.
Eppure in loro si nascondeva la ferocia in un’esistenza apparentemente anonima.
“Strano, era tanto un bravo ragazzo…” “Mai dato problemi sul lavoro…” “Sempre così gentile, così educato”.
Uomini apparentemente “rassicuranti”, dall’animo feroce e assassino. E proprio per questo, messi tutti insieme, terribili.
“Sicari domestici”. L’uomo di casa diventa il proprio assassino. Melania Rea, Elena Ceste, forse anche Roberta Ragusa, uomini, mariti, padri assassini. Matrimoni e famiglie apparentemente felici eppure profondamente tristi e problematici.
Da una parte le donne che tentano di salvare il matrimonio, di tenere unite la famiglia, chiudono più di un occhio di fronte ai maltrattamenti, ai tradimenti, alla bugie, agli intrichi. Dall’altra gli uomini, spesso, con una doppia vita, con un’altra compagna, un altro piano ben premeditato ed una compagna di troppo.
L’amore e la passione non c’entrano nulla, né i “raptus” di follia. Gli omicidi di donne sono una vera e propria esclation di violenza, fino ad uccidere. Sono morti annunciate. Morte che camminano. Sono omicidi premeditati.
Questi uomini hanno il loro “nuovo progetto di vita”,un’altra famiglia,un’altra vita,nascondere i loro segreti,ma confido nella Giustizia,a cui da donna,da figlia,faccio appello affinché l’unico loro progetto di vita oggi e domani sia il carcere a vita ed una pena esemplare.
Solo così potremmo dare “pace” a quelle donne che non ci sono più.

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“Capirai quando sarai madre”

http://27esimaora.corriere.it/articolo/donne-che-scelgono-di-non-avere-figli/

Lo sguardo più severo,quello che giudica arriva proprio dalle madri.
“Non desideri avere un figlio?! Perché?! Certe cose puoi capirle solo se sei madre!”

Prima pensavo fosse solo un semplice modo di dire,crescendo a 20 anni (+2) e qualche esperienza diretta con le persone,questa frase è un cazzotto in pieno viso,non oso immaginare a 40 anni.
Non so se un giorno sarò mamma,se avrò accesso a questa stanza di comprensione riservata alle sole mamme. Ma so che:
Ci sono donne che desiderano essere mamma,da sempre,nascono già con la voglia e l’inclinazione di fare le mamme.
Ci sono donne che un figlio lo vorrebbero e lo rincorrono ma non ci riescono.
Ci sono donne che un figlio l’hanno avuto anche contro il volere del proprio partner.
Ci sono mamme che crescono i loro figli da sole.
Donne che hanno scelto di non provarci.
Donne che hanno scelto di farlo per salvare la coppia.
E poi ci sono io,che un figlio non l’ho mai desiderato,forse perché sono giovane,eppure quando gioco con i bambini tutti mi dicono “ci sai proprio fare”. Io che sono diventata zia e mio fratello mi diceva “mi sembra che devi farlo tu”. Gli avrei comprato qualsiasi cosa,persino un intero store di abbigliamento. L’ho amato dal primo giorno che mi hanno detto che sarebbe stata una piccola personcina tra noi. Lo amo oggi e lo amerò domani.
Molto spesso,si dà per scontato che le donne debbano per forza essere madri. Purtroppo,troppo spesso ci si dimentica che per fare un figlio bisogna essere in due,amarsi e pensare che da coppia si passa ad essere genitori. Il che non significa solo notti in bianco e pannolini da cambiare,ma significa responsabilità,indirizzare questa piccola vita nella vita.
Prima di tutto bisogna essere in due a volere le stesse cose per la vita. A volte ci sono coppie che si bastano così come sono.
Io non lo so,magari non ci arriverò mai a guardare negli occhi la persona che mi è accanto e progettare una vita. Magari forse si,magari forse un figlio arriverà.
Ma so che ci sono cose che chi non ha figli non capirà mai,ma ci sono anche cose che chi ha figli non capirà mai,perché manca lo sguardo dall’esterno.
Per carità non è una competizione ma è il mondo.
Questo per dire che io non condanno,giudico quelle donne che non hanno avuto figli,anche perché magari hanno pensato di essere eterne giovani o hanno dato priorità alla carriera. Sono scelte dettate anche dall’amore,in primis dall’amore per se stesse,prima ancora di amare una nuova vita che metteremo al mondo.
Io guarderò Lunadigas, il web documentario. E mi piacerebbe che anche le mamme lo facessero,per capire un altro punto di vista.

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Un popolo con la valigia: la fuga dei giovani talenti dall’Italia

Un vero e proprio “boom” di nuovi emigranti, sintomo di un’Italia fragile. Un segnale forte che ci riporta alla memoria i primi anni del ventesimo secolo, e che necessita di essere arrestato con il rilancio della ricerca e della produzione nel campo dei beni e dei servizi

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Bel Paese arrivederci. O forse addio. Per ora la decisione è una: partire per l’estero, poi si vedrà. Un popolo di emigranti lo siamo sempre stati, ma negli ultimi anni di crisi la fuga di giovani talenti è aumentata. Giovani, brillanti e laureati per loro un volo di sola andata verso l’Europa o il nuovo continente: l’America.

Perché i giovani talenti italiani lasciano l’Italia in cerca di fortuna altrove? L’Italia, il bel Paese agli occhi degli europei e degli americani. Un paese da sogno, la destinazione per una fuga d’amore, o per la fuga perfetta fino al cliché. Una leggenda. Una storia costruita da chi ci vede dall’esterno.

L’Italia è il Paese dove i padri cercano disperatamente lavoro, mentre i figli si dividono tra lo studio, i corsi all’università da seguire (magari in sedi diverse), gli orari dei treni in continuo disaccordo, tratte che non vengono coperte, il tirocinio da incastrare, ma anche un lavoro per cercare di mantenersi in un’Italia di incertezze e fragilità. L’Italia è il Paese dove una laurea non basta più ad aprire tutte le porte, o quanto meno quelle del mondo del lavoro. Anzi, spesso non ne apre neanche una, e l’unica chance che resta è andare via.

Qualche tempo fa il New York Times, il più influente settimanale nel mondo, si è occupato di quella che negli ultimi anni è stata ribattezzata “la fuga dei cervelli”, citando sulle sue pagine esempi su esempi di giovani brillanti che fuori dai confini italiani hanno trovato il loro posto e la loro fortuna. Storie semplici, di giovani volenterosi, che negli anni hanno patito la fame, la stanchezza, le difficoltà, lo stress, l’ansia e l’angoscia per una vita fatta di studio ma anche di precarietà. Sono centinaia i giovani che ogni anno decidono di lasciare l’Italia in cerca di un futuro altrove. Lunghi anni di sacrifici, di studi per conseguire una laurea, una specializzazione, un master. Ma spesso in Italia non bastano a trovare un posto di lavoro.

Eppure non si chiede il “lavoro della vita”, quello che da bambini si sognava: ormai, sappiamo che quello non esiste più, ma si cerca, si chiede, un lavoro che soddisfa e permetta di guadagnare più di quel tanto per “tirare a vivere”.

Via dall’Italia. Via per scegliere quei luoghi in cui hanno ancora un senso i valori della lealtà, del rispetto, del riconoscimento del merito e dei risultati.

E’ passato un secolo da quando con valigie di cartone e l’essenziale si partiva. Un secolo intero, ma i motivi che spingono i giovani a cercare lavoro fuori confine non sono molto diversi da quelle delle ultime ondate di migranti, che sognavano l’America come terra delle opportunità.

L’Italia perde così il talento, i suoi giovani, tenendosi un mercato del lavoro congelato a causa del suo radicato clientelismo e nepotismo. Perde i suoi figli e il suo futuro, e si trova intrappolata in un circolo vizioso. L’economia continuerà a essere mortificata, soffocando l’innovazione. Nel frattempo ogni giovane che parte è una voce in meno nel nostro Paese. Un sapere in meno.

Questo mio articolo è stato pubblicato da “Il Nuovo Risorgimento Nocerino”

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Napoli chiede aiuto!

Davide Bifulco, avrebbe compiuto 17 anni tra poche settimane. Una notte beffarda e la sua vita si è accasciata al suolo, sotto un colpo di pistola sparatogli nel silenzio della notte al rione Traiano di Napoli da un Carabiniere. Davide guidava uno scooter non suo, con lui altre due persone, tra cui uno-secondo gli inquirenti era un latitante-. Uno scooter privo di assicurazione e i tre ragazzi era sprovvisti di patentino. All’alt intimatogli dai Carabinieri il giovane non si è fermato. Poi ha desistito. Fino alla tragedia-con un colpo sparato accidentalmente,secondo la versione del militare.

Il quartiere Traiano è arrabbiato, avvolto nella disperazione e chiede “giustizia”. Giustizia che confido ci sarà. Se emergeranno delle incongruenze, degli errori è giusto che chi ha spagliato paghi. Anche perché le forze dell’ordine sono l’emblema della legalità e questa deve rimanere sempre un valore da difendere.

Ma Davide Bifulco è solo l’ennesima vittima. Come molti altri-Mariano Bottari,75 anni, il pensionato ucciso da due malviventi in un tentativo di rapina a Ponticelli, qualche settimana fa,- pagano un prezzo altissimo:essere nati e cresciuti in una terra apparentemente “normale”,dove pizza,mandolino e spaghetti,Posillipo e le sue terrazze la fanno da padrona, ma continuamente in guerra.
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Napoli, non è Iraq, Siria o Ucraina, definiti in gergo giornalistico “teatri di guerra”, ma la differenza è sottile, minima. Napoli è solo una città italiana, un paese occidentale che fa parte dell’Europa. Eppure a Napoli tra normalità, indifferenza, si combatte ogni giorno una guerra,una maledetta guerra tra faide,tra piazze di spaccio che ha abituato i suoi giovani alla “normalità”, alla vita di strada, a scorazzare tutto il giorno senza una meta, un sogno, un lavoro, un’ideale, un futuro.

A Roma c’è il “Governo del fare”, affronta emergenze su emergenze,blocca i contratti, porta avanti l’etica del fare ma nessuno rivolge lo sguardo al Sud, quel Sud che ansima, chiede progetti, progresso, alternative, non un classico film che si ripete dimenticato da tutti. Occorre aprire gli occhi guardare alle periferie del Sud tutto. Bisogna cambiare e da queste parti è davvero un’esigenza che si richiede a gran voce.

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