Oggi in reperibilità nel quale sono in questi giorni, sono stata allertata per un’anziana signora. Nulla di nuovo che non appartenga al mio lavoro se non fosse per il momento emotivo che sto vivendo, che mi spinge inevitabilmente ad una riflessione a voce alta. Siamo in una società dove l’apparenza conta, dove mostrarsi perfetti e amorevoli, umani e dediti agli altri, è una moda, sia sui social e ancor di più nelle piccole realtà di paese. Eppure è solo apparenza, la realtà è ben altra. L’anziana signora vive un male, quello del nostro secolo: la solitudine.
Ho provato a telefonare, invano, con innumerevoli tentativi ai figli – ben sei- irraggiungibili, telefono spento, squilli a vuoto. Sono passata poi ai nipoti, che la nonnina aveva tutti memorizzati nel telefono, altrettanto invano. Eppure, pensate, sul loro telefono compariva “Mamma” o “Nonna”. Ho iniziato a provare rabbia e pena, ero anche incredula, lo ammetto. Mi dispiaceva, e così ho provato a telefonare con l’anonimo, sperando che qualcuno rispondesse, ma il silenzio ha fatto da padrona.
Sono rimasta in quella casa per un’ora e mezza, nessuno ha richiamato.
All’età di trentuno anni, solo venti giorni fa, ho perso mio nonno. Pensavo che il dolore fosse diverso, perché più matura e invece è stato un pugno dritto allo stomaco, un magone che fatica ad andare via. Era malaticcio, aveva avuto problemini vari, spesso, negli ultimi tempi correvo per supportare mia mamma, per stare accanto a lui. Mi sembra di averlo ancora davanti agli occhi in alcuni momenti, di sentire la sua voce che mi dice “Maria Rosaria, a nonno”.
E’ vero, i nonni diventano bambini, un po’ capricciosi, un po’ esigenti, testardi, vulnerabili, non nascondo che spesso qualche pensiero e qualche problemino lo portano, una fattura dell’acqua troppo esosa, il medico da chiamare più spesso, la farmacia a cui andare frequentemente, qualcuno che li raggira, ti cercano di più e tutto nel pieno della vita di noi nipoti, presi dalla corsa a cento chilometri orari, col tempo che sembra sempre poco, lasciando indietro uno degli affetti più rari della vita: i nonni.
Non ho rimpianti, ho vissuto i miei nonni fino a quando la vita me l’ha consentito, sono stata fortunata a poter vivere due di loro anche in età adulta, sino a qualche settimana fa, scoprendo che il dolore è anche più grande di quando sei più piccolo, perché ora fai i conti con i ricordi, quello che eri per loro, per l’importanza che ti davano che è un dono, perché ti manca quel rifugio che è casa loro, “abbasc da i nonni” era il mio sfogatoio e mi dicevano “ e statt nat poc”, perché spesso come diceva mia nonna “tien a nev rinta a sacc” (tieni la neve in tasca), andavo sempre di fretta, ma passavo appena potevo e quando mi chiavano – spesso per un problema- io rispondevo sempre.
Questa mattina avrei voluto leggere io sul mio cellulare quel “nonno” – “nonna” per correre sì, ma sapendo che ancora c’è. Diamo troppo spesso per scontato che c’è sempre tempo per gli affetti, per goderseli ancora. Diamo così troppa importanza al tempo per i social, per un aperitivo, per star dietro all’ultimo tiktoker e non abbiamo tempo per i nonni, per gli anziani. Quei nipoti che non hanno risposto né richiamato non sanno il Patrimonio Umano che si stanno perdendo.



